In breve:

Volti e persone

MusA

Carlotta, una MusA nel cuore di Lanusei

di Anna Maria Piga.

Il cognome Musa, considerando l’estro artistico, potrebbe apparire come uno pseudonimo di Carlotta, ma è proprio il suo cognome di famiglia. Nata a Cabras luogo del cuore di cui indossa, per le feste, splendidamente il costume, lanuseina di adozione, Carlotta Musa dieci anni fa ha felicemente sposato Gian Domenico Contu con cui ha costruito casa e insieme sono genitori di Gabriele, Amelia Magdalena e Nicolò Giovanni.

Coppia impegnata socialmente: fiduciosi nella possibilità di conservare e attualizzare le tradizioni, per continuità con le scelte familiari e per offrire un futuro di qualità ai propri figli e alla cittadina in cui hanno scelto di fermarsi.

Gian Domenico è presidente dell’Associazione Maria Ausiliatrice che l’ultima domenica di luglio annualmente organizza la tradizionale festa nella chiesa campestre e nella città di Lanusei.

Da sempre impegnato nella Proloco, è attualmente il Presidente dell’importante organismo che anche in questo anno ha dato ottima prova di sé nella organizzazione della Fiera delle Ciliegie.

Carlotta, Maestro d’Arte: studi all’Istituto Statale d’Arte di Oristano e all’Accademia Belle Arti Mario Sironi di Sassari, ha messo a frutto la sua passione per il bello lavorando per un’azienda, Punto oro, e dal 29 giugno 2024 un piccolo spazio di famiglia nel centro storico di Lanusei le suggerisce l’idea di mettersi in proprio e impegnarsi nell’attività che le è più congeniale.

MusA Spazio Arte è infatti il nome che Carlotta Musa, artista e ceramista, con una laurea in Decorazione conseguita in Accademia, ha dato al suo piccolo negozio, che è una vera novità, si potrebbe dire che è “una nicchia per prodotti di nicchia”.

È lei a raccontare quali siano stati i motivi e le suggestioni che hanno determinato la scelta di cimentarsi nell’originale impresa commerciale: «Conciliare tutto non è mai semplice – commenta –. Essere mamma, lavorare, seguire le proprie passioni sembra una corsa continua. Alla mia terza gravidanza, le complicazioni avute durante il parto mi hanno costretta a fermarmi, a guardare tutto con occhi diversi. Mi sono fermata a riflettere sul valore del tempo, delle priorità e del bisogno di rallentare per godermi la famiglia. Da qui la decisione, tutt’altro che semplice, di lasciare il posto fisso e reinventarmi. Così ho deciso di riscoprire le mie passioni, maturate nel corso degli studi e alimentate da una forte sensibilità artistica».

È così che prende forma MusA Spazio Arte, un piccolo negozio di 30 mq situato nel cuore di Lanusei, nato per unire creatività, cultura e tradizione. «Questo spazio mi consente di conciliare tutto – spiega l’artista –: la maternità, il ruolo di moglie e la mia identità di donna. Al mattino i bambini sono a scuola, e nel pomeriggio io e mio marito Giando ci alterniamo per stare con loro. È un equilibrio non sempre semplice, ma autentico e possibile grazie anche all’aiuto dei pochi parenti rimasti a Lanusei. Nel retrobottega, coperto dagli scaffali, silenzioso ma presente c’è un forno per la ceramica che aspetta ispirazione. Un giorno vorrei aprire lo spazio anche a laboratori creativi per grandi e bambini. Un luogo vivo, dove esprimersi liberamente.

Musa Spazio Arte – rivendica con orgoglio Carlotta – non è solo un negozio: è un luogo che racconta una storia di coraggio, passione e radici. Uno spazio che cresce, muta e si evolve insieme a me, e che punta a diventare una piccola fucina di cultura e bellezza per l’intera comunità ogliastrina.

Anche la lettura – il progetto è in itinere – è da sempre una mia grande passione e sogno, un giorno, di poter organizzare incontri con gli autori, magari accompagnati da un aperitivo, per creare momenti di dialogo e condivisione. Vorrei che questo spazio diventasse un punto di riferimento culturale per Lanusei e i paesi vicini».

L’idea maturata nel tempo nasce, quindi, con l’intento di portare una ventata di freschezza e innovazione nel cuore di Lanusei. Vuole essere una piccola boutique, dal carattere giovane e dinamico, che si distingua offrendo ai visitatori un’esperienza unica.

Il piccolo spazio può apparire un limite, ma la professionalità e il gusto artistico danno la possibilità in soli trenta metri quadri, di combinare artigianato di alta qualità con una selezione accurata di prodotti tipici, esposti in maniera creativa e versatile.

L’attenzione per i dettagli e la cura nella esposizione si riflette in ogni angolo della bottega: ceramiche artigianali, distillati pregiati, tessili tradizionali, libri d’arte, vini locali, composte, marmellate, miele, gioielli, profumi e molto altro ancora trovano qui la loro perfetta collocazione.

Nulla è lasciato al caso: ogni oggetto esposto rappresenta l’eccellenza della produzione artigianale sarda e racconta una storia di passione e dedizione.

Cultura e passione personale sono alla base delle scelte che variano a seconda delle stagioni e delle festività. Il tutto è supportato da confezioni e involucri di circostanza, che anche quando rappresentano il prodotto sardo, e quindi la Sardegna e suoi costumi, non sono mai banali o dozzinali.

I numerosi viaggi fatti nel tempo dalla professionista, in Italia e in Europa, hanno affinato e arricchito il suo originale e colto approccio agli oggetti. Che l’innovativo punto vendita sia un crocevia di incontri artistici e culturali lo dimostra la collaborazione con gli eventi che si sono succeduti anche nel recente passato, come in occasione del Festival dell’arte Onde creative, a giugno, a cura del Liceo artistico Mario Delitala di Lanusei che celebrava l’acqua come forza creatrice e che ha accolto opere d’arte a tema e significative, e negli spazi circostanti, ha creato momenti di dialoghi tra studenti e artisti disponibili al confronto, convinta – come lo è Carlotta – che il gusto dell’arte ha necessità di essere veicolato perché possa diventare patrimonio delle giovani generazioni.

Maurizio PIttau

Radio Dublino: un ponte tra Irlanda e Italia

di Anna Maria Piga.

Maurizio Pittau: da Tortolì a Dublino. Prima “per caso”, poi per la vita. Quando una piccola idea diventa un progetto internazionale

Sono tantissimi i giovani italiani che, pur diventando ottimi cittadini del mondo, mantengono lo sguardo rivolto al proprio paese d’origine. Tra loro c’è Maurizio Pittau, nato a Tortolì e cresciuto in Ogliastra. Dopo il Liceo Classico, ha studiato Economia a Cagliari e ha iniziato a lavorare nella cooperazione internazionale, prima come volontario e poi come consulente. Dal 2021 cura la sezione dedicata all’Irlanda del Rapporto Italiani nel Mondo di Fondazione Migrantes, edito dalla CEI. Vive e lavora a Dublino nel campo della comunicazione, occupandosi di marketing per una grande società di consulenza internazionale.

Cosa ti ha portato in Irlanda e come è nata l’idea di trasferirti all’estero?

Nel 2007, mentre lavoravo a Milano e frequentavo un master al Politecnico, ho attraversato una crisi di fiducia nel futuro in Italia. Sentivo che il merito non veniva premiato e che il contesto sociale ed economico stava diventando sempre più sterile per chi, come me, cercava spazi di crescita. Scrissi sei città su sei foglietti – Londra, Dublino, Amsterdam, Helsinki, Barcellona, Bruxelles – e ne pescai uno a caso: uscì Dublino. In poche settimane feci i bagagli e partii.
All’inizio evitavo gli italiani, in una sorta di ribellione silenziosa verso il Paese che mi aveva spinto ad andarmene. Con il tempo, però, ho riscoperto il valore delle mie radici e, nel 2013, ho fondato Radio Dublino per creare un ponte tra l’Italia e la mia nuova casa. Una radio fatta per dare voce a chi vive tra due mondi. Ho acceso il microfono senza certezze, ma con tantissima passione. E da allora non l’ho più spento.
Quello che era nato come uno spazio per parlarsi tra connazionali è diventato uno strumento di dialogo interculturale. Oggi parliamo di migrazione, arte, musica, letteratura, economia, diritti, intelligenza artificiale. Siamo molto attivi sui social, produciamo eventi dal vivo e contenuti audiovideo.
È un progetto in continua evoluzione, come la comunità che racconta: una crescita naturale, guidata dalla comunità stessa. Radio Dublino è diventata una sorta di laboratorio permanente.

Nel 2015 sei stato nominato Language Ambassador of the Year dalla Commissione Europea. Qual è il significato di questo riconoscimento?

Ricevere quel riconoscimento è stata una grande sorpresa, ma anche la conferma che si può costruire qualcosa di importante partendo da poco, senza grandi mezzi, se si hanno passione, impegno e visione. Radio Dublino è una realtà artigianale, fatta di gratuità e volontariato. È stata la prova che anche una piccola radio può avere un impatto a livello europeo.
Quel premio ha significato che il nostro lavoro veniva visto, ascoltato, riconosciuto, e ha dato forza e legittimità a ciò che stavamo facendo: promuovere la lingua e la cultura italiana all’estero, anche attraverso strumenti non convenzionali. È stata la dimostrazione che anche una piccola idea, se coltivata con dedizione, può avere un grande impatto.

Come è nato l’Italian Fusion Festival, che celebra la cultura italiana in Irlanda?

È nato da un’idea semplice ma potente: celebrare l’incontro tra la cultura italiana e quella irlandese. Inizialmente, il festival era pensato per promuovere i migliori musicisti italiani e irlandesi che erano stati ospiti nei nostri studi radiofonici, ma poi è cresciuto, includendo arte visiva, poesia, design, cinema, gastronomia. Tutti linguaggi universali che mettono in connessione le persone anche quando non parlano la stessa lingua. Il festival è cresciuto anno dopo anno, ha dato visibilità ad artisti che vivono e creano in Irlanda e ha fatto nascere collaborazioni e connessioni umane. La cultura è uno strumento potente: unisce, emoziona, apre varchi.

Scrivendo il libro Economie senza denaro, sei stato un pioniere in Italia nella divulgazione dei sistemi di scambio non monetario.

Stavo concludendo i miei studi in Economia e valutavo una carriera nella cooperazione internazionale. Ma non volevo diventare un burocrate della solidarietà: volevo capire se fosse possibile immaginare modelli economici alternativi basati su relazioni, fiducia, scambio. Studiai esperienze da tutto il mondo: sistemi di baratto, banche del tempo, monete locali. Idee che sembravano utopie, ma che in molte comunità funzionavano davvero. L’idea era (ed è) semplice: l’economia deve servire le persone, non viceversa.

Che messaggio vorresti condividere con i giovani lettori del nostro giornale?

Non abbiate paura di partire. Ma nemmeno di restare. Non c’è una sola strada giusta. La vera scelta è tra vivere in superficie o in profondità. Cercate esperienze che vi mettano in discussione, che vi spingano a mettervi in gioco. Non serve trasferirsi in una capitale europea: anche nei piccoli paesi dell’Ogliastra si possono costruire ponti tra culture. Costruire un ponte tra culture diverse non richiede superpoteri.

Zichi

Dentro l’Archivio storico diocesano di Sassari

a cura di Gian Luisa Carracoi.

Storico della Chiesa, Direttore dell’Archivio Storico Diocesano di Sassari, nonché responsabile dell’Ufficio diocesano dei Beni Culturali dal 2005 al 2021, Mons. Giancarlo Zichi ha ricoperto diversi incarichi, tra i quali vicario episcopale per il laicato, delegato vescovile della consulta delle associazioni laicali, assistente diocesano dell’Azione Cattolica.

Autore di numerosi studi e pubblicazioni scientifiche sulla storia della Chiesa in Sardegna, di cui ricordiamo: Sorres e la sua diocesi; Gli Statuti conciliari sardi del legato pontificio Goffredo dei Prefetti di Vico (a. 1226); Il Circolo Silvio Pellico dal 1905 al 1930; Le riforme sabaude nel carteggio inedito tra il ministro Bogino e l’arcivescovo di Sassari Viancino (1763-1772); Santità simulata nella Sardegna del primo Ottocento. Il bizzarro caso di suor Maria Rosa Serra di Ozieri; L’abate vallombrosano di San Michele di Salvennor. Liturgie, attività pastorali di Adriano Caprari (1549-1607) e l’ultimo saggio, L’Azione Cattolica a Ossi fra passato e presente. Vicende e personaggi in 120 anni di storia.

Luminoso esempio di un immenso amore per Cristo e la sua Chiesa che don Giancarlo ha espresso e condiviso in sessantuno anni di sacerdozio vissuti in pienezza.

A che età ha sentito la chiamata al sacerdozio e qual è stato il suo percorso religioso e culturale?

Avevo tra i nove e i dieci anni quando ho svelato ai miei genitori e a mia zia, pia donna di A.C., il mio desiderio di diventare sacerdote. All’età di 11 anni sono entrato in seminario a Sassari dove ho frequentato anche il ginnasio, mentre a Cuglieri ho seguito il liceo e il corso filosofico-teologico. Terminato questo percorso non ero ancora pienamente soddisfatto, volevo approfondire di più la teologia e così, nel 1963, dopo aver celebrato la prima Messa, chiesi all’Arcivescovo don Paolo Carta di inviarmi a Roma per frequentare il V e VI anno di perfezionamento di Teologia presso la Pontificia Università Lateranense.

Era il periodo in cui si stava svolgendo il Concilio Vaticano II e questa esperienza, a contatto con docenti preparatissimi e dalla grande apertura culturale, è stata per me una grande opportunità.

Portati a termine questi due anni sono rientrato in diocesi e per volontà dell’Arcivescovo ho svolto il mio servizio sacerdotale a Sassari nella parrocchia di San Nicola e poi al Mater Ecclesiae.

Nel frattempo, per un desiderio culturale personale, mi sono iscritto alla facoltà di Lettere a Genova e nel 1973 ho conseguito la laurea, ma avevo nel cuore la grande passione per i documenti antichi, e desideravo continuare la scuola di archivistica, paleografia e diplomatica pontificia, così nel 1980 mi sono iscritto all’Archivio Apostolico Vaticano frequentando per due anni le lezioni e conseguendo il diploma. Tutto questo mi ha condotto sempre più verso la professione che mi è stata indicata dall’Arcivescovo Salvatore Isgrò, ossia quella di istituire l’Archivio Storico Diocesano di Sassari. Ci siamo riusciti, a gloria di Dio e della santa Chiesa. Era il 21 giugno 1984.

Qual era lo stato dei Fondi Archivistici della Diocesi ieri, e oggi?

L’Archivio prima non esisteva, i documenti erano sparsi qua e là in diversi ambienti della Curia. Con l’approvazione dell’Arcivescovo Salvatore Isgrò iniziai a raccogliere i documenti dalle parrocchie, i primi Quinque Libri e i documenti del Capitolo, ma l’ambiente in cui iniziammo a custodirli non era abbastanza adeguato. Era un locale dell’episcopio, ex casa dei custodi dell’arcivescovo, umida e oscura. Con la presenza e l’aiuto della divina Provvidenza e grazie alla collaborazione della Regione Sardegna è stato possibile provvedere alla microfilmatura e successivamente alla digitalizzazione dei Quinque Libri, di alcune tra le serie più importanti del fondo Capitolare e del fondo Arcivescovile, dei sinodi sardi e di circa trecento pergamene. Oltre a questi, nell’archivio è custodito il Fondo del Tribunale Ecclesiastico e altri versamenti tra i quali il prezioso fondo dell’arcivescovo piemontese Giulio Cesare Viancino.

Pian piano, nonostante le difficoltà, l’Archivio è stato aperto al pubblico. Abbiamo iniziato ad accogliere i primi studiosi e a pubblicare i primi volumi.

Dopo la morte nel 2004 dell’Arcivescovo Isgrò, feci presente al suo successore, l’Arcivescovo Paolo Atzei, che era necessario trasferire tutti i documenti d’archivio in un edificio più salubre. Così il 17 dicembre 2016, l’Archivio fu trasferito nel palazzo del Collegio Mazzotti, un edificio storico risalente agli anni Cinquanta, sito in piazza Duomo, nel centro della città di Sassari. Oggi, dopo il restauro dell’edificio, l’Archivio risulta una struttura molto accogliente e con un ottimo servizio di consultazione, frequentato da studiosi, ma soprattutto da chi vuole fare ricerca genealogica.

Nel suo cammino ci sono state delle figure molto importanti. Quali?

Da assistente della Fuci turritana e dei laureati cattolici mi sono avvicinato moltissimo alla figura di Paolo VI. Fu il suo discorso agli archivisti ecclesiastici pronunciato il 26 settembre 1963 a donarmi la carica di perseverare nella mia passione per la ricerca archivistica sotto la luce della Fede. «È il Cristo che opera nel tempo e che scrive, proprio lui, la sua storia, sì che i nostri brani di carta sono echi e vestigia di questo passaggio del Signore Gesù nel mondo. Ed ecco che, allora, l’avere il culto di queste carte, dei documenti, degli archivi, vuol dire, di riflesso, avere il culto di Cristo, avere il senso della Chiesa, dare a noi stessi, dare a chi verrà la storia del passaggio di questa fase di “transitus Domini” nel mondo».

Altra figura molto preziosa per il mio cammino è stata quella di Monsignor Selis. Quando io frequentavo il corso di Paleografia e Diplomatica in Vaticano, venivo da lui invitato presso l’Istituto Manzella per il pranzo fraterno e mi incoraggiava, oltre che nella pastorale religiosa, anche negli studi dei documenti pontifici.

La passione per lo studio dei documenti antichi è un toccasana spirituale?

Sì, un toccasana, che insieme all’attività fucina, ha conservato giovane il mio spirito rivolto all’amore della Chiesa affinché essa venga conosciuta e amata. Lo scorso 5 novembre, nell’Aula Magna dell’Università degli Studi di Sassari, si è svolta la presentazione del libro Studi di storia ecclesiastica e civile in onore di Giancarlo Zichi, evento promosso dalla Fondazione Accademia e dall’Università di Sassari. L’opera, coordinata da professor Antonello Mattone, è stata realizzata con il contribuito di illustri studiosi e archivisti. Un dono immenso che mi ha profondamente commosso.

 

Prendiamo in prestito l’elogio dell’arcivescovo Gian Franco Saba pronunciato in questa occasione per condividere come Mons. Zichi sia persona dal carattere amabile, studioso meticoloso e accurato, uomo luminoso che non ha mai disgiunto l’azione pastorale dall’azione culturale, lo studio sui testi dallo studio delle anime. Espressione di uno sguardo attento al passato, ma proteso al futuro.

 

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“Non possiedo nulla, ma è come se avessi tutto”.

di Paolo Balzano.

Paolo Balzano, 46 anni di Lanusei, verrà ordinato diacono il prossimo 26 aprile nel Santuario diocesano della Madonna d’Ogliastra. Ci racconta come sta vivendo e preparando questo importante momento della sua vita

In questo tempo di attesa in vista dell’Ordinazione diaconale cerco di stare con Gesù. La sua presenza, la sua compagnia, la sua amicizia, sono queste cose, che danno senso e sapore alla mia vita, ora. La preghiera accompagna la mia giornata. Passo ancora metà della settimana in seminario. Qui si prega in modo comunitario con gli altri allievi e i sacerdoti formatori. Una vita semplice, passata in letizia evangelica, nella condivisione degli spazi e dei beni più importanti. Un ambiente molto allegro, come sono quelli popolati dai giovani.

Appartengo da circa sei anni al Pontificio Seminario Regionale Sardo, la scuola dei preti dell’isola, che ha sede a Cagliari. Anni bellissimi. Avevo superato i trentanove quando abbandonai il mondo e la mia vita di prima. Avevo tutto, ma era come non avere niente. Ora non possiedo più nulla, ma è come se avessi tutto. Certo, non è stato facile. Ho dovuto accettare la disciplina, l’ubbidienza, proprio io che avevo sempre fatto tutto quel che volevo. Con la stessa franchezza ho usato la mia libertà per andare incontro a Dio. Ora dico che non mi ha abbandonato.

Nel percorso vocazionale ho avuto molto vicina la mia numerosa famiglia, in particolare mia madre. Mio padre se n’è andato vent’anni fa: non ho mai smesso di pensarlo e di pregare per lui. Certamente sarebbe stato contento di vedermi come sono oggi, mi ha trasmesso una fede discreta, amica più delle opere che delle esteriorità, il senso del lavoro. Ringrazio il Signore di avermi fatto crescere in una famiglia cattolica, che mi ha dato sempre un profondo affetto.

Ho trovato nella comunità diocesana un’altra famiglia adottiva. I seminaristi sono stati sorprendenti, davvero partecipi di questa fase finale del percorso di formazione verso l’ordinazione, dei veri fratelli. Vero appoggio ho trovato dai sacerdoti, dai diaconi e da molti operatori laici. In particolare a Lanusei, dove per altro il sostegno non mi è mai mancato da parte del parroco e della comunità.

Il vescovo mi ha insegnato a dare sapore al tempo. Questo tempo di attesa è saporoso se profuma di Cristo. Da qualche mese svolgo il mio servizio a Triei, Santa Maria Navarrese e Baunei. Ho imparato molto anche qui. Soprattutto come dividersi tra tre comunità. Non bisogna però dividersi, ma farsi moltiplicare, come ha fatto Gesù con i pani e i pesci. Cioè occorre donarsi. Mi occupo della formazione dei ragazzi, visito le famiglie e ricevo dagli anziani testimonianze di fede che spesso mi fanno arrossire.

Mi rendo conto di non avere le risorse necessarie per affrontare la missione che il Signore mi ha assegnato, ma devo portare Gesù ai fratelli, annunciare il suo Vangelo e non desidero nient’altro. Alla fine, secondo me, quel che importa è solo quel Dio pazzo, pazzo d’amore fino a morire, e per lui desidero oggi solo donarmi alla sua Chiesa, come uno sposo a una sposa.

Mario Lecca

Dalla Sardegna all’Antartico per studiare il clima

di Fabiana Carta.

Mario Lecca, 40 anni, di Austis, fisico meteorologo dell’Arpal (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente Ligure), ha fatto parte del gruppo composto da 13 persone durante la spedizione scientifica DC20, nella stazione italo-francese Concordia, sull’Altopiano Antartico

È terminata la DC20, la 39esima spedizione scientifica italiana in Antartide: il tuo compito era seguire alcuni progetti di ricerca nel campo della meteorologia e fisica dell’atmosfera. Quali risultati e scoperte hai portato a casa?

La base Concordia, che ha compiuto 20 anni proprio l’anno scorso, è una base scientifica ed è nata come supporto a uno dei più grandi esperimenti sul clima chiamato Epica che è arrivato a stimare il clima di 800mila anni fa, arrivando a una profondità di 2480 metri. Nel corso degli anni sono nati altri esperimenti in vari ambiti scientifici, dalla fisica dell’atmosfera alla meteorologia, sismologia, magnetismo, astrofisica e glaciologia. I miei ambiti di studio hanno riguardato la meteorologia con un osservatorio meteo permanente, lo studio della radiazione solare, studio di nubi e precipitazioni e del particolato atmosferico. L’analisi dei dati raccolti ha sempre un po’ di ritardo rispetto alle acquisizioni, tutti i campioni e i dati mandati in Italia e in Europa saranno analizzati nei prossimi mesi.

13 mesi nel cuore dell’Antartide, di cui 9 in completo isolamento perché nessuno avrebbe potuto raggiungere la base Concordia, a circa 4000 metri di altitudine e a -80 gradi centigradi, in un ambiente di aria secca carente di ossigeno. Come ci si prepara per una missione così estrema?

Gran parte della preparazione avviene dal punto di vista psicologico perché riprodurre quelle condizioni è pressoché impossibile. Ma anche la selezione dal punto di vista fisico è molto rigida, l’idoneità si ottiene dopo aver superato una serie di test psico-fisici presso l’ospedale militare di Roma, analoghe a quelle a cui si sottopongono i piloti dell’aeronautica militare: bisogna godere di ottima salute e in questo mi ritengo molto fortunato. La formazione prevede una settimana di permanenza sul Monte Bianco con la supervisione di guide alpine dell’esercito, più altre due settimane: una di formazione tecnica e una in cui, in presenza di due psicologi, si studiano le dinamiche di gruppo e si può venire esclusi in qualsiasi momento. La motivazione è importantissima per resistere a un periodo così lungo di isolamento e condizioni estreme.

La missione è stata anche una sfida sociale. Com’è stata la coesistenza forzata con un gruppo di persone che non conoscevi?

La missione è stata soprattutto una sfida sociale. Condividere spazi ristretti con persone sconosciute è complicato, è stato un continuo esercizio di pazienza e tolleranza, anche un piccolo problema può essere amplificato. È molto importante la gestione dei conflitti: è impossibile evitarli, ma bisogna puntare alla risoluzione perché la reazione personale all’isolamento o ai 4 mesi di buio è molto soggettiva. Bisogna ricordarsi in ogni momento di far parte di una squadra in cui magari c’è qualcuno che ha più bisogno di aiuto. Posso dire che questo aspetto mi ha arricchito moltissimo e che mi sono fatto anche qualche amico. In queste condizioni anche l’intensità dei rapporti è amplificata.

Intorno a te, a parte i tuoi compagni di missione, nessuna forma di vita. Come hai vissuto la solitudine? Quali sono state le difficoltà maggiori, da questo punto di vista?

L’unicità di questa esperienza consiste anche nello stacco dalla routine e dai ritmi veloci della nostra società, cosa che ho imparato ad apprezzare avendo a disposizione più tempo per me stesso. Per me è stata molto importante la lettura e l’attività fisica. Ho letto tantissimi libri e l’attività fisica era un momento di sfogo: assieme al sollevamento pesi che è stata una necessità, vista la mia perdita di peso, ho praticato yoga e meditazione. Ho persino iniziato a suonare la batteria prendendo lezioni in videoconferenza dall’Italia. Insomma, mi sono goduto la solitudine, ma ho anche preso consapevolezza che per me la condivisione è importante e non potrei fare una vita da eremita. Ci sono stati momenti in cui vedere una persona cara in videochiamata poteva essere importante quanto il cibo. In base non mancavano comunque i momenti di socialità e condivisione.

Dopo questa esperienza è cambiato il tuo rapporto con la natura, la vita?

Sono cambiate molte cose. Di fronte alla grandezza della natura, per quanto inospitale e avara in questa zona della terra, ci si sente molto piccoli e impotenti. Il mio rapporto con la natura era già di estremo rispetto, avendo fatto sport acquatici e andando in montagna, ma in condizioni così estreme devi sviluppare un’attenzione particolare. Uscire all’esterno con -80 °C è molto rischioso e niente può essere lasciato al caso, una minima distrazione può essere fatale. Di contro, uscire a mezzogiorno con una Via Lattea così luminosa che sarà difficile rivedere, stare attaccati alla finestra ed essere pronti a uscire a qualsiasi ora per ammirare l’aurora è un’emozione unica. Questo luogo inospitale può sembrare noioso e monotono ai più, ma regala tante piccole sfumature diverse ogni giorno, nei paesaggi e nei colori, per chi impara a osservarle.

Sei tornato una persona diversa? L’unicità di questa esperienza ti ha dato delle risposte a livello spirituale, personale?

Mi porto dietro un bagaglio di esperienze unico, soprattutto a livello personale, e qualche cambiamento c’è stato, anche se ancora è presto per fare un bilancio complessivo. È stato sicuramente un anno di riflessioni scaturite da un profondo contatto con sé stessi, un viaggio nelle zone più profonde del proprio animo che a volte non abbiamo il coraggio di esplorare. In queste condizioni si fanno un po’ i conti con ciò che si è davvero, ci si mette alla prova e si affrontano anche i propri difetti. Ho rivalutato l’importanza del tempo, di azioni semplici della vita quotidiana che diamo per scontate, ma che non lo sono e di cui in queste condizioni si sente la mancanza. Si rivaluta l’importanza delle relazioni e del calore umano.

Ora che sei tornato, ti manca qualcosa dell’Antartide e di quella esperienza? È difficile riadattarsi alla vita “normale”?

A circa un mese dal rientro, il riadattamento è una parte altrettanto difficile. Si passa da avere pochi stimoli alla sovra stimolazione della vita a cui pensiamo di essere abituati e questo, assieme ai ritmi lavorativi completamente diversi, può essere causa di stress. Molto banalmente, al rientro si è molto sensibili ai rumori (ho evitato per un po’ posti troppo affollati) e persino ai colori, dal momento che per un anno non ho sperimentato una grande varietà cromatica.

È stato particolarmente emozionante ritrovarsi immersi nella vegetazione primaverile della Nuova Zelanda nella via del ritorno. Ancora ho qualche difficoltà nel rivedere le foto scattate in Antartide perché sono ancora vive le emozioni che richiamano. Qualcuno parla di “mal d’ Antartide”, simile al “mal d’Africa”, e nel mio caso sento un po’ di nostalgia della vita in base, dei luoghi tanto inospitali quanto affascinanti e della particolare condizione che si sperimenta, sapendo di far parte di un ridottissimo numero di persone che hanno avuto la fortuna di poter vivere in questo continente.

Michele Deiana

Michele Deiana. La comunicazione vincente

di Maria Franca Campus.

Un vulcano comunicativo. Ventun anni, di Lanusei, Michele Deiana lavora nel network marketing di prodotti e servizi finanziari

La sua non è un’occupazione come tante, un tradizionale impiego a tempo pieno scandito da orari ordinati e mansioni ripetitive. A dire il vero la parola lavoro, quando racconta quello che fa, non la nomina nemmeno. Si tratta piuttosto di un’avventura, tanto seria quanto entusiasmante, che gli permette l’agognata indipendenza che, a suo dire, gli dà tanto in termini di competenze e formazione personale.
È iscritto alla facoltà di psicologia di Cagliari, ma non vuole diventare uno psicoterapeuta. Ancora non sa cosa farà da grande eppure su molti fronti ha le idee chiarissime, convinto com’è che tale discernimento derivi proprio dall’esperienza nel network marketing.

Tutto è iniziato dal suo interesse per il mondo finanziario che lo ha spinto ad avvicinarsi a «una materia tabù per tanti». Voleva saperne di più, voleva imparare a nuotare in un mare dove in pochi galleggiano e i più affogano e quindi per evitare il peggio ne stanno lontani. Voleva andare oltre gli stereotipi «dei ricchi e cattivi che ci accompagnano fin da bambini con le storie di zio Paperone e Robin Hood» e ha deciso di intraprendere un cammino di educazione finanziaria che ritiene «fondamentale per chiunque, perché non occorre solo risparmiare, ma anche saper gestire il denaro, proteggerlo e imparare a moltiplicarlo».
Così tramite un passa parola, come succede in questo settore, spiega Michele, si è ritrovato a svolgere un’attività remunerativa e di crescita che soddisfa le sue esigenze: avere una certa indipendenza economica. Nel suo racconto appassionato e preciso, mette l’accento soprattutto sul percorso formativo, sulle competenze, sulle opportunità che sta incontrando in questo settore. Ma cosa fa esattamente? Non lavora per o alle dipendenze di: «sono imprenditore di me stesso – precisa – e mi appoggio a un’azienda internazionale che offre formazione nel settore della fintech, la finanza tecnologica con strumenti di intelligenza artificiale da sfruttare negli investimenti. È possibile avviare interventi finanziari semiautomatici a partire da impostazioni chiare e precise, non disturbate dalle emozioni». L’intelligenza artificiale avvia le ricerche e attiva le indicazioni tanto più specifiche quanto più si è preparati. Da qui l’importanza della formazione. Che per Michele sembra la parte più affascinante. «L’obiettivo è formare investitori consapevoli e questa azienda lo fa tramite un percorso d’eccellenza fatto di lezioni a distanza e incontri in presenza, una sorta di università di educazione finanziaria». Video lezioni da seguire comodamente a casa, ma anche corsi di aggiornamento a Bologna, Roma e Milano, Barcellona e Budapest. «L’azienda non dà consigli finanziari – sottolinea il giovane imprenditore lanuseino –, ma attraverso un’efficace preparazione mette il consumatore nelle condizioni di fare scelte opportune. Adoro il mondo del marketing e della vendita», dice mentre i suoi occhi scuri parlano insieme alle parole fluide e chiare, precise e sicure che raccontano la sua esperienza. Ciò che colpisce è la sua determinazione, la soddisfazione per «aver vinto i miei limiti e essere andato oltre il giudizio degli altri» dice da ex timido.

Ha frequentato il Liceo classico di Lanusei e dopo la maturità si è preso una pausa di orientamento, un gap year in cui ha fatto il cameriere in bar e ristoranti, ma ha anche ideato progetti educativi e didattici per gli alunni della scuola primaria. Dodici mesi dopo, il ritorno sui libri e l’ingresso nelle aule universitarie con un percorso, lo studio della psicologia, che ben si coniuga con le sue inclinazioni: «Ho capito di avere un forte interesse nel promuovere valori positivi, impattare la vita delle persone» e l’esperienza nel network marketing lo ha aiutato a raggiungere questa consapevolezza. «La cosa più interessante sono le competenze comunicative che sto acquisendo a livello personale e professionale – continua –. Ho scoperto la bellezza dell’interazione». La comunicazione passa sempre più attraverso i social, anche la sua: ha all’attivo un centinaio di video, «alcuni accuratamente preparati, altri improvvisati come quello che ho fatto stamattina tra i vicoli di Lanusei».

Naturalezza e strategie, spontaneità e studio, impegno e talento, una rete di risorse e qualità alla base del suo procedere. «La staticità non esiste: o si cresce o si decresce». Una legge della fisica, ma anche una filosofia di vita la sua. «Ricerco la crescita», afferma, convinto che per andare avanti occorrano degli obiettivi. E pensare che una volta sognava di intraprendere la carriera militare. Adesso punta su altre armi, quelle che ha iniziato ad affilare sul palco dell’aula magna dell’Istituto Leonardo Da Vinci da studente del Liceo classico, protagonista nelle riuscite rappresentazioni teatrali: «Non sono mai stato uno studente eccellente, ma quando qualcosa mi piaceva davvero davo del mio meglio. Non sono mai stato neppure un amante della lettura e invece l’anno scorso ho letto 40 libri».