In breve:

Accompagnare alla nascita

Dottor Dei

di Alessandra Secci.
L’accompagnamento rientra in quel dinamismo che viene definito umanizzazione del parto: l’assistenza alla nascita non è soltanto tecnica ma empatica, e andrebbe a ricreare le condizioni in cui la mamma possa sentirsi a suo agio. Ne abbiamo parlato con il ginecologo dell’ospedale di Lanusei, dott. Marco Dei, ricavandone importanti spunti di riflessione.

2020, anno I di Pandemia, il mondo si ferma improvvisamente. Luci spente, strade deserte, serrande abbassate. Le polizze assicurative vengono congelate, le auto restano parcheggiate in garage e così nelle pompe dei distributori il carburante. Ma la vita, pur confinata nelle mura di casa, scorre: si canta dai balconi, ci si diletta nell’uso senza risparmio di giga internet e lievito madre, scorre nell’inchiostro dei pennarelli e nelle mine delle matite che i bimbi usano per personalizzare i loro variopinti “Andrà tutto bene”.

E scorre nei volti delle future mamme, terrorizzate e irretite al contempo, che nell’incertezza più dilagante trovano, per fortuna e nonostante tutto, delle solide risposte. In ospedale, a Lanusei, e in ambito privato non sono tanti gli specialisti che proseguono nelle visite: occorre fronteggiare tante criticità, dovute a un tipo diverso di approccio, il distanziamento delle pazienti, i tempi dilatati per visitare lo stesso numero di persone, l’individuazione dei presidi di protezione utili, e altro.

È la variabile tempo, come sempre, la più determinante, e le risposte si devono fornire in breve: non si tratta di rimandare una visita specialistica qualunque, c’è in ballo una vita. Due, anzi.

Il Covid ha costretto le figure professionali a una frattura, anche visiva, con le pazienti, con l’utilizzo della mascherina e degli altri Dpi e tuttora persistono delle regole limitanti durante il travaglio, in cui la donna può essere accompagnata dal partner fino alla nascita del bimbo, rimane in un ambiente separato da tutte le altre donne per qualche ora e poi trascorre la degenza lontano dagli affetti, che possono interagire con lei solo attraverso lo schermo del telefono o, meglio ancora, il vetro del reparto.

Di recente è in atto però l’introduzione di un protocollo che prevede l’esecuzione del tampone anche per i partner delle neomamme, di modo che possano partecipare con più libertà e più attivamente al percorso di nascita sin dal primo ricovero. Perché anche stare qualche ora in più in quei momenti è fondamentale, non solo per i genitori, ma anche per gli operatori. L’accompagnamento all’evento rientra in quel dinamismo che viene definito umanizzazione del parto: l’assistenza alla nascita non è soltanto tecnica ma empatica, e andrebbe a ricreare le condizioni in cui la mamma possa sentirsi a suo agio, con la persona che l’accompagna, mimando le dinamiche domestiche e il parto in casa, come una volta. Perché, come una volta, la paura del parto è sempre presente, è un evento traumatico e sia dal punto di vista psicologico che fisico estremamente impegnativo: scegliere dei tempi fisiologici, far capire alla mamma che è un evento naturale, umanizzare il parto senza dare l’impressione di essere in ospedale, che spesso è un ambiente asettico, con lampade chirurgiche, attrezzi sterilizzati e medicinali, e quindi creare un contesto molto più familiare sarebbe il prossimo passo. Spesso si discute tra la necessità che i parti debbano avvenire in grandi strutture dove la specializzazione medica assicura grandi performances, e dall’altro si propone invece di organizzare degli ambienti più intimi, prossimi, dove sì l’assistenza sia impeccabile, ma ci possa essere anche quella cura del dettaglio, quell’attenzione alle neo mamme che smettono di essere numeri.

E così, alla presenza si è accompagnata la prudenza, specie in quanto al giorno d’oggi la vita è concepita diversamente, alcune cose possiedono innate un senso di protezione molto alto, che mostra i nascituri preziosissimi agli occhi delle generazioni che li hanno preceduti.

A Lanusei nessun caso estremo è stato individuato e sono state poche, fortunatamente, anche le occasioni in cui, a malincuore e per cause di impellente necessità e urgenza, si è deciso per l’invio della partoriente al di fuori del presidio lanuseino. Perché subentra qui l’appartenenza al proprio territorio, al proprio substrato: espropriare la donna dal proprio contesto è sempre sbagliato, perché verrebbe meno il contatto con le proprie radici. In Toscana, Emilia Romagna, Veneto esistono le cosiddette Case del parto, strutture meno medicalizzate che assicurano un’empatia maggiore, con gli operatori, parenti, specialisti. La mamma non si sente in ospedale e di conseguenza non percepisce il pericolo.

Nel 2020 il numero di nascite si è mantenuto più o meno sugli stessi standard di sempre: in Ogliastra si riscontra la presenza di alcuni paesi in cui le donne più giovani fanno bambini, altri in cui economie ancora distanti da quello che è l’ideale di sussistenza, si mantiene una linea prudenziale, e si decide per l’allargamento della famiglia in età più tarda. Fisiologico, perché ogni movimento economico ne accompagna altri di carattere sociale. La diminuzione dei parti si è registrata in tutta Europa, ed è una tendenza che ci si deve aspettare.

In questo panorama emergenziale, le piccole strutture come il nosocomio lanuseino hanno dimostrato l’esigenza di esistere, andando ad alleggerire il carico critico al quale le grandi strutture ospedaliere sono state sottoposte e in soccorso a situazioni che sarebbero state sicuramente più sofferenti di quanto non siano già.

La speranza, quindi, è che il Coronavirus faccia in qualche modo aprire gli occhi su quelle che sono le necessità dei territori periferici, di avere dei centri di assistenza con alti livelli di specializzazione, al pari degli altri in quanto a qualità e che possano essere vincenti per quanto riguarda il rapporto diretto con le persone e la conoscenza di un territorio e delle sue particolarità.

L’esempio del Veneto, dove si va reinserendo la figura dell’ostetrica a domicilio, è una direzione alla quale si dovrebbe puntare anche qua, non tanto per l’assistenza al parto, ma per il percorso all’accompagnamento; tali figure sarebbero strategiche nel garantire continuità tra il territorio e l’ospedale, che spesso viene visto dalle donne come un ambiente estraneo: alle mamme dovrà apparire chiaro che il percorso alla nascita è unico, e che l’ospedale è parte integrante del territorio stesso poiché prosecuzione dell’azione svolta dagli altri luoghi e figure di assistenza .

Ci sono ancora difficoltà nell’integrare le diverse entità che lavorano all’interno del territorio ma, appunto, l’accompagnamento alla nascita è una strada rettilinea, che conduce la futura mamma, una volta in ospedale, a sentirsi a casa sua, in un luogo con il quale ha familiarità.

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