In breve:

Cyberbullismo. Se lo conosci lo eviti

cyberbullismo

di Fabrizio Mustaro

Dai risultati finali del Rapporto sulla diffusione del cyberbullismo 2014  scaturisce una prima preoccupante fotografia: il 95% degli intervistati ha affermato, con tono enfatizzato e nel consenso generale, l’impossibilità a vivere non più di 15 minuti senza telefonino.

E, infatti, il 22,1% di studenti delle secondarie (ex Medie) ha rapporti conflittuali con i propri compagni di classe e il 42,2% dei bambini della primaria (ex Elementari) è stato isolato o rifiutato durante la ricreazione. Nello stesso tempo il 90,5% possiede un telefonino, con percentuali che alle Superiori toccano il 98,1%. Il 79,6% può usare uno smartphone per navigare in Internet e il 93,7% ha un computer in casa, mentre il 73,6% possiede un account e può gestire autonomamente i potenziali comunicativi. Libertà distorsiva se circa 200 ragazzi non provano niente di particolare nei confronti di chi patisce numerose e persistenti vessazioni e di questi un centinaio ritengono addirittura divertente molestare i compagni.

In questa realtà trova il suo terreno di coltura anche il cyberbullying che somma al bullismo tradizionale il peculiare utilizzo proprio delle nuove tecnologie, in grado di perpetrare online o in ambienti virtuali, atteggiamenti e comportamenti aggressivi e prevaricanti attuati nell’insultare, attaccare, tormentare, minacciare, intimidire o deridere deliberatamente qualcuno. Dai dati del Rapporto appare chiaro che il cyberbullismo è esteso tanto nei piccoli paesi che nelle città (nessuna scuola è risultata esente): le prevaricazioni sono presenti anche nei gruppi composti di pochi ragazzi e sono  perfettamente identiche a quelle riscontrate in tutto il mondo. Lanusei come New York, verrebbe da dire, anche per l’uso del linguaggio. Proprio nel centro ogliastrino, infatti, un ragazzino riferendosi a un prepotente digitale ha usato il termine snert (cioè uno Snot Nosed Egotistical Rude Teenager) apostrofandolo come «un ragazzino moccioso, viziato e con molti soldi, oltre che già in possesso di un Samsung Galaxy S4 Mini».

Oltre ai dati statistici, la Ricerca è stata un’occasione anche per iniziare a parlare o approfondire le tematiche del cyberbullismo con un vasto gruppo di studenti, visto che il 12,8% ritiene che navigare in Internet non implichi nessun pericolo. I focus group hanno consentito di poter parlare del fenomeno Ask.fm (considerato pericoloso fino al punto che in Gran Bretagna, dopo il suicidio di due ragazze, ne è stato caldeggiato il boicottaggio): il 36,2% dei ragazzi lo conosce, con circa i due terzi (186 ragazzi tra cui anche bambini delle quinte) che si sono o sono stati iscritti. Quanto a Facebook, molti ragazzini sono iscritti fin dai 10-11 anni grazie alla complicità delle madri che in alcuni casi hanno mentito sulla reale età delle figlie, violando la norma del limite dei 13 anni. Il 48,5% (con una concentrazione pari quasi all’82% nelle Superiori) ha un profilo su Facebook, mentre Whatsapp, è un’applicazione usata dal 68% degli intervistati.

Dai racconti di un gran numero di studenti è anche emerso che molti genitori ignorano totalmente i rischi che i figli corrono con l’utilizzo erroneo della rete: la gran parte degli adulti non si interessa, non sa o, come dicono questi nativi digitali, «non capisce niente di telefonini, tablet e Internet». Una ignoranza che sfocia nel basso livello di controllo da parte degli adulti delle attività svolte in Internet, visto che il parental monitoring (monitoraggio dei parenti) è esercitato sistematicamente solo dal 55% dei genitori.

La ricerca ha, inoltre e soprattutto, messo un punto fermo: il cyberbullying è «quasi uno sport» praticato, in alcune classi, dal 50 per cento dei ragazzi, spesso inconsapevolmente e senza porsi il problema delle conseguenze. Non può che preoccupare, anche per le evoluzioni future, il riscontro del fenomeno nelle Elementari e la necessità di intervenire per non vedere ulteriormente aggravata la situazione attuale. Dalla ricerca emerge infatti che il 16,9% dei ragazzi (bambini compresi) ha subito prepotenze attraverso il telefonino e il 14,3% attraverso Internet; di converso l’11,5% ha compiuto personalmente prepotenze con il telefonino e il 10,8 attraverso Internet; mentre il 37% ha assistito o preso parte a vessazioni tramite cellulare.

Questi dati raccolti, fanno risaltare una criticità del modello educativo e del ruolo dei genitori. Ancora una volta, quindi, lo strumento educativo (meglio sarebbe dire preventivo), appare l’unica via per contrastare il bullismo nelle sue varie forme. Non può, infatti, non far riflettere la scarsa fiducia nutrita nei confronti degli educatori delle vittime del cyberbullying: si rivolge agli insegnanti solo il 4,7% di chi subisce prepotenze via cellulare e il 6,7% su Internet. Da sottolineare anche la scarsa capacità di reazione da parte dei ragazzi colpiti: il 26,4% si è sentito solo e isolato. In generale, infine (e questo dato deve far ulteriormente riflettere), il 21,4% di bambini non si sente ascoltato di docenti e il 5,8% non può parlare dei propri problemi ai genitori; il 94%, poi, sa di non poter essere ascoltato-aiutato rispetto ai problemi legati all’uso del telefonino e di Internet.

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