In breve:

Restituire al malato il senso di una intatta dignità

Bioetica

di Stefano Mele.

A pochi mesi dall’approvazione della legge toscana volta a disciplinare il suicidio assistito, anche la Regione sarda il 17 settembre ha varato una legge simile, sulla base di uno schema, proposto dall’Associazione Luca Coscioni, che in altri Consigli regionali è stato rigettato per diversi motivi. È probabile che anche in questo secondo caso la legge verrà impugnata dal Governo dinanzi alla Corte Costituzionale, in quanto riguarda materia la cui competenza sarebbe riservata al Parlamento. In questa sede legislativa, tra l’altro, è in fase di elaborazione un testo di legge che regolamenti l’accesso al suicidio assistito, conservando strettamente i confini in cui la Consulta, con la sentenza 242 del 2019, lo ha dichiarato non punibile, senza revocarne il divieto, previsto dall’art. 580 del codice penale.

La legge sarda prevede che la richiesta dell’interessato – dopo essere passata al vaglio di una commissione medica e del comitato etico territorialmente competente – ottenga una risposta entro 30 giorni. Impressiona la drammatica discrepanza con i lunghissimi tempi di attesa per ottenere una visita specialistica, magari capace di salvare una vita, piuttosto che toglierla! I medici che compongono la commissione chiamata a verificare la presenza dei requisiti per l’accesso al suicidio e quelli che assistono materialmente il malato sono scelti su base volontaria. Ciò non toglie che medici e servizio sanitario cambieranno natura; tra i loro scopi non ci saranno solo la salvaguardia della vita, la cura della salute e l’alleviamento delle sofferenze – nei limiti delle capacità e degli strumenti proporzionati disponibili – ma anche di aiutare a darsi, e forse domani a dare direttamente, la morte.

Durante l’estate appena trascorsa sono stati pubblicizzati alcuni casi di persone che hanno ottenuto l’aiuto richiesto per togliersi la vita. Amareggia registrare l’allargarsi del consenso, l’approvazione e una certa ammirazione per questi gesti, drammatici ed estremi. Preoccupa che vengano ritenute leggi di civiltà, di progresso, di libertà, quelle che prevedono il dare o darsi la morte. Amarezza e preoccupazione sono state espresse anche dalla Conferenza episcopale sarda, la quale ha ribadito «che la vita va sempre difesa, per cui non è accettabile aiutare un malato a morire» e «che la dignità non finisce con la malattia o quando viene meno l’efficienza. Non si tratta di accanimento terapeutico, al quale siamo sempre contrari, ma di non smarrire l’umanità».

Credo di riuscire a comprendere – non meno di altri – la sofferenza di tanti malati, i dolori fisici, la perdita di autonomia e l’ansia di pesare sui propri cari, il senso di inutilità, di indegnità o abbandono, la disperazione che toglie senso e gusto del vivere… Sono convinto però che la pietà, non solo sentimentale ma razionale e concreta, piuttosto che confermare i malati nella loro disistima e nelle loro paure dovrebbe cercare di restituire loro il senso della propria intatta dignità, la convinzione non solo di ottenere cura da parte dei sani, ma di poter dare ancora molto ai propri cari e alla società. Naturalmente questo impegno relazionale e affettivo deve accompagnarsi con quello di alleviare anche i dolori fisici, attraverso la terapia del dolore, che oggi conta su molti strumenti di tipo farmacologico, psicoterapico e chirurgico.

Con questi obiettivi è certamente coerente il piano di potenziamento della rete di cure palliative, approvato sempre di recente dalla Giunta regionale con l’obiettivo ambizioso di raggiungere il 90% dei malati interessati entro il 2028. Aumentare il numero degli hospice, incrementare e formare il personale specializzato, assicurare la cura ambulatoriale e domiciliare, sostenere i caregivers. Questa è la strada giusta, più impegnativa e più onerosa dal punto di vista economico, ma certamente più umana, più benefica, più civile. La vita, senza la quale nessun altro bene, compresa la libertà, può essere goduto, è il bene fondamentale di cui dobbiamo difendere il corrispettivo diritto e che abbiamo il dovere di rispettare sempre.

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