Chiesa e cultura, quale rapporto?

di Mons. Antonello Mura.
Si tratta di un tema che ritorna costantemente nelle riflessioni ecclesiali, accompagnato però da un senso di sconforto. Anche il Cammino sinodale l’ha indicato come prioritario, grazie soprattutto alla spinta dei laici, preoccupati di prendere atto che i credenti stanno facendo enorme fatica a dare senso alla dimensione culturale dentro la Chiesa.
Lascia un po’ sconsolati verificare, salvando le eccezioni, una diminuita capacità riflessiva, il venir meno di spazi perl’elaborazione del pensiero e per la condivisione di idee, come anche l’isolamento elitario dello studio e della ricerca.
Sembra prevalere, nei confronti del mondo attuale, un piccolo o grande senso d’inferiorità, oppure – non meno preoccupante – tutta una serie di atteggiamenti di trascuratezza, che sfiorano l’indifferenza.
Anche quando si concretizzano scenari di collaborazione, sembra emergere la difficoltà strutturale a entrare in dialogo e quindi comprendere i fenomeni culturali complessi ai quali la realtà ci sta abituando. Allora, per evitare di disorientarci, scegliamo talvolta di rifugiarci in uno stile consolatorio, abitudinario, spesso devozionale: una rassicurante chiusura nell’autoreferenzialità.
Gli uomini di cultura ci appaiono lontani, oppure li allontaniamo, opponendo loro le nostre consolidate opinioni, evitando un confronto approfondito, che richiederebbe comunque riflessione seria e convinzioni mature.
C’è anche il rischio che, di fronte alle problematiche tutt’altro che semplici di oggi, noi rispondiamo con certezze labili, scontate, dando l’impressione di essere sempre sulla difensiva, forse per paura delle domande che ci verrebbero rivolte.
Domandiamoci: perché, anche nelle comunità parrocchiali, si fa tanta fatica ad approfondire temi culturali, compresi quelli ecclesiali? Perché ci manca il coraggio di affrontarli con l’aiuto di competenze specifiche, creando così occasioni per aiutare a pensare e a dialogare?
Oggi più che mai è necessario affermare che non basta diventare cultori amatoriali, schiavi talvolta dello stile dei social, per consolidare l’indispensabile legame tra cultura e fede.
Abbiamo bisogno di credenti preparati, capaci, anche con l’autoformazione, oltre che con iniziative comunitarie, di diventare portatori di una sensibilità culturale aggiornata, attenta, non certo spaventata di fronte alla realtà. Persone che dimostrano, anche intellettualmente, e non solo nel cuore, una freschezza evangelica fiduciosa, disposta a rischiare il confronto e il dialogo con tutti.
Dobbiamo imparare, ancora una volta – perché la Chiesa ha una storia costante di incarnazione della Parola nelle culture di ogni tempo e di ogni luogo – a non guardare con sospetto a tutto ciò che favorisce la riflessione critica e l’autonomia di giudizio, perché il cammino di fede non ne verrà minacciato. Certo, una parrocchia non può far tutto, tanto più se è piccola, ma questo conferma quanto sia necessario entrare in sintonia tra più comunità, creando occasioni territoriali e coinvolgendone i protagonisti più sensibili.
Guardare con simpatia chi studia, chi fa domande e approfondisce, valorizzare talenti, carismi e doni, usare linguaggi comprensibili per formare, sta diventando un’altra urgenza del nostro cammino quotidiano di cristiani. E abbiamo dei ritardi da recuperare.
Lascia un Commento