In breve:

Da Gairo al Giubileo delle famiglie. Alla ricerca di sentieri di misericordia

vescovo

di mons. Antonello Mura
Dal 21 maggio al 2 giugno l’agenda diocesana ha registrato due appuntamenti significativi. A Gairo una comunità si è interrogata sulle sue ferite, molte delle quali hanno portato notizie di morte in diverse famiglie, aprendo contrasti, restringendo orizzonti, facendo perdere speranze e minando relazioni. Anche il 2 giugno abbiamo ascoltato le tante ferite che raggiungono le famiglie, rendendone fragili le scelte e talvolta drammatiche le conseguenze. Ma in entrambi in casi non ci siamo fermati alle parole scoraggiate o ai messaggi senza futuro. La fede non ci permette di leggere o interpretare la nostra storia né al passato né da disperati; abbiamo piuttosto bisogno di parole e di gesti che facciano emergere una pastorale “che si dispone empre a comprendere, a perdonare, ad accompagnare, a sperare, e soprattutto a integrare” (Papa Francesco, Amoris laetitia, 312).
Due donne, in particolare – e forse non è un caso – hanno parlato di perdono e di riconciliazione. A Gairo Eva Cannas ha testimoniato quanto sia necessario il perdono e inutile la vendetta. Dopo aver visto uccidere i
suoi due fratelli a Mamoiada, la sua risposta di fede non ha eliminato il dolore, ma ha scelto di trasformarlo in passione per la vita: richiamandone il valore, difendendone la dignità, rimarcandone il dono. Accorata, forte, quasi testarda nel credere che si educa senza odio e senza rivincite. A Lanusei, per il giubileo delle famiglie, abbiano ascoltato Agnese Moro, figlia di Aldo, ucciso dopo 55 giorni di prigionia dalle brigate rosse. Si è emozionata, ci siamo emozionati. Ha raccontato suo padre: “Un uomo sobrio, attento, non scordava mai un volto, né una storia; per molti un simbolo, per me soprattutto una persona”. E ha raccontato i terroristi,
conosciuti dopo, con i quali continua a dialogare: “Penso che non vadano guardati come pazzi, ma come persone”. Bello notare che la parola “persona” l’abbia accostata non solo a suo padre, ma anche a chi l’ha ucciso.
In entrambi i luoghi si è respirata un’atmosfera da “anno della misericordia”. Don Tito Pilia, parroco di Gairo per trent’anni, ha parlato di buio da vincere e ha rivolto un appello alla comunità perché ritrovi la concordia. Carmen e Tonino, coppia di Ozieri presenti a Lanusei, hanno dimostrato che svolgere un servizio nella Chiesa – sono responsabili della pastorale familiare in Sardegna – non significa essere esentati da difficoltà e problematiche familiari. Ma c’è un’immagine da non dimenticare: a Gairo era presente Fidia, madre di Simone, ucciso il 21 dicembre scorso. Per tutto l’incontro aveva tra le man la foto di suo figlio, e a voce alta ripeteva: “Nessuna mamma deve soffrire così”.
Abbiamo bisogno di persone così. Di facilitatori di perdono e di riconciliazione, perché sappiamo che la ragilità – quella personale ma anche quella familiare e comunitaria – non è un pericolo, ma un dato reale. Con la quale fare i conti. E “bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si stanno costruendo giorno per giorno”, lasciando spazio alla “misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile” (Amoris laetitia, 308).

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