In breve:

Editoriale

Gusai

Desiderosi di attenzione e risposte concrete

di Augusta Cabras.

Quattro testimoni per quattro distinte esperienze presenti e attive nel territorio ogliastrino che si sono rivolti alla Chiesa diocesana, interrogandola

Rita Concu ha 4 figli. Il primogenito è Luca, un ragazzo autistico di 39 anni. Il percorso di vita di Rita e della sua famiglia è stato impegnativo e faticoso. Come genitori per tanti anni hanno dedicato tutte le energie e le risorse per la riabilitazione del loro figlio ottenendo risultati insperati sentendosi realizzati e gratificati come genitori.

«Luca ci ha insegnato il valore assoluto della famiglia – spiega Rita- protagonista nelle scelte e nel progetto di vita della persona con disabilità. Abbiamo deciso di condividere con altre famiglie la nostra esperienza, le competenze e soprattutto la nostra visione di disabilità. Nasce così Ogliastra Informa, associazione di volontariato che opera promuovendo prima solo attività sportive per persone con disabilità intellettive, ma che oggi vanta numerosi percorsi di promozione delle autonomie, laboratori didattici, vita indipendente in una casa dove i ragazzi possono allenarsi alla vita autonoma e al contempo le famiglie possono avere un luogo protetto a cui poter affidare il proprio famigliare in caso di bisogno. Alla Chiesa vorrei chiedere di avere un canale di informazione dove la disabilità è raccontata con le giuste parole, senza pietismo, perché la disabilità può essere davvero risorsa, resilienza e il modo di raccontarla può essere di conforto, speranza e incoraggiamento per chi si trova ad affrontare questo percorso. Avere a disposizione risorse o strumenti, così da metterli a disposizione dei volontari e degli operatori che ogni giorno lavorano su progetti di inclusione sociale e per la vita indipendente di persone con disabilità. Ogni nuova risorsa può creare una nuova opportunità, da cui nasce il vero cambiamento. Avere la possibilità di essere parte attiva in questa rete comunitaria che la Chiesa costruisce e coltiva: più persone appartengono alla rete e più le maglie si stringono, e quando le maglie sono strette nessuno cade».

Anna Lisa Lai è la presidente dell’Associazione Figura Sfondo che nel 2012 ha istituito il Centro Antiviolenza “Mai più Violate”, a Tortolì, con lo scopo di garantire alle donne vittime di violenza uno spazio di accoglienza e ascolto in un ambiente che garantisce anonimato e riservatezza.

«Il Centro ha ormai compiuto dieci anni di attività – ricorda Lai – e nel corso di questi lunghi anni noi operatrici abbiamo promosso e realizzato eventi di prevenzione e sensibilizzazione sul fenomeno della violenza di genere e assistita e nel campo dei diritti umani: abbiamo incontrato gli studenti e le studentesse degli istituti ogliastrini, abbiamo organizzato una mostra sul diritto all’infanzia, una rappresentazione teatrale, dei convegni, un evento sul femminicidio. Al centro della nostra opera vi è l’ascolto inteso proprio come quella disposizione ad accettare di sentire l’altra con attenzione e partecipazione, lasciando che il racconto trovi spazio dentro di noi e contatti il nostro essere, le nostre emozioni. Le donne vittime di violenza hanno vissuto l’esperienza del non ascolto. A noi operatrici raccontano una storia trascorsa nella solitudine di un contesto che non riconosce quanto stanno vivendo e provando. Proprio per questo il Centro Antiviolenza deve rappresentare per le donne quell’ambiente sicuro in grado di offrire loro stabilità e protezione in una vita confusa e piena di incertezza. Alla Chiesa chiediamo: quanto sei stata capace di ascoltare e riconoscere una donna che ha subito violenza? Quanta disponibilità le hai offerto in termini di accoglienza?».

Gian Pietro Gusai è chirurgo dell’Ospedale di Lanusei il quale afferma: «Noi abbiamo a che fare sempre con la fragilità. Non ci troviamo solo di fronte alla malattia del paziente, ma dobbiamo occuparci di tutto, il suo corpo e la sua anima. Questa fragilità deve essere accolta e tutelata con la nostra comprensione ed empatia. Oggi più di ieri ha sempre maggiore importanza l’empatia, quale aspetto umano dell’operatore sanitario e di tutti coloro che ruotano attorno al paziente e che garantiscono un ambiente ospedaliero idoneo. Parlando dell’Ospedale di Lanusei, ringrazio tutta la popolazione per la vicinanza e per aver capito l’importanza che può avere una struttura ospedaliera, sia come assistenza per chi vive stabilmente nel territorio ma anche per chi è di passaggio. Certo, viviamo in una realtà in cui lo spopolamento è sovrano, e non avere strutture sanitarie non aiuta certamente a far rimanere i giovani. Servono investimenti sulla tecnologia e questo possiamo farlo grazie all’aiuto della popolazione, delle istituzioni pubbliche e anche della Chiesa».

Vittorino Murgia è il presidente della Proloco di Perdasdefogu e responsabile provinciale di tutte le proloco ogliastrine. Nel suo saluto ha ricordato l’importanza del rapporto tra proloco e Chiesa, per il bene collettivo. Si augura e chiede alla Chiesa di proseguire in questo cammino condiviso.

Oltre ai quattro testimoni, significative sono state anche le considerazioni dei ragazzi/e della IV Liceo Classico di Tortolì: «Di te abbiamo conosciuto sin da piccoli l’impegno e l’attenzione, la ricerca più costante del bene per i piccoli, gli ultimi, i bisognosi. Da te però, cara Chiesa, ci siamo allontanati e tu, noi pensiamo, ti sei chiusa in te stessa. Crediamo nell’importanza del dialogo nella storia, come pacifico collante per le differenze inestinguibili e confidiamo che nelle parole stia il potere del cambiamento. Ti chiediamo dunque, quale sia il criterio del perdono che concedi. Conosciamo l’importanza dei Sacramenti che proponi, ma non comprendiamo perché a ricevere quello eucaristico possa essere uno spacciatore e non un divorziato consapevole del proprio errore e a nostro giudizio non colpevole. Non comprendiamo perché la donna non possa accedere a diaconato e al sacerdozio, nonostante spesso la comunità ecclesiastica conti una massiccia componente femminile: a una bambina che osserva affascinata il sacerdote sull’altare e desidera un giorno far lo stesso, perché, cara Chiesa, bisogna dir di no? Vorremmo chiederti di impegnarti di più con noi giovani. Siamo pronti a metterci in discussione, ma anche un poco stanchi di ricevere le accuse di chi non sempre ci comprende. Anche tu abbi il coraggio di cambiare insieme a noi, stacci vicino senza giudicare, sostienici e aiutaci. Noi ti aspettiamo dietro al pallone o al banco di scuola, nei pomeriggi di studio e di sport: organizza diversivi alla solitudine che insieme siamo in grado di contrastare, ma da soli possiamo solo patire».

Suor Lirie

Suor Lirie: “Con i giovani serve coraggio, serve rischiare”

di Augusta Cabras.

I giovani fanno a meno della Chiesa. Non tutti ovviamente, ma gran parte sì.

Lo vediamo, ne abbiamo consapevolezza. Sono i grandi assenti delle celebrazioni e nei momenti di vita comunitaria, si dileguano appena ricevuto il sacramento della Cresima, o “dell’addio”, come Papa Francesco lo ha definito provocatoriamente parlando proprio ai ragazzi e alle ragazze.

Possiamo trovare a questo esodo varie motivazioni perché questa è l’età della contestazione, del rifiuto del “vecchio”, del già noto, della critica alla tradizione, al “così si è sempre fatto”, in nome di un nuovo che va tutto inventato, costruito, determinato. Ma è anche il tempo, quello della adolescenza e della giovinezza, dei grandi slanci, dell’energia incontenibile, dei nuovi linguaggi, delle grandi domande di senso, quelle che tengono con il fiato sospeso, che affollano mente e cuore, che anelano risposte, che siano, anch’esse di senso.

E in mezzo a tutta questa grandezza e a questa bellezza, a questa sintesi non sempre equilibrata tra carne e spirito, che oscilla e vacilla, vibrante tra il sublime e l’abisso, la Chiesa dov’è? Cosa fa? È capace di sintonizzarsi su quelle frequenze, spesso distorte, incostanti, ferite e fragili? Prova, almeno, a sedersi al fianco, a guardare negli occhi, ad ascoltare la voce, a chiamare per nome, a dire: «Siete importanti», «Abbiamo bisogno di voi», a riconoscere in loro l’azione incessante dello Spirito?

La Chiesa spesso questo non lo fa, per paura o rassegnazione, per mancanza di coraggio e di strumenti; più spesso ci tenta con estrema fatica e poi si arrende, più raramente lo fa e quando succede i risultati sono sorprendenti, straordinari, a tratti commoventi. E allora, se esiste anche una sola esperienza positiva, significa che è possibile, che si può non fare a meno dei giovani perché loro sono più necessari a noi che il contrario, perché da loro possiamo anche imparare, ricevere stimoli nuovi per mettere in discussione stili e modalità che hanno la tentazione di chiudere in cerchie autoreferenziali e blindate, per farci uscire dai nostri sepolcri imbiancati pieni di finte certezze celate da atteggiamenti di superiorità.

Tornano alla mente le parole del Vescovo Antonello che nella Lettera Pastorale “Sul carro con Filippo” dice: «Forse al mondo giovanile non crediamo abbastanza come portatore di visioni profetiche. “I sogni e le visioni” dei giovani sembrano interessare poco alle comunità, anche perché il loro “mondo” viene guardato più in prospettiva – “aspettiamo che diventino adulti!” – che per quello che rappresentano e possono offrire nel presente». E invece noi abbiamo estremamente bisogno del loro sguardo profetico. E se le belle esperienze ci sono, possiamo prendere esempio, farci contagiare, provare a farci stimolare.

Suor Lirie, è un vulcano di energia e di passione. Ha 32 anni, è giovane tra i giovani e tra i bambini che incontra nella sua comunità. Mi racconta della sua origine albanese, del suo passato a Napoli e poi del suo arrivo nella nostra Diocesi, a Villaputzu, in cui risiede da 4 anni. Fa parte della congregazione delle Adoratrici del Sangue di Cristo. Rimango colpita da queste parole e lo dico apertamente che è estremamente impegnativo e coraggioso adorare quel Sangue, che gronda nell’ora della morte ma che è vita, pura, per la nostra umanità e per tutta l’umanità. Suor Lirie mi travolge con la sua risata fragorosa e contagiosa e dice: «Sì è Sangue versato, sì sì è proprio Lui».

A Villaputzu da tre anni si svolge il Grest (GRuppo ESTivo), un’attività che coinvolge bambini, ragazzi e giovani. «È stato un punto di ripartenza, un tempo di ampio respiro, di incontro, di relazione, di possibilità educativa e formativa. L’oratorio permette di accogliere tutti, senza differenze. Questo è desiderato e gradito dai piccoli e dagli adulti. L’oratorio è il luogo in cui lasciar fuori le paure, e in questo tempo di pandemia sappiamo quanto la paura dell’altro è stata alimentata. Noi invece facciamo l’esperienza in cui l’altro è la persona con cui sto, mi diverto, mi relaziono, costruisco, condivido, prego, quello con cui sto bene. La cosa bella è che i bambini e i ragazzi accolgono la proposta con entusiasmo e vivono tutte le attività con vera partecipazione: dal gioco alla preghiera».

Il Vangelo in questo modo non è solo letto, raccontato e spiegato ma è vissuto, sperimentato. E come risolvere il problema per cui non si aprono gli oratori perché non ci sono educatori? «È vero che possiamo dare solo quello che abbiamo – dice suor Lirie – per cui serve avere una formazione e non improvvisare. Ma dobbiamo essere noi a formare e a farlo nel modo giusto. Certo, non c’è una ricetta che vale per tutti, ma serve attrarre, essere attraenti. Posso raccontare la nostra esperienza: abbiamo proposto ai ragazzi e alle ragazze dell’ultimo anno delle scuole medie e delle superiori di venire con noi. Hanno accolto l’invito in 15. Ci siamo incontrati una volta alla settimana, in modo molto allegro, con musica, canti, balli, letture, riflessioni, momenti di preghiera; abbiamo letto il Vangelo e cercato di comprenderlo in modo nuovo. È importantissimo fare i lavori in gruppo, condividere esperienze, tutto in modo molto dinamico. Ovviamente, all’inizio io ho percepito un certo timore, forse imbarazzo, ma serve rischiare, avere coraggio, mettersi in gioco perché poi i risultati arrivano. E noi gli abbiamo visti i ragazzi e le ragazze sul campo! Abbiamo visto la gioia nei loro sguardi, la soddisfazione nell’essere utili ai più piccoli, nel dare e nel ricevere costantemente. Ecco non dobbiamo avere paura!».

Nel corso della conversazione, suor Lirie rivela che la sua vocazione è nata dentro l’oratorio del suo villaggio, in Albania. «Ho conosciuto le suore nel mio paese e quello che mi ha colpito e mi ha fatto pensare e porre domande è stata la loro presenza costante e significativa. Mi domandavo: «Ma perché queste spendono il tempo con noi?». Vedevo queste suore giovani che venivano da noi sempre, con la pioggia e con il sole, in un paesino sperduto dell’Albania… Mi chiedevo: «Ma chi glielo fa fare?». Quando ho capito che glielo faceva fare l’amore, quell’amore era già dentro di me».

E allora serve amore, attenzione, accoglienza, ascolto, fiducia e coraggio per coltivare le visioni profetiche dei giovani. Ora, nel presente. Senza paura.

Olivero

Ernesto Olivero: “Non sono un pacifista, sono un pacificatore”

Alcuni stralci dell’intervista a Ernesto Olivero, fondatore del Sermig – Arsenale della Pace di Torino, intervistato alla Pastorale del turismo dalla giornalista di Avvenire, Marina Corradi, e insignito del Premio “Persona Fraterna” 2022

Ernesto Olivero, lei la carità, prima di tutto, dove l’ha imparata e da chi?

C’è un modo dire: l’occasione rende l’uomo ladro. Noi volevamo essere un gruppo missionario e siamo stati cacciati brutalmente, senza una ragione. Avevamo il diritto di criticare, avevamo la voglia di dire che certe persone erano indegne. Eravamo ragazzini. Io dico una frase che poi ci ha spaventato: amici, un mese di silenzio, Dio ci sta parlando! Un ragazzo mi risponde: ma sei scemo? E io dico: scemo sarai tu! La chiesa è Gesù, non certi cretini che pensano di essere Chiesa. La Chiesa è Gesù. Io non mi metto contro Gesù, io voglio bene a Gesù. Un mese di silenzio. Piangendo. Siamo entrati nel mistero. Dopo un mese questo mistero è diventato desiderio: andare dal card. Pellegrino a portare le nostre ragioni. Noi non sapevamo neanche chi fosse un cardinale. Da lì è iniziata la nostra storia. Abbiamo detto al cardinale che volevamo formare un piccolo gruppo missionario che lavora nella chiesa. Lui ci ha accolto, voluto bene e ci ha dato una possibilità. Lui era amico di Paolo VI. Io gli dissi: vorrei andare dal Papa a dirgliene quattro! E lui dice: scrivi una lettera, me la fai leggere e poi ti dirò. Io scrivo questa lettera con tutto l’amore che ho dentro e gliela porto. Lui dice: la condivido anch’io, magari dal Papa non ti mando, ma da qualcuno vicino sì. Mi manda a Roma dal Segretario, gli parlo con il cuore in mano e lui mi porta dal Papa. Lo incontro, gli dico tutto. Mi abbraccia e mi dice: faccia lei quello che ha detto a me, perché io spero in Torino, terra di santi, per una rivoluzione d’amore. Ecco, il card. Pellegrino e Paolo VI sono stati uomini buoni, onesti, cristiani, che ci hanno aiutato.

Lei era un impiegato nella Banca San Paolo di Torino in tempi il cui il posto fisso era la manna. A un certo punto decide di mollare e di darsi al volontariato. Cosa ha mosso questa scelta così radicale?

Mi ero innamorato del card. Pellegrini. Io lavoravo, ero già sposato, avevo tre figli, ma in quel momento, a un certo punto, mi era sembrato di aver avuto un’illuminazione. Vado a dire al cardinale che avevo deciso di licenziarmi dalla banca. Mi aspettavo che mi abbracciasse, mi dicesse che ero il suo eroe, e lui con severità mi dice: quando Dio lo vorrà, Lui ti darà un segno. Io andai via triste. In banca feci una carriera interessante, ma poi un giorno mi telefonò un amico di Padre Pio che mi disse: se lei crede si può licenziare. Amici, Dio esiste! È qui.

Il cristiano debole vorrebbe tanto poter dire come lei: Dio è qui. Ma anch’io Gesù Cristo non lo vedo. Lei con Gesù Cristo parla come parlerebbe con una delle persone che vede da vicino?

Certamente. Soltanto che bisogna arrivarci con i tempi di Dio, pregando, facendo della propria vita, lentamente un servizio continuo agli altri, e la preghiera deve diventare il mio respiro, il mio tutto. Ci vuole tempo, non bisogna pretendere nulla, bisogna entrare in questa ottica e allora con Gesù ci parli, ti sorregge. Nella nostra storia abbiamo ricevuto delle vigliaccate inenarrabili, ma non le abbiamo mai ricambiate, delle ingiustizie brutte, da parte di uomini che avrebbero dovuto sostenerci, amarci, indicarci la strada buona. Ma non abbiamo mai ricambiato il male con il male, non abbiamo la faccia triste, la faccia piena di rancore. Noi preghiamo anche per queste persone, e siamo pacificati con loro.

Nietzsche diceva: crederei in Gesù Cristo se i cristiani avessero la faccia da salvati. Invece molti cristiani, me compresa, hanno la faccia triste, sopraffatti dalle difficoltà o da una malinconia che non ha una ragione precisa. Concretamente, qual è l’inizio di questa strada?

Bisogna farsi aiutare. Bisogna incontrare persone belle. Se io incontro una persona bella, dico: io voglio essere come lui. Se incontro una persona infingarda, io dico: io non voglio essere così. Noi ogni volta, in fondo, giudichiamo. Decidiamo di stare di lì o di là, ma poi dopo serve farsi aiutare, avere degli amici intorno. Da soli ci si intristisce.

Mi ha colpito quando lei, all’inizio della pandemia, disse che in quel periodo davate accoglienza a centinaia di persone, ma i vostri magazzini si riempivano di nuovo e sempre, come accadeva a Madre Teresa. Nella realtà degli uomini le dispense delle case non si riempiono se non si va al supermercato. Sembra che voi viviate in una modalità “altra”, rispetto alle persone comuni.

Non saprei rispondere. È la gente che viene da noi. Non c’è mai mancato un centesimo eppure non abbiamo mai chiesto soldi. Da sempre noi facciamo il gesto della restituzione. Negli anni Sessanta, quando siamo nati, avevamo deciso di fare sempre due gesti: pregare in modo semplice, non sapevamo fare di meglio, e poi mettere in un piccolo sacchetto tutto quello che potevamo in segno di restituzione.

Restituzione di che cosa?

Questa parte di mondo ha rubato e noi dobbiamo restituire a chi ne ha diritto. Ma l’abbiamo scoperto senza fare un’analisi politica. Ce lo siamo detto tra noi. E poi siamo diventati amici di gente meravigliosa, di uomini santi, di giovani e bambini, ci siamo impastati lentamente. Se pensate che l’Arsenale era un rudere e che per ristrutturarlo c’era bisogno di 400 miliardi, vi renderete conto che non l’abbiamo fatto noi, ma la Provvidenza. Noi ci abbiamo messo solo le nostre mani.

Cosa ha pensato la mattina del 24 febbraio alla notizia dello scoppio della guerra tra Russia e Ucraina?

Io ho subito chiesto di andare da Putin perché so che il Signore mi ispirerà delle parole. Poi mi sono ricordato di Giorgio La Pira. Un giorno lo chiamai, gli dissi che avevamo formato un gruppo e se poteva ricevermi al telefono. Mi disse di andare da lui: rimasi più di tre ore, parlò tantissimo, citò Isaia, profeta di Dio. Isaia disse: l’uomo non deve imparare più l’arte della guerra, non deve più costruire le armi. Io ho abbracciato questa filosofia. Basta armi! Basta guerre!

Io ammiro il pacifismo che esorta al dialogo, che prega, che spera nella diplomazia, ma se io fossi stata una madre con i miei figli davanti ai carri armati, io non credo che sarei stata pacifista.

Ma neanche io sono un pacifista. Io voglio essere un pacificatore, voglio portare giustizia, concretezza, non stare da una parte o dall’altra. Noi siamo pacificatori, abbiamo accolto 150mila persone, donne e uomini violentati, colpiti. Noi accogliamo chiunque desideri cambiare vita. Possiamo fare tantissimo perché tantissimi giovani stanno dando la vita per essere pacificatori.

 

Ernesto Olivero è nato nel 1940. Nel 1964 ha fondato a Torino il Sermig, Servizio Missionario Giovani, insieme alla moglie Maria e a un gruppo di giovani decisi a sconfiggere la fame con opere di giustizia, a promuovere sviluppo, a vivere la solidarietà verso i più poveri. Negli anni ’80 all’interno del Sermig nasce la Fraternità della Speranza. Ha trasformato l’arsenale militare di Torino in Arsenale della Pace dal 1983.

Alla Pastorale del Turismo della diocesi di Lanusei e di Nuoro gli è stato conferito il Premio “Persona Fraterna” 2022.

Chiesa San Pietro

Come la Diocesi è intervenuta a sostegno di persone e comunità

di Pier Tomaso Deplano.

Nel presentare come ogni anno a tutti e alla Conferenza Episcopale Italiana il rendiconto delle risorse finanziarie derivanti dall’otto per mille, la Diocesi di Lanusei lo fa come di consueto nel rigoroso rispetto del principio della trasparenza, regola ecclesiale fondamentale oltre che costituzionale.

Il 2021 era atteso come l’anno di ripresa dalla crisi post pandemica, con la quale abbiamo dovuto convivere negli ultimi due anni, ma il protrarsi delle gravi difficoltà economiche ha comportato il proseguimento delle iniziative di sostegno, sia alle persone in difficoltà che alle comunità, ulteriormente aggravata dagli effetti derivanti negli ultimi mesi dal conflitto in Ucraina, che ha determinato un forte rincaro dei prodotti energetici e alimentari, generando nuove e importanti difficoltà economiche. Gli interventi della Caritas diocesana, ad esempio, oltre a quelle che passano direttamente dalla Diocesi o dalla parrocchie, sono stati significativi e hanno messo in evidenza una sempre più crescente difficoltà di tanti nel far fronte al pagamento di bollette e all’acquisto di generi alimentari. Importante sottolineare il compito della delle Sedi Caritas di Lanusei e di Tortolì, quest’ultima con la Mensa quotidiana.

L’impegno diocesano per la comunità è sempre costante, con l’obiettivo di distribuire le risorse dell’8xmille nel territorio, cercando di cogliere le reali esigenze locali, sempre in sintonia con gli obiettivi pastorali preposti.

Il bilancio generale della Diocesi è diviso in varie voci che specificano l’origine delle entrate, comprese quelle derivanti da finanziamenti regionali o delle Amministrazioni locali, permettendo l’esecuzione di specifici progetti cofinanziati; ad esse si aggiungono quelle derivanti da contributi straordinari provenienti dalla Conferenza Episcopale Italiana con precisi vincoli di utilizzazione, oltre a quelle derivanti dai fondi delle parrocchie.

Le iniziative intraprese sono sempre orientate alle esigenze della nostra comunità e dando uno sguardo al futuro; con questo intento sono stati realizzati e sono in corso di ultimazione numerosi interventi di rilevanza strategica nei campi dell’educazione, della formazione dei giovani e della famiglia; si citano quest’anno tra i più rilevanti la realizzazione di un oratorio interparrocchiale, dopo quello di Lanusei, a Tortoli (con un rilevante contributo della Regione); l’ultimazione dell’Auditorium Fraternità con aule per diverse attività e quella dei locali per l’accoglienza dei senza dimora, sempre a Tortoli; la conclusione a Girasole della nuova canonica, più salone e aule; il recupero dell’ex episcopio di Tortoli, l’ampliamento e ristrutturazione della colonia di Bau Mela a Villagrande Strisaili; la ristrutturazione dell’Aula Magna e del Museo a Lanusei, senza dimenticare i numerosi interventi di manutenzione nelle singole parrocchie.

Come consuetudine, tutte le azioni sopraindicate sono state svolte garantendo il coinvolgimento prioritario di chi opera nel territorio, affinché le ricadute contribuiscano a assicurare un minimo di sollievo all’economia locale, sostenendo il lavoro di imprese e professionisti.

Nel bilancio sono anche elencate le voci di spesa relative al buon funzionamento delle istituzioni diocesane (parrocchie, istituti di vita consacrata, edifici di culto, museo, archivio e biblioteca, mezzi di comunicazione) oltre a quelle relative alle attività di carattere prettamente religioso (come la formazione dei presbiteri, dei diaconi e degli operatori pastorali) e di valenza culturale e sociale (come la Pastorale del turismo).

 

Biciclette

Pedalando…senza fretta!

a cura di Augusta Cabras.

Andare in bicicletta, si sa, fa bene alla salute, oltre che all’ambiente. Poterlo fare in sicurezza, anche in Ogliastra, sarebbe una grande conquista. E qualcosa inizia a muoversi, seppur lentamente, come una bicicletta in salita senza marce.

In altre parti dello Stivale intere città virtuose sono attraversate da chilometri di piste e hanno scelto la mobilità sostenibile contro l’inquinamento imperante e l’aria insalubre da respirare. Le più collegate sono Ferrara con oltre 150 km di ciclovie, per una media di 1,14 metri per abitante, a seguire Reggio Emilia, Modena, Bolzano, Padova, Piacenza, Parma, Forlì, Trento e Venezia. Si potrebbe dire: semplice fare le piste ciclabili in queste grandi città! Ma sarebbe solo l’alibi, per dire che qui non possiamo far nulla perché troppo pochi, piccoli e forse davvero poco uniti, in un territorio geograficamente complesso. L’Italia poi, non è certo al primo posto in Europa, per le ciclovie. Nella top ten, l’apice è occupato dalla Finlandia, a seguire Svezia, Olanda, Lussemburgo, Norvegia, Danimarca, Slovenia, Germania, Estonia e Austria. Italia “non pervenuta” neanche tra le prime dieci.

E la Sardegna? Nel 2014 nasce e si concretizza l’idea di iniziare un processo di costruzione di un Sistema di Mobilità Ciclistica diffuso a livello regionale quando la Regione, appunto, approva il Programma Regionale di Sviluppo (PRS) 2014-2019, nel quale identifica come obiettivo l’istituzione della rete regionale dei sentieri e delle piste ciclabili.

Segue a questa approvazione la deliberazione n. 27/24 del 28.05.2020 che ha a oggetto la Rete ciclabile regionale con cui si programma la prima quota del finanziamento di due milioni di euro per la Dorsale Centrale Nord-Sud. In mezzo due anni di pandemia e lavori di cui non si conosce la sorte.

Ma il progetto che riguarda l’Ogliastra ha radici più lontane e altri percorsi d’ideazione. Il Comune di Girasole fa da apripista e con un intervento da 700.000€ circa, realizza una pista ciclabile di un chilometro e mezzo, inaugurata nell’aprile 2016 dal sindaco Gianluca Congiu che in quell’occasione esprime il desiderio di allungare il percorso, in un’ottica turistica, anche verso Tortolì e Santa Maria Navarrese, dichiarando che il Comune di Girasole, capofila nell’Unione dei Comuni del nord Ogliastra, ha presentato alla Regione Sardegna una richiesta di finanziamento. Anche i sindaci degli altri Comuni coinvolti: Baunei, Lotzorai e Tortolì ne confermano l’importanza strategica per lo sviluppo del territorio. Ma poi che cosa ne è stato di quel sogno e di quel progetto? Lo abbiamo chiesto ad Alessio Seoni, in qualità di attuale presidente dell’Unione dei Comuni del Nord Ogliastra.

[L’intervista integrale è sul numero di Giugno de L’Ogliastra]

Accoglienza

Accogliere, voce del verbo amare

di Augusta Cabras.

Si costruisce così l’accoglienza, su quel verbo bistrattato ma sacro, spesso travisato ma vitale, necessario, indispensabile, per noi e per dare un senso alla relazione con gli altri. E se ora questa parola si è fatta più forte e a causa della guerra in Ucraina bussa alle nostre porte, in realtà non dovremmo mai metterla in soffitta. Ciascuno di noi, ogni giorno fa esercizio di accoglienza: con i propri cari, con i colleghi di lavoro, con le persone che incontra. Accogliamo e veniamo accolti, con le nostre fragilità e la nostra umanità.

Ma ci sono momenti storici che ci investono di un compito più grande: accogliere chi arriva da lontano, chi non parla la nostra lingua, chi non condivide con noi passioni, interessi, affetti, chi sta attraversando un’esperienza di dolore e negli occhi ha impressi i segni del lutto. Perché la guerra questo fa! Imprime, se non uccide, segni indelebili di sofferenza, tracce incancellabili di angoscia, memorie di pianti, grida, orrore. Appena è iniziato l’esodo degli ucraini, in tutta Europa si sono messe in atto azioni utili per accogliere i profughi. La vicinanza geografica ha avuto un ruolo importante, anche nel toccare la sensibilità delle persone e la responsabilità mostrata dagli Stati è da considerarsi lodevole.

E questo impegno, profuso con tempestività e solerzia, è diventato la prova lampante che l’accoglienza, di fronte alla disperazione di chi scappa dalla guerra e/o dalla povertà, è la strada giusta e praticabile per salvare milioni di vite umane. Sempre. Ad ogni latitudine. Senza distinzione. Invece ancora oggi assistiamo (impotenti?) a situazioni in cui uomini, donne e bambini, nella nostra civile Europa, sotto un orribile filo spinato di recente memoria, non ricevono neanche un pezzo di pane e un bicchiere d’acqua e battono i denti a causa del freddo, con i piedi immersi nella neve. Non possiamo tollerarlo! La nostra coscienza intorpidita dovrebbe avere un sussulto e ribellarsi. Se non lo si fa il rischio è che la forza, la grandezza, l’intensità dell’accoglienza e di ciò che la muove, sia inversamente proporzionale alla diversità, alla distanza geografica e culturale tra chi dovrebbe essere accolto e chi dovrebbe accogliere. Non possiamo permetterlo!

Le storie di queste pagine sono il segno che l’Ogliastra è terra d’accoglienza e queste esperienze possono essere stimolo per accogliere, seppure con qualche limite e difficoltà, fratelli e sorelle, vicine e lontane anche per geografia e cultura, condividendo il privilegio di vivere in una terra in pace.

«Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).