In breve:

Non abbiamo voluto imparare

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di Claudia Carta.
«Sono stato sette anni militare con le stellette. Venivo in licenza e rientravo in servizio. Ero centralinista a Sassari al Comando Divisione per tutto il periodo di guerra, dal ’43 al ’45. Mi ricordo anche una delle ultime telefonate:mi chiamò il generale Antonio Basso. Eravamo di stanza in una cantoniera, nella colonna di inseguimento ai tedeschi che stavano cedendo tutte le postazioni. Il generale, però, non volle attaccare. Nessun conflitto è stato fatto.
Quella mattina in servizio c’ero io. Di solito eravamo in quattro a prestare servizio: tre di giorno e uno di notte. Squillò il telefono del centralino. Ho risposto subito. “Sono il generale Antonio Basso – mi disse – passami subito il 40° Artiglieria”. Era il reggimento che garantiva la nostra difesa. Avevamo paura che da un momento all’altro si sarebbe dovuto attaccare. Il moschetto sempre pronto, ma non abbiamo sparato mai nemmeno una cartuccia. Mai.
Il colonnello del reggimento rispose immediatamente alla comunicazione. E Basso aggiunse: «Vi raccomando di aprire il fuoco contro il porto di Santa Teresa di Gallura e non contro l’abitato. Non contro l’abitato. Intesi? Quattro ore di fuoco accelerato a volontà». E l’artiglieria iniziò a sparare, con un frastuono indescrivibile. Al cessate il fuoco, siamo avanzati fino all’altipiano di Santa Teresa, con il divieto assoluto di passare al porto – per il pericolo di residui di guerra inesplosi – e al centro abitato, più che altro una piccola borgata di una decina di famiglie. Il moschetto era pronto. Ancora. Ma non ho mai sparato nemmeno una cartuccia contro un altro uomo. Mai».

Francesco Mura. Classe 1918. Seduta di fronte a lui nella sua casa di via Cairoli, a Jerzu, piange mentre mi ripete l’ultima frase. Quel mai, pesante come un macigno. Forte come una certezza. Nei suoi occhi, il mondo si è fermato a quel giorno, in quella telefonata, davanti a quell’ordine. Il terrore di uccidere un altro uomo. Un uomo come lui. È la guerra. E lui la conosce bene.
Oggi Francesco Mura non c’è più, si è spento a un soffio dai cento anni. Chissà cosa avrebbe detto sentendo di carri armati, bombe e artiglieria cento anni dopo. Chissà cosa avrebbe pensato guardando quei soldati che sparano, e non solo sulle “divise dell’altro colore”. Chissà cosa avrebbe provato vedendo milioni di bambini e donne in fuga sotto i colpi incessanti dei mortai.
Niente. Avrebbe pianto. Ancora.
Perdonaci, Francesco. Non abbiamo voluto capire. Non abbiamo voluto imparare.

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