In breve:

“Lo sport mi ha salvato”

Abel

di Fabiana Carta.
Questa è una storia che parte in Cile e finisce in Sardegna. Una storia in cui l’amore vince sull’abbandono, la cura vince sul dolore, la tenacia e la determinazione annientano la paura.

«Nasco il 14 agosto 1973 a Osorno, un mesetto prima che in Cile scoppiasse il primo colpo di stato. Ho avuto la fortuna di salvarmi due volte, dalla dittatura che faceva fuori i bambini e le donne, e nel trovare delle persone che hanno voluto prendersi cura di me a pochi mesi dalla nascita».
Abel Geremias Fenude, ma basterebbe semplicemente Abel, è una forza della natura, un trascinatore, un portatore sano di energia. Viene messo al mondo da una giovanissima ragazza che non ha la possibilità di prendersi cura di lui e che decide di affidarlo a una famiglia della città. Trascorre i primi anni della sua infanzia con la nuova famiglia. Sfortunatamente perde entrambi i genitori adottivi a pochi anni di distanza fra loro: sua madre muore quando lui ha solo 5 anni e suo padre esattamente 3 anni dopo. Ma c’è una figura molto importante che brilla nei ricordi, una persona che è stata indispensabile sotto tutti i punti di vista, una vera guida. «In questo nucleo familiare che mi aveva adottato c’era anche un nonno, lo chiamavo così. Morti i miei genitori, lui si è preso cura di me fino a che non sono cresciuto. A quest’uomo io devo tanto tanto tanto».
Nel 1982 Abel inizia a frequentare un Centro diurno, dove viene seguito negli studi e dove inizia le sue prime esperienze sportive. «Già in questi anni lo sport comincia ad avere un’importanza fondamentale per la mia vita, mio nonno mi spronava sempre a migliorarmi». Mentre racconta questo pezzetto di vita la sua voce si spezza dall’emozione, erano anni difficili nei quali ci si aggrappava alla liberazione e soddisfazione di una vittoria sportiva. Ricordiamoci che dopo il colpo di stato del ’73, il generale Pinochet governò come dittatore fino al 1990 e la dittatura stessa si impegnava a esaltare lo sport, le varie discipline e la cura del corpo. Arriva il momento in cui Abel, adolescente, sceglie di non voler essere un peso o fonte di preoccupazione per suo nonno: «Gli proposi di portarmi in un grande orfanotrofio della città. Lui non si oppose, cercava sempre le soluzioni migliori per il mio accudimento, ma a una condizione: potermi venire a prendere ogni fine settimana, per passare ancora del tempo insieme. Cercava di risparmiare durante la settimana per organizzare delle feste al mio ritorno, invitando i nostri vicini di casa».
Così, dal 1985 al 1990 passa i suoi anni all’interno dell’orfanotrofio, spiccando per il buon comportamento e l’impegno nello sport per cui era sempre in prima linea. «Un giorno i dirigenti mi dissero: “Noi vogliamo darti la possibilità di andare a studiare fuori, non è per tutti, te lo meriti”. Mi sentivo onorato. Io non mi fermavo mai: la passione per la corsa mi portava a sfidare anche il vento e la pioggia, ero sempre presente agli allenamenti, cercavo di rendermi il più possibile protagonista. Non credo mai quando la gente mi dice che la mia è una dote. Se la dote non viene coltivata non si arriva a niente».
Abel, come per ogni decisione che riguardava la sua vita, si consulta con suo nonno, il quale saggiamente gli risponde: «Se è per il tuo meglio, accetta, anche se ci allontaneremo di quasi 400 km». È l’anno dei Mondiali, non può dimenticarlo, quando la sua vita subisce un’altra svolta. «Mi chiamano dall’orfanotrofio e mi chiedono di rientrare. Una coppia vorrebbe adottare un ragazzo con le tue caratteristiche – mi dicono – ma l’età massima che accettano è 16 anni. Io ero fuori di un anno, in realtà c’erano stati problemi burocratici, perché poi ho saputo che i miei nuovi genitori avevano iniziato le pratiche nel 1982. Hanno dovuto lottare tanto». Come può sentirsi un ragazzo, quasi maggiorenne, a dover cambiare nuovamente famiglia, oltretutto con un trasferimento dall’altra parte del mondo? Anche in questa situazione pesante dal punto di vista emotivo, il nonno resta la figura di riferimento, la guida spirituale a cui rivolgersi. «Lui era sempre ottimista. Mi disse che avrei avuto una vera famiglia, che avrei potuto raggiungere qualche risultato personale».
Nuovi genitori, per la terza volta, ma adesso è più complicato. L’incontro fra persone appartenenti a culture diverse, a contesti molto lontani tra loro, inserirsi all’interno di abitudini che non fanno parte della propria vita, passare da una grande città come Osorno a Baunei, e aggiungiamoci l’ostacolo della lingua e dell’età matura. «Avevo delle paure, che poi si sono rivelate fondate col tempo – confessa –. Eravamo due mondi diversi, tanto che nei primi anni ho avuto momenti di grande sconforto, in cui pensavo che questa adozione non sarebbe andata a buon fine. L’unica cosa che ha fatto da collante, che mi ha salvato, è stato di nuovo lo sport. Il mio impegno sportivo mi ha salvato dall’isolamento, dal mio carattere a tratti timido (anche se può sembrare l’esatto contrario), mi ha inserito nella comunità, mi ha fatto conoscere per quello che sono». Chiedo quanto tempo è passato perché riuscissero a sentirsi una famiglia, la risposta mi colpisce: «Abbiamo lottato dieci anni buoni».
Lo sport lo fa sentire dentro, ha avuto un effetto inclusivo. Non è il cileno di Baunei, è Abel. Possiamo dargli merito di aver fatto tante piccole grandi cose per il paese, come l’aver lottato per riportare in vita i Giochi della Gioventù da anni sospesi (facendo anche in modo che venisse costruita la pista attorno al campo sportivo) e l’aver organizzato da solo varie manifestazioni, gare di atletica che coinvolgevano la popolazione di tutto il circondario. Ha lasciato un’impronta, ne va molto fiero.
Ma c’era ancora un sogno chiamato diploma, rimasto in sospeso, che aspettava solo il momento giusto per essere ripreso in mano. Con la forza di volontà che lo contraddistingue si trasferisce a Cagliari, in cinque anni mette in tasca il diploma di perito in elettrotecnica, molte vittorie sportive, diventando anche il manutentore/custode di un impianto sportivo e gestore di un piccolo chiosco sempre adiacente al campo.
Di nuovo la tenacia e di nuovo lo sport, come filo-conduttori della sua vita. Un altro pezzo di sogno lo ha realizzato da poco, dedicando una parete della sua abitazione a un murales che rappresenta l’incontro fra Sardegna e Cile, dal titolo Nel mio paese nessuno è straniero, a firma dell’artista Mono Carrasco. Un’esplosione di gioia e colori, un’altra impronta che il nostro Abel ha voluto lasciare insieme all’Associazione chilenos de Sardigna, un inno al rapporto che si è creato con i baunesi, «un modo per restituire moralmente una parte di tutto il bene che mi hanno dato e per ringraziare dell’accoglienza».

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>