La pace? Sì, è possibile

di Lucia Capuzzi.
Quando si sono incontrati la prima volta, dodici anni fa, a una fiera turistica, Maoz Inon e Aziz Abu Sarah non hanno pensato che le loro esistenze si sarebbero intrecciate in modo tanto intimo. Ancor meno avrebbero immaginato che a cucirle insieme sarebbe stato un feroce massacro. Il più feroce che abbia colpito gli ebrei dalla Seconda guerra mondiale: la strage perpetrata da Hamas il 7 ottobre 2023. Tra le decine di kibbutz razziate dal gruppo armato quel giorno c’è Nir Am, una comunità nel sud di Israele di 650 abitanti. Gli Inon, Bilha e Yakovi, artista 76enne lei, imprenditore agricolo 78enne lui, erano due di loro. I miliziani li hanno assassinati insieme ad altri 1.200. Quando Maoz ha ricevuto la notizia ha sentito il mondo crollargli addosso. Il figlio non ha lasciato, però, che la rabbia lo avvelenasse. A meno di due settimane dalla tragedia, ha rivolto un appello pubblico a fermare la guerra a Gaza.
Il gesto ha colpito nel profondo Aziz a cui, nel 1990, il conflitto israelo-palestinese aveva strappato il fratello 19enne, Tayseer, arrestato e seviziato dalle autorità di Tel Aviv. Ha, così, recuperato il contatto e gli ha scritto su WhatsApp: «Sono così dispiaciuto per i tuoi genitori. Il mio cuore è spezzato. È terribile, non ho parole. È stata un’azione da vigliacchi. Ti invio tutto il mio sostegno e affetto».
Le parole si sono fatte largo nello spirito di Maoz, aprendo una strada nuova che entrambi ora percorrono insieme. E che, sono convinti, possa condurre i rispettivi popoli alla pace. Di fronte alla loro sofferenza «non si può dire nulla, non si può dire nulla…», ha sussurrato, con voce rotta dall’emozione un commosso Papa Francesco quando li ha visti abbracciarsi il 18 maggio 2023 a Verona nel corso di Arena di Pace. «Non è solo coraggio e testimonianza di volere la pace – ha sottolineato – ma anche un progetto di futuro».
Questo è il significato più profondo di speranza: una possibilità di un domani non schiavo del presente. Maoz e Aziz incarnano, con le rispettive esistenze, il titolo di quest’edizione della Pastorale del Turismo: cercatori di speranza. Condividendo le proprie storie in tutto il mondo. E promuovendo l’educazione alla nonviolenza con l’organizzazione Interact che hanno creato. «Per anni, dopo l’omicidio di mio fratello, ho coltivato il desiderio di vendicarmi. Pensavo non ci fosse altra opzione. È stato studiando ebraico insieme agli immigrati in Israele che ho sentito di poter finalmente scegliere chi essere. E ho deciso di non somigliare agli assassini di Tayseer», ha raccontato Aziz.
«Dopo la morte dei miei genitori ero in pezzi. Una notte ho sognato le vittime del massacro – gli ha fatto eco Maoz –. Dai loro occhi scendevano grosse lacrime che arrivavano fino alla terra, intrisa di sangue. Al cadere, le lacrime pulivano il sangue, facendo comparire un sentiero. Quando mi sono svegliato ho capito: da tutta quella sofferenza, le atrocità perpetrate, l’angoscia inflitta, doveva nascere un nuovo corso». Il termine “sogno” include la radice sanscrita “ap”, le acque primordiali da cui si genera la vita. La stessa che ritroviamo in “speranza”.
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