In breve:

Radio Dublino: un ponte tra Irlanda e Italia

Maurizio PIttau

di Anna Maria Piga.

Maurizio Pittau: da Tortolì a Dublino. Prima “per caso”, poi per la vita. Quando una piccola idea diventa un progetto internazionale

Sono tantissimi i giovani italiani che, pur diventando ottimi cittadini del mondo, mantengono lo sguardo rivolto al proprio paese d’origine. Tra loro c’è Maurizio Pittau, nato a Tortolì e cresciuto in Ogliastra. Dopo il Liceo Classico, ha studiato Economia a Cagliari e ha iniziato a lavorare nella cooperazione internazionale, prima come volontario e poi come consulente. Dal 2021 cura la sezione dedicata all’Irlanda del Rapporto Italiani nel Mondo di Fondazione Migrantes, edito dalla CEI. Vive e lavora a Dublino nel campo della comunicazione, occupandosi di marketing per una grande società di consulenza internazionale.

Cosa ti ha portato in Irlanda e come è nata l’idea di trasferirti all’estero?

Nel 2007, mentre lavoravo a Milano e frequentavo un master al Politecnico, ho attraversato una crisi di fiducia nel futuro in Italia. Sentivo che il merito non veniva premiato e che il contesto sociale ed economico stava diventando sempre più sterile per chi, come me, cercava spazi di crescita. Scrissi sei città su sei foglietti – Londra, Dublino, Amsterdam, Helsinki, Barcellona, Bruxelles – e ne pescai uno a caso: uscì Dublino. In poche settimane feci i bagagli e partii.
All’inizio evitavo gli italiani, in una sorta di ribellione silenziosa verso il Paese che mi aveva spinto ad andarmene. Con il tempo, però, ho riscoperto il valore delle mie radici e, nel 2013, ho fondato Radio Dublino per creare un ponte tra l’Italia e la mia nuova casa. Una radio fatta per dare voce a chi vive tra due mondi. Ho acceso il microfono senza certezze, ma con tantissima passione. E da allora non l’ho più spento.
Quello che era nato come uno spazio per parlarsi tra connazionali è diventato uno strumento di dialogo interculturale. Oggi parliamo di migrazione, arte, musica, letteratura, economia, diritti, intelligenza artificiale. Siamo molto attivi sui social, produciamo eventi dal vivo e contenuti audiovideo.
È un progetto in continua evoluzione, come la comunità che racconta: una crescita naturale, guidata dalla comunità stessa. Radio Dublino è diventata una sorta di laboratorio permanente.

Nel 2015 sei stato nominato Language Ambassador of the Year dalla Commissione Europea. Qual è il significato di questo riconoscimento?

Ricevere quel riconoscimento è stata una grande sorpresa, ma anche la conferma che si può costruire qualcosa di importante partendo da poco, senza grandi mezzi, se si hanno passione, impegno e visione. Radio Dublino è una realtà artigianale, fatta di gratuità e volontariato. È stata la prova che anche una piccola radio può avere un impatto a livello europeo.
Quel premio ha significato che il nostro lavoro veniva visto, ascoltato, riconosciuto, e ha dato forza e legittimità a ciò che stavamo facendo: promuovere la lingua e la cultura italiana all’estero, anche attraverso strumenti non convenzionali. È stata la dimostrazione che anche una piccola idea, se coltivata con dedizione, può avere un grande impatto.

Come è nato l’Italian Fusion Festival, che celebra la cultura italiana in Irlanda?

È nato da un’idea semplice ma potente: celebrare l’incontro tra la cultura italiana e quella irlandese. Inizialmente, il festival era pensato per promuovere i migliori musicisti italiani e irlandesi che erano stati ospiti nei nostri studi radiofonici, ma poi è cresciuto, includendo arte visiva, poesia, design, cinema, gastronomia. Tutti linguaggi universali che mettono in connessione le persone anche quando non parlano la stessa lingua. Il festival è cresciuto anno dopo anno, ha dato visibilità ad artisti che vivono e creano in Irlanda e ha fatto nascere collaborazioni e connessioni umane. La cultura è uno strumento potente: unisce, emoziona, apre varchi.

Scrivendo il libro Economie senza denaro, sei stato un pioniere in Italia nella divulgazione dei sistemi di scambio non monetario.

Stavo concludendo i miei studi in Economia e valutavo una carriera nella cooperazione internazionale. Ma non volevo diventare un burocrate della solidarietà: volevo capire se fosse possibile immaginare modelli economici alternativi basati su relazioni, fiducia, scambio. Studiai esperienze da tutto il mondo: sistemi di baratto, banche del tempo, monete locali. Idee che sembravano utopie, ma che in molte comunità funzionavano davvero. L’idea era (ed è) semplice: l’economia deve servire le persone, non viceversa.

Che messaggio vorresti condividere con i giovani lettori del nostro giornale?

Non abbiate paura di partire. Ma nemmeno di restare. Non c’è una sola strada giusta. La vera scelta è tra vivere in superficie o in profondità. Cercate esperienze che vi mettano in discussione, che vi spingano a mettervi in gioco. Non serve trasferirsi in una capitale europea: anche nei piccoli paesi dell’Ogliastra si possono costruire ponti tra culture. Costruire un ponte tra culture diverse non richiede superpoteri.

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