Mons. Piseddu: tra ricordi, aneddoti e profonda amicizia

Mons. Piero Crobeddu, parroco di Sant’Andrea in Tortolì, già Vicario generale di Mons. Antioco Piseddu.
Pensando al nostro Vescovo Emerito Mons. Antioco Piseddu emergono tanti ricordi di momenti gioiosi e felici e di situazioni travagliate e molto sofferte. Spesse volte, scambiandoci dei punti di vista su questioni che riguardavano il cammino della Diocesi e dei sacerdoti, aveva delle pause di silenzio che terminavano sempre con un’esclamazione ricca di fede e di umanità: «Po amore de Deus siada», e «Quante cose il vescovo conserverà nel sacrario del suo cuore e se le porterà all’altro mondo senza poterne parlare con nessuno!».
È stato un Vescovo dallo spessore spirituale non indifferente: quante volte i sacerdoti che salivano a salutarlo, lo trovavano nella cappella dell’episcopio inginocchiato in preghiera o con il rosario, o con il breviario, o con un libro di spiritualità? Appena si accorgeva della presenza di qualcuno, lasciava la cappella e con un volto illuminato da serenità e gioia invitava il sacerdote a seguirlo nel suo studio e a sentirsi a proprio agio con le parole: «Siediti e raccontami cose belle della tua comunità». Se poi c’era qualcosa di non troppo lineare nella vita personale, o che poteva riguardare il cammino della parrocchia, lo faceva con tanta delicatezza, con una pedagogia che solo lui sapeva usare. Alla fine il sacerdote se ne tornava in parrocchia felice di quell’incontro all’insegna della benevolenza, ma anche con la certezza che le parole del Vescovo gli avevano toccato il cuore.
Non possiamo certo dimenticare le tombolate organizzate nel periodo natalizio. In quelle occasioni, molto divertenti, il Vescovo diventava anche lui un bambino che rideva e scherzava. I premi della tombolata li portava sempre lui; per lo più erano sempre calendari, qualche agenda e poi tutto ciò che poteva creare disturbo in casa.
Per Mons. Antioco l’accoglienza delle persone, di diversi ceti sociali, era quasi una liturgia. Era dotato del dono dell’ascolto. A volte questi incontri si protraevano fino alle tredici, ora del pranzo. Allora si alzava e con il sorriso da sornione, esortava gli ospiti con delle parole che poi si trasformavano in benevolenza e gratitudine. Diceva: «…Non vi voglio mandare via, ma se ve ne andate, mi fate un grande piacere».
A queste spigolature se ne potrebbero aggiungere tante altre, ma… c’è sempre il timore riverenziale di leggere la vita dei nostri Maestri secondo il nostro calibro e non secondo il comandamento che Cristo ci ha lasciato.
Don Michele Congiu, Vicario generale.
Il Vescovo Antioco Piseddu: con i suoi tratti peculiari (il timbro della voce, il modo di parlare, le espressioni, la gestualità) e una certa aura di perennità – l’ho conosciuto da bambino, quando ero chierichetto: mi ha accolto in seminario, mi ha amministrato la Cresima, mi ha ordinato diacono e presbitero e mi ha accompagnato nei primi dodici anni di ministero –, Mons. Piseddu è stato per me una presenza fondamentale.
Per dire, con riconoscenza, qualcosa di lui, scelgo tre ricordi.
Quando eravamo piccoli seminaristi, il Vescovo, nel periodo natalizio, ci invitava a cena in episcopio. Oggi ripenso con meraviglia alla tavola allestita non con ricercatezza, ma di certo in modo raffinato. Eravamo poco più che bambini, ma il Vescovo, da vero signore, ci ospitava con onore, non temendo per l’integrità della cristalleria e delle porcellane. Forse sorrideva, in cuor suo, vedendoci impegnati a non sbagliare la posata da cui iniziare, o incerti sui vari calici posti di fronte al piatto, o al nostro panico nel doverci servire delle posate per la frutta. Un bel gesto di rispetto e di considerazione, nei nostri confronti, e profondamente educativo.
Sempre nel periodo natalizio, si svolgeva la leggendaria tombolata con il Vescovo, che ci offriva in premio agende vecchie di anni, piccoli oggetti e carabattole.
Ancora oggi alcuni confratelli (uno in particolare) ridono di me, ricordando la volta che eccezionalmente fui fortunato, e in premio il Vescovo mi diede un flaconcino di profumo. Quando gli feci osservare che la bottiglietta era vuota, mi disse: «Chiudila, chiudila, che esce l’aria della Riviera Ligure», suscitando una ilarità che ancora continua. Ci insegnava a stare allegri con nulla, senza essere sguaiati o disordinati.
Il terzo ricordo è più intenso, e lo offro con vera gratitudine per aver avuto come padre, nella formazione e nel sacerdozio, questo indimenticabile Sacerdos magnus.
Nell’estate del 1987, appena terminata la quinta elementare, partecipai al campo-scuola per i seminaristi e aspiranti a Bau Mela. La domenica si svolse la giornata per i genitori, e il Vescovo, nell’incontro prima della Messa, spiegava il percorso seminaristico fino all’ordinazione sacerdotale. Come conclusione, mise una mano sulla testa a me, che ero seduto davanti, e sorridendo mi disse: «Perciò, piccolo, ne riparleremo tra quattordici anni».
Dio ha voluto che quattordici anni dopo ne riparlassimo davvero, il Vescovo e io, nei giorni precedenti l’ordinazione presbiterale di don Battista Mura e mia. Non ricordava il fatto, ovviamente, ma il racconto del mio ricordo gli aveva dato molta gioia.
La mia gratitudine, adesso, raggiunge il cielo: Grazie, Eccellenza, per la sua paternità.
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