In breve:

Come Dio si fa largo in mezzo a noi

Natale

di Mons. Antonello Mura.
Indimenticabili quelle campane, libere e non programmate, che accompagnavano (accompagnano?) le grandi feste dei nostri paesi. Natale era una di queste. Sconfiggevano nell’aria tutti irumori e squarciavano il cielo, festanti e ostinate, richiamando e convocando un popolo.
Campane libere, perché senza orologi prestabiliti, ma solo braccia e funi, fino a farle sgolare.
Le campane che suonano a festa per Natale erano (sono?) l’indice di una gioia naturale, spontanea, libera appunto. Puntuali ogni anno, come quel Gloria a Dio e pace in terra che non solo era cantato, ma quasi gridato, perché atteso e benaugurante.

Oggi tutto si muove molto in anticipo: uno scontato schema pubblicitario, seppur illuminato e colorato – dappertutto c’è la scritta “natale”… – ma privo di un pensiero, di un messaggio, di una passione che non sia quella del guadagno e del consumo.
La paura, ma anche la crisi delle persone più interiormente sensibili, è che proprio il Natale, quello di Gesù, sia ancora una volta dimenticato, soffocato, emarginato, confinato nelle “stalle” delle persone semplici e spontanee. Alcuni hanno raccontato che anni fa, arrivati in un paese asiatico di questi tempi, vedendo i luoghi abbelliti a festa, domandarono se si festeggiasse la nascita di Gesù; a quel punto gli interpellati, stralunando gli occhi, chiesero: «E chi è Gesù?».

Ecco perché la libertà dello spirito, a Natale, va alimentata, non soffocata. Per ritrovare una festa libera da clic programmati, da riti scontati, da itinerari senza storia reale.

Bello rileggere il nudo racconto della notte di Natale, togliendo Gesù dai presepi e dalle mangiatoie, che sembrano troni. Un racconto vivo, di un Dio che nell’umanità si fa largo in questo modo: «Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro greggi».
Un racconto senza parole di protagonisti, a parte gli angeli. A parlare sono gli occhi, con un’indicazione ben precisa degli stessi angeli: Fate attenzione al segno. Un bambino, la mangiatoia e le fasce. E da quel momento i pastori, quell’annuncio, se lo incollano davvero agli occhi.

Chi ci guiderà a incontrare il Dio che viene? Quali segni ci saranno dati per non esiliarlo dal nostro mondo? Quali mangiatoie e quali fasce sceglie Dio oggi, perché possiamo vederlo, e magari toccarlo?
Nel racconto, quando riappaiono delle parole sono quelle dei pastori: «E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro».
Se finalmente abbiamo trovato risposte vere a domande vere, sentiamoci anche noi invitati (e inviati) a dare la notizia che Dio è nato, che lui è il segno più atteso e più importante per la nostra umanità, rendendo così gloria a Dio e donando pace a noi, amati dal Signore.

E le campane, allora, per noi suonino sempre più libere. Buon Natale!

+ Antonello Mura

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