In breve:

Editoriale

Chiesa e Lavoro

Come la Chiesa in Sardegna ha creato lavoro

Le dieci Diocesi della Sardegna nel triennio 2018 – 2020 hanno attivato 3703 posti di lavoro, per 228 interventi, nei diversi settori dei Beni Culturali Ecclesiastici e della Nuova Edilizia di Culto.
Le risorse messe in campo – per un totale di 54.002.866,78 euro, di cui 9.190.094,92 per i Beni Culturali Ecclesiastici e 44.812.771,86 per la Nuova Edilizia di Culto – sono arrivate direttamente dall’8xMille alla Chiesa Cattolica e da contributi degli enti pubblici, delle Diocesi e delle comunità parrocchiali.

I numeri degli investimenti, spesi sui territori diocesani, sono significativi:

Ales-Terralba euro 3.774.795,90;

Alghero-Bosa 6.471.497,00;

Cagliari 5.981.178,00;

Iglesias 4.386.956,02;

Lanusei 7.465.898,86;

Nuoro 7.279.159,00;

Oristano 4.615.831,00;

Ozieri 3.938.049,00;

Sassari 3.715.286,00;

Tempio-Ampurias 6.374.216,00.

Questo concreto impegno della Chiesa sarda è un piccolo segno di quella speranza che fiorisce nel giorno che viviamo e che apre alla speranza più grande dell’essere per sempre gli uni accanto agli altri, una sola famiglia in Cristo.

Ogni Diocesi si avvale dei propri competenti Uffici diocesani per i Beni Culturali Ecclesiastici e per la Nuova Edilizia di Culto che si occupano di restauri e funzionalizzazione edilizia, valorizzazione di musei, archivi e biblioteche diocesane, catalogazione di beni culturali mobili e immobili, installazione di impianti di sicurezza, restauro di organi a canne e custodia, mediante volontari associati, di edifici di culto.

I progetti coordinati e valutati dall’Ufficio Nazionale per i Beni Culturali Ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana hanno portato, in Sardegna:

  • ad attivare, nell’ultimo triennio, un centinaio di cantieri di restauro architettonico;
  • a mettere in campo, per una più puntuale azione di conoscenza, e di salvaguardia, un esteso programma di catalogazione e studio dei beni storici artistici mobili e immobili;
  • a rendere fruibili e a valorizzare, a favore delle comunità di pertinenza, degli studiosi e dei visitatori, la grande mole dei patrimoni archivistici bibliotecari e museali ecclesiastici.
  • Queste attività, oltre a sensibilizzare e portare all’azione gruppi di volontari associati, hanno permesso di qualificare specifici operatori, mediante periodici corsi di specializzazione voluti dalla CES e dalla CEI.

Gli stessi Uffici diocesani, all’interno della Consulta Regionale per il Patrimonio Ecclesiastico della Sardegna, stilando accordi, con l’approvazione e la supervisione della Conferenza Episcopale Sarda, anche con la Regione Autonoma della Sardegna.
L’ultimo in ordine di tempo, tuttora in corso, è “Sardegna in cento chiese”, un piano di recupero e valorizzazione dello straordinario patrimonio storico-artistico e architettonico di pertinenza ecclesiastica e che rientra nel più ampio Piano Operativo Regionale per i fondi strutturali europei.

Nell’ultimo triennio le Diocesi hanno potuto realizzare ex novo o rifunzionalizzare, in tutta l’Isola, diversi complessi parrocchiali. Questi, oltre a svolgere la loro precipua funzione di luoghi di culto e di incontro dei fedeli, svolgono una inderogabile azione di cura e di attenzione alla persona umana, ponendosi come punti di riferimento nella riqualificazione di aree urbane degradate, nei settori dell’assistenza ai poveri, di formazione alla socialità per giovani e non, e di promozione socio culturale per le comunità di riferimento.

POLITICA-SFONDI-AREE

Appello dei cattolici sardi: «È tempo di unità e di buona politica»

di Mariano Simoni.
Non ci si salva da soli. Per battere il Covid in Sardegna è urgente la “buona politica”. Non sprechiamo la crisi!
Inizia con queste tre parole d’ordine l’appello inviato da un gruppo di oltre cento cattolici ai rappresentanti istituzionali e alle forze politiche e sociali della Sardegna. Il messaggio è chiaro: in questa emergenza sanitaria, economica e sociale le contrapposizioni e i conflitti politici e partitici devono cadere e lasciare il posto a una grande unità tra le forze politiche e istituzionali. Il bene della Sardegna e della sua gente vale molto di più di piccoli vantaggi elettorali.
«Noi cittadini sardi, cattolici ispirati dai valori del Vangelo, fedeli agli insegnamenti del Concilio Vaticano II e della dottrina sociale della Chiesa, convintamente riproposti dalle ultime illuminanti encicliche di Papa Francesco, ci dichiariamo preoccupati e angosciati scrivono i firmatari del documento residenti in diverse zone della Sardegna – per il precipitare della situazione economica della Sardegna, con il portato di sofferenze materiali e psicologiche per un numero crescente di persone appartenenti a tutti gli strati della società sarda, specie dei meno abbienti. Chiediamo pertanto a tutti, a partire da quanti hanno responsabilità pubbliche, nelle istituzioni e nelle altre organizzazioni della società, e a tutti gli uomini e a tutte le donne di buona volontà, un impegno corale che, nel rispetto delle differenze delle diverse appartenenze politiche e culturali, ci renda solidali e attivi per uscire dalla situazione di crisi e difficoltà antiche e attuali della nostra regione». 
Il documento parte dall’analisi della situazione. La Sardegna nel momento in cui ha bisogno della più grande ricostruzione morale sociale ed economica della sua storia contemporanea – che può iniziare proprio dalla lotta al Coronavirus e ai suoi devastanti effetti – risulta paralizzata da un insieme di contraddizioni che si scaricano soprattutto sui più deboli.
I contraccolpi del Covid 19 hanno ulteriormente aggravato le già precarie condizioni economiche e sociali della Regione. «L’aggiornamento congiunturale dell’economia della Sardegna del novembre 2020, pubblicato dalla Banca d’Italia, sottolinea la forte negatività di tutte le variabili (molto peggio di quanto accaduto a livello nazionale) dal Pil ai consumi, dalle esportazioni all’occupazione, dal fatturato agli ordinativi di tutti i settori dall’agricoltura all’industria, dal commercio, all’edilizia dal turismo ai servizi. Gli effetti di questa crisi strutturale – si legge nel documento articolato in sei punti, inviato per conoscenza a tutti i vescovi isolani – avranno pesanti conseguenze oltreché sul piano sociale anche su specifiche situazioni come l’emigrazione dei giovani istruiti, l’ulteriore spopolamento dei piccoli comuni, l’incremento dei livelli di povertà».
Le principali emergenze evidenziate dal gruppo di cattolici, che non si richiamano ad alcuna organizzazione o sigla associativa della chiesa organizzata, riguardano scuola (dove «si ampliano i divari tra i partecipanti a tutti i livelli»), trasporti (si toglie ai sardi il diritto costituzionale alla mobilità), sanità (tagli sistematici agli organici e annuncio di riforme penalizzanti nei confronti dei territori), farraginosità burocratica che compromettere i diritti di cittadini e imprese spesso «ostacolate anziché sostenute nella funzione di creare lavoro per uno sviluppo economico eco-sostenibile».
Tra le emergenze indicate dal gruppo di cattolici anche la famiglia e la politica segnata dal crollo della partecipazione dei cittadini sardi agli eventi elettorali e, spesso, da carenze programmatiche e attuative che rischiano di mettere a repentaglio i diritti della persona e perfino del rispetto della dignità umana. Nell’emergenza attuale, che riguarda tutti, a essere maggiormente colpite sono, come sempre, le fasce sociali più deboli della popolazione.
È il momento della buona politica, descritta con le parole di Papa Francesco:«Una politica che non sia né serva né padrona, ma amica e collaboratrice; non paurosa o avventata, ma responsabile e quindi coraggiosa e prudente nello stesso tempo; che faccia crescere il coinvolgimento delle persone, la loro progressiva inclusione e partecipazione; che non lasci ai margini alcune categorie, che non saccheggi e inquini le risorse naturali […] che sappia armonizzare le legittime aspirazioni dei singoli e dei gruppi tenendo il timone ben saldo sull’interesse dell’intera cittadinanza».

Strada

Lo sviluppo corre sulla strada. La 125? Pronta nel 2024

di Augusta Cabras.
Roberto Frongia, Assessore Regionale ai Lavori Pubblici della Regione Sardegna. A lui abbiamo chiesto un breve riepilogo delle tappe più importanti dell’opera, le cause dei rallentamenti, ma soprattutto lo stato dell’arte e il futuro di una strada che riveste da sempre un’importanza strategica per lo sviluppo del nostro territorio

Può ripercorrere le tappe più importanti della realizzazione di quest’opera?

Fin dall’inizio del mio mandato alla guida dell’Assessorato dei Lavori Pubblici ho chiesto tempi celeri per l’adeguamento della 125, un’arteria strategica per i collegamenti nell’isola ma interessata da iter progettuali e autorizzativi complessi e da ritardi inammissibili. Di più: è dei primi mesi del 2019 la mia richiesta – rimasta purtroppo disattesa – circa il commissariamento di alcune opere ritenute strategiche per lo sviluppo della Sardegna, tra cui proprio l’Orientale Sarda, a dimostrazione dell’importanza che fin dal principio è stata riservata dalla Regione a quest’opera. In tutti questi mesi abbiamo lavorato dietro le quinte con la società Anas, coinvolgendo anche i sindaci dei Comuni interessati. A più riprese, nel corso degli incontri promossi nella sede dell’Assessorato LLPP, abbiamo recepito le loro istanze e raccolto i loro dubbi, cercando sempre di dare risposte concrete e avanzare soluzioni alle perplessità che via via venivano manifestate. Soprattutto, dagli amministratori locali abbiamo accolto l’invito a proseguire per portare a compimento la 125 e, grazie al rinnovato clima di collaborazione con Anas, oggi posso dire che la Regione ha impresso una forte accelerazione. Sono convinto che portare a completa realizzazione questa strada sia un dovere per due ordini di motivi: lo dobbiamo alle comunità coinvolte a cui per anni abbiamo promesso collegamenti certi in tempi brevi e lo dobbiamo a chi, in questa strada, ha perso la vita. Non è più tollerabile che sulle strade della Sardegna si registri un indice di mortalità superiore alla media nazionale. La Sardegna ha urgente bisogno di strade sicure, collegamenti celeri, vie di comunicazione con elevati livelli di percorribilità.

Quali sono state a oggi le cause che ne hanno rallentato la realizzazione e come si sta ponendo rimedio?

I problemi maggiori, per almeno due dei lotti, sono risultati legati alle imprese (fallimento, quindi risoluzione del contratto, e necessità di procedere a nuovo appalto delle opere). In un caso il rallentamento è stato causato da un ritrovamento archeologico in località Fusti’e Carca, a circa due chilometri e mezzo dall’abitato di Tertenia, in direzione Sud per Cagliari, che ha imposto la sospensione dei lavori. In quel caso è stato necessario progettare una variante al tracciato e procedere con un nuovo iter autorizzativo sulla base del nuovo percorso. Lei mi chiede quali sono state a oggi le cause che ne hanno rallentato la realizzazione: ebbene, a monte c’è un problema che si chiama Codice degli appalti e che ha evidenti ripercussioni sui tempi di realizzazione delle opere pubbliche e quindi anche di quest’opera. Le strade della Sardegna, compresa la 125, necessitano di una semplificazione vera che punti alla modifica del Codice degli appalti, condizione necessaria per portare a compimento la realizzazione degli interventi. Un progetto stradale in Sardegna richiede fino a 40 pareri dovuti, che coinvolgono altrettanti Enti, a cui si aggiungono quelli necessari in corso d’opera. Il risultato è che – tra aggiornamenti progettuali richiesti, intoppi burocratici, cambi normativi e interlocuzioni varie – il tempo medio per la realizzazione di un tratto di strada è di 15 anni. Nel 2020 questo non è più tollerabile.

Attualmente la situazione qual è e quali sono gli attori coinvolti?

Per quanto riguarda il lotto Tertenia-Tortolì (quarto lotto, secondo stralcio, finanziamento complessivo di 40 milioni circa), di recente è stato firmato il contratto con l’impresa Salc ed è di questi giorni la consegna dei lavori. Ricordo che, proprio a causa del fallimento dell’impresa, i lavori erano fermi dal 2018! Dopo uno sforzo imponente da parte di Regione e Anas il cantiere è stato riaperto senza dover necessariamente procedere con una nuova gara. Per quanto riguarda il tronco Tertenia-San Priamo (primo lotto, primo stralcio, finanziamento complessivo 58 milioni di euro), dopo la sospensione dovuta alla necessità di una variante in seguito a ritrovamento archeologico, i lavori sono ripresi e procedono con normalità. Riteniamo che il tratto possa essere aperto al traffico entro l’estate e questo mi sembra un risultato importante. Buone notizie, sempre sul fronte dei tempi, arrivano anche per quanto riguarda il secondo tratto Tertenia-San Priamo (primo lotto, secondo stralcio, finanziamento complessivo di 100 milioni di euro). Anche in questo caso il tratto aveva subito un forte rallentamento sempre a causa del fallimento dell’impresa: all’inizio dell’anno è prevista la Conferenza dei servizi per l’ottenimento di tutte le autorizzazioni che porteranno all’inizio dei lavori.

Quando potrà essere percorsa tutta la Nuova Statale 125? E con quali tempi?

Riteniamo verosimile darci come termine la fine della Legislatura, di certo lavoreremo affinché per il 2024 sia percorribile tutta la strada. Le trasformazioni sociali ed economiche non possono prescindere dall’adeguamento infrastrutturale dei territori, dato che infrastrutture moderne ed efficienti sono fonte di sviluppo e strumento per migliorare la qualità della vita dei cittadini. Partendo da questo presupposto posso garantire l’impegno concreto e costante della Regione affinché la nuova 125 possa finalmente vedere la luce ed essere veicolo di sviluppo per i territori coinvolti. Siamo impegnati in una opera di modernizzazione ed efficientamento della rete viaria sarda che in un anno e mezzo di lavoro ha dato risultati straordinari. Abbiamo davanti uno scenario nuovo che si basa su cantieri aperti, delle volte in modalità di lavoro h24, opere sbloccate dopo anni di inerzia e già appaltate, a cui si aggiunge la particolare attenzione che stiamo rivolgendo alla progettazione (con iniezione di risorse regionali) per aiutare i comuni che, pur denunciando la necessità di infrastrutture, non hanno avuto finora la possibilità economica di portare a termine i progetti.
Aggiungo un elemento che ritengo fondamentale in questo momento storico: riteniamo necessario e opportuno che i fondi del Recovery fund, oltre che alla viabilità statale, siano destinati anche al finanziamento di opere relative alla rete stradale di interesse regionale e per questo abbiamo scritto al ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Quali benefici porterà a lungo termine quest’opera?

Competitività, accessibilità, sviluppo del territorio, ma voglio prima di tutto soffermarmi sul tema della sicurezza perché la necessità di ripristinare le condizioni di sicurezza dell’Orientale Sarda, troppo spesso caratterizzata da incidenti stradali gravissimi, rappresenta un obiettivo primario che con determinazione stiamo cercando di raggiungere. In generale stiamo parlando di un’arteria strategica per i collegamenti dell’Isola e gli effetti diretti di una infrastruttura stradale di queste proporzioni saranno notevoli sotto tutti i punti di vista. Maggiore sicurezza, miglioramento della viabilità e facilità di spostamento porteranno importanti miglioramenti nella vita dei cittadini. A giovarne sarà anche l’economia, dato che il completamento dell’opera porterà benefici dal punto di vista dello sviluppo economico poiché andrà a colmare quel gap infrastrutturale che storicamente interessa queste zone.

Anziani soli

Seconda ondata Covid: “Dovevamo preparaci prima”

di Aurelia Orecchioni.
Lo scorso 9 novembre lo storico colosso farmaceutico Pfizer e il suo partner tedesco BioNTech hanno reso una dichiarazione di caratura mondiale su quella che potrebbe diventare una svolta cruciale nella lotta alla pandemia: il loro vaccino sperimentale, somministrato in due dosi e nella fase finale degli studi clinici, ha mostrato sulla base di dati preliminari un’efficacia superiore al 90% contro il Covid-19. Risultati che, se confermati nel tempo, consentiranno alle imprese di chiedere un via libero straordinario per il vaccino alla authority Usa forse già entro la fine del mese.
Una notizia che dà speranza e che permette di guardare ai prossimi, difficili, mesi invernali con un pizzico di fiducia in più, nonostante la situazione sia tutt’altro che rosea.
Abbiamo fatto il punto con il segretario provinciale Uil-Fpl Ogliastra, Aurelia Orecchioni, cercando di capire con lei le principali differenze rispetto al periodo di inizio pandemia (marzo/aprile), quelle che sono le attuali criticità – compreso il grosso problema relativo alle visite e ai controlli ambulatoriali annullati –, le prospettive per i mesi futuri, con un occhio di riguardo alle persone più fragili ed esposte, come gli anziani delle nostre comunità, in particolare quelli ospitati nelle strutture assistenziali a cui è preclusa la visita di parenti e amici.

Il Covid-19 ha modificato profondamente il nostro modo di vivere e di relazionarci con le persone, soprattutto con gli amici e i parenti.
La differenza tra marzo e oggi forse è la paura, paura perché a marzo-aprile in Ogliastra avevamo pochissimi casi, adesso invece il virus è arrivato in modo prorompente, i casi, purtroppo, sono sempre in aumento e mai come oggi, noi operatori sanitari, siamo in prima linea, spaventati e preoccupati, non solo per noi ma anche per i nostri cari.
Dovevamo prepararci prima, andando a potenziare da subito le unità Usca e l’Igiene Pubblica per riuscire a tracciare i positivi e i contatti; dovevamo pensare da subito a rafforzare il nostro Laboratorio Analisi in modo da processare in autonomia i tamponi senza doverli portare in altre sedi, Nuoro o Cagliari che fosse, e comunque prevedere che l’Ogliastra non sarebbe rimasta immune da questa pandemia.
Si sta cercando il più possibile di recuperare le visite rinviate a marzo-aprile e le ulteriori prenotazioni, con non poche difficoltà e con grande lavoro e impegno. Non è facile, inoltre, per gli utenti prenotare le visite tramite un messaggio al telefonino e non tutti hanno un livello di approccio agli strumenti tecnologici ottimale, basti pensare alle persone di una certa età e agli anziani, ma non solo.
Questa pandemia ha fatto emergere la fragilità proprio delle persone più avanti negli anni, che se sfortunatamente sono ricoverati in ospedale o nelle strutture private, non possono vedere i loro familiari, cosa per loro difficile da capire e accettare: non possono avere nessun contatto affettivo, anche se a sopperire ci sono gli operatori sanitari, ma non basta. Gli anziani, mai come in questo momento, vanno tutelati e protetti, quindi tutte le raccomandazioni che ci vengono date devono essere rispettate.
Noi sanitari ogni giorno con tenacia, nonostante l’inquietudine, stiamo dando il massimo per fornire le cure necessarie, temendo che il sistema sanitario non possa reggere. Con l’arrivo della stagione invernale e dell’influenza servirà un ulteriore sforzo e un aiuto da parte di tutti rispettando le regole: mascherina, distanziamento, lavaggio delle mani.
Solo cosi riusciremo a sconfiggere il Covid 19.

Carceri

Carceri, Caligaris: “In Sardegna situazione drammatica”

di Mario Girau.

«Il carcere così come lo conosciamo (a parte qualche eccezione) non è in grado di svolgere la funzione per la quale è stato istituito».

Maria Grazia Caligaris, socia fondatrice dell’associazione culturale di volontariato sociale Socialismo Diritti Riforme, da quasi vent’anni ha puntato i riflettori del suo impegno personale, politico (consigliera regionale per una legislatura) e anche di giornalista sul pianeta complesso come quello carcerario, caleidoscopio di problemi che molto spesso escludono un soluzione unica, uguale per tutti. «Il reintegro sociale – dice la professoressa Caligaris, per molti anni insegnante di Lettere alle scuole superiori – non può avvenire senza interventi individualizzati con personale altamente qualificato e in numero adeguato ai reali bisogni. A Cagliari-Uta per oltre 500 detenuti ci sono 7 funzionari giuridico-pedagogici. In Sardegna ci sono tanti giovani laureati con specializzazioni nel settore socio-psico-culturale che potrebbero svolgere un importante ruolo».

L’esperienza del carcere è sicuramente sconvolgente per una persona “normale”, ma lascia il segno anche in quelle dalla scorza molto dura e non certo “stilnovisti” per vocazione.

L’ingresso in un Istituto Penitenziario è un’esperienza drammatica, sempre. Lo è anche per chi, suo malgrado, vi fa ritorno dopo avere riassaporato la libertà. La detenzione segna l’esistenza di una persona in maniera indelebile. Ne condiziona la vita personale e familiare per più generazioni. Diventa ancora più pesante quando l’iter della giustizia porta dietro le sbarre una persona dopo che sono trascorsi 5/10/12 anni dal reato, quando cioè la sua esistenza ha trovato un equilibrio e non ha più commesso alcun atto riprovevole. Anche un singolo episodio, non particolarmente grave, può avere effetti devastanti.

Perché tutto questo succede?

La detenzione trasforma la persona in un numero, la infantilizza, per qualunque necessità deve fare una domandina, cioè compilare un prestampato che seguirà all’interno un tortuoso iter prima di poter avere una risposta. Non sempre peraltro la si ottiene. Il peggior nemico è l’inattività. Trascorrere intere giornate dentro una cella con due o tre persone (quando va bene) su una branda porta alla depressione. Le due ore d’aria, per giunta trascorse spesso in uno stretto corridoio o in uno spazio con alte mura di cemento, non aiutano. Non tutti i detenuti hanno la capacità di adattarsi alla cattività. Talvolta hanno problemi sanitari che la vita in carcere amplifica. Se i disturbi sono psichici, il ricorso a farmaci crea dipendenza e il detenuto tende a diventare vittima della sua condizione.

Per le donne in carcere probabilmente è ancora peggio

Le donne detenute, che costituiscono una percentuale di circa 4/5% (in Sardegna sono 37 mentre i ristretti complessivamente 2051), vivono la perdita della libertà con più sofferenza rispetto alla maggior parte della componente maschile. Le donne vivono un profondo senso di colpa, pensano ai figli che non possono accudire, ai familiari lontani. Guardano a una realtà familiare preoccupante. Se sono mamme con creature di pochi mesi (perlopiù straniere extracomunitarie e/o Rom) vivono la carcerazione con i bimbi al seguito, spaventate dalla condizione ma anche incapaci di trasformare quella drammatica esperienza in un’occasione di crescita, nonostante il forte impegno delle Agenti della Polizia Penitenziaria e delle educatrici (funzionari giuridico-pedagogici prevalentemente di sesso femminile).

È possibile trasformare il carcere veramente in una struttura rieducativa?

C’è una precondizione fondamentale, da aggiungere a quanto detto in precedenza: lo Stato deve investire sul versante della formazione e della specializzazione di giovani professionisti nel settore socio-psico-culturale – perché la nostra società produce malessere esistenziale, violenza e delinquenza – da impiegare dentro il mondo carcerario. Ciò è particolarmente importante per i minori – anche se la realtà detentiva minorile è molto più ricca di occasioni di recupero – e per i giovani adulti che a 20 anni si ritrovano in cella con persone molto più anziane in tutti i sensi.

Che cosa fare per evitare prigioni sovraffollate? Costruire nuove carceri non sempre è possibile.

Costruire nuove carceri non serve. Occorre invece pensare a risanare la società promuovendo nuovi modelli di comportamento attraverso un sistema valoriale in cui il consumismo abbia un peso minore di quello attuale e dove le persone, di ogni età, possano condividere progetti solidali e di integrazione reale. La marginalizzazione, che si rivela una pratica molto in uso, non sembra produrre effetti positivi. Sul fronte della detenzione, sarebbe opportuno investire nelle Colonie Penali. In Sardegna sono tre (Isili, Is Arenas e Mamone) praticamente vuote. Lo scorso 31 agosto a Isili erano presenti 68 detenuti per 117 posti; a Is Arenas 70 per 176 e a Mamone 133 per 360. Investire sul lavoro realizzando percorsi riabilitativi per piccoli gruppi di ristretti affini per problematiche psico-sociali. Rafforzare le Comunità terapeutiche e le Case-famiglia per persone con doppia diagnosi. Oggi le dipendenze sono molteplici: dalla ludopatia alla cocaina ai farmaci. Sfumature diverse richiedono spazi e operatori penitenziari organizzati in equipe psico-socio-pedagogiche. Ci sono i detenuti in Alta sicurezza e quelli al 41bis. C’è il problema dei sex offender, con qualche iniziativa interessante ma non sufficiente. C’è la questione dei suicidi e degli atti di autolesionismo. Giusto chiudere gli ospedali psichiatrici giudiziari, ma le REMS (Residenze per le misure di sicurezza) non sono sufficienti per i malati psichiatrici più gravi e pericolosi e non ci sono adeguate strutture per chi è sofferente mentale ma deve scontare una pena. Così finiscono dietro le sbarre persone malate.

Non c’è lavoro per un ex detenuto. La vita non riparte da zero soprattutto per i più deboli e una vita da disperati riapre spesso le porte del carcere.

Non è facile parlare della detenzione. È un capitolo con tanti paragrafi in cui protagonista è la sofferenza individuale e quella degli operatori troppo spesso lasciati soli. In Sardegna mancano all’appello 5 direttori e 10 vicedirettori. Il personale sia della Polizia Penitenzia sia degli educatori non è sufficiente per garantire attività e prospettive. Attualmente è in crisi anche quello amministrativo. Un quadro desolante per un sistema che dovrebbe essere un esempio di efficienza. Il volontariato è importante, ma non può e non deve supplire quanto piuttosto collaborare con l’Istituzione e fare da pungolo per migliorare il sistema. Promuovere una cultura che guardi alla persona oltre il reato e la condanna. Lo Stato non può considerare la detenzione come uno spazio-parcheggio in cui collocare in modo indiscriminato persone con analoghe condanne e aspettare che il tempo trascorra. Senza interventi mirati, una persona anche dopo 20 anni galera, se autonomamente non farà il salto di qualità dedicandosi con fatica allo studio, resterà quello che era. Tornerà alla vita di prima, invecchiato, incattivito, senza lavoro. Lo Stato avrà così perso l’ennesima partita.

Pastorale turismo 1

Una Chiesa che invita a riflettere con gioia

di Giacomo Mameli.

Una Pastorale del turismo come un esame di coscienza su un oggi dominato da disuguaglianze crescenti, precarietà dominante, pochi progetti sul domani: