In breve:

Comunicare

Foto-famiglia

di Jetta Vedele.

Nella sala d’aspetto di un medico. Ieri.

Era animata la sala d’aspetto del medico quando entravo. Salutavo, mi sedevo e iniziavo a guardarmi intorno.
C’era una mamma col suo bambino in braccio, un bambino vispo, irrequieto che non stava un minuto fermo. Si divincolava, pestava i piedi, disturbava.
Allora la mamma, con tanta pazienza lo cullava, gli parlava e alla fine lo portava fuori a giocare.
Più avanti c’era un vecchietto un po’ malandato che, però, teneva banco.
Era un ottimo narratore, ciò che raccontava ti sembrava di vederlo. Raccontava di quando era in guerra, degli inverni nelle trincee piene di neve, del freddo, della paura prima di andare all’assalto.
Raccontava di quando andava in campagna col carro a buoi, dalla montagna fino alla pianura per portare i fichi d’India per i maiali che gli avrebbero dato provviste per tutto l’anno. Sembrava davvero di assistere a quelle scene tanto era colorito il suo racconto. E tutti ascoltavamo, grandi e bambini. I grandi ogni tanto intervenivano per aggiungere qualcosa, i piccoli per fare domande.
Il tempo passava e l’attesa diventava meno pesante.

Nella sala d’aspetto di un medico. Oggi.

Entro nella sala d’aspetto, saluto. Spesso nessuno risponde al mio saluto perché lo sguardo di piccoli e grandi non è rivolto a chi ha salutato, ma è fisso su quella invenzione che si chiama cellulare e che calamita tutta l’attenzione. Tutti a fissare quell’aggeggio, a toccarne convulsamente lo schermo, a ricevere messaggi e a mandarne, a fare indigestione di notizie vere e false.
Nessun vecchio racconta, nessuno parla.
C’è vicino a me una mamma con un bimbetto in braccio. Avrà uno o due anni.
Il bimbo scalcia, non vuole star fermo, piange e allora la mamma che fa? Apre la borsa, tira fuori un tablet enorme e lo mette in mano al bambino che quasi non ce la fa a reggerlo. E il bimbo, magicamente, si calma, si blocca, gli occhi fissi su quelle luci, su quelle immagini che scorrevano veloci sotto i suoi occhi.
Ricordo che nella sala d’aspetto di un nostro vecchio medico non c’erano giornali e riviste.
E io avevo chiesto perché non ci fossero. E lui mi aveva risposto che lo faceva di proposito, perché gli piaceva che la gente parlasse, comunicasse mentre aspettava, che gli piaceva quel brusio che denotava comunicazione.

Io non demonizzo le nuove tecnologie, ci mancherebbe, ma quando l’uso che se ne fa è sbagliato ed eccessivo, le tecnologie anziché favorire la comunicazione la penalizzano e la fanno morire.

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