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Luigi e Federico: dalla formazione professionale al lavoro

di Anna Maria Piga.

La formazione professionale è una opportunità valida per chi intende inserirsi nel mondo del lavoro con competenza e con titoli che ne confermino la professionalità. È il caso di Luigi Deplano di Lanusei e Federico Magnolia di Seui

Luigi Deplano, lanuseino di 45 anni, sposato e padre di due figli, ora idraulico affermato, ne è convinto per esperienza personale. Dopo un regolare percorso sperimentale di cinque anni all’Istituto Geometri, conseguita la maturità di indirizzo Tecnico idraulico per poter esercitare a pieno titolo la professione, ha poi seguito i corsi gratuiti promossi dal CNOS-FAPe finanziati dalla Regione Sardegna. Per tre anni ha frequentato un corso della durata di mille ore per conseguire la specializzazione che gli ha dato la qualifica professionale di Termo idraulico. Qualifica necessaria che non solo gli ha permesso di avere una impresa individuale, ma gli ha dato la possibilità di avere titolo per rilasciare le necessarie certificazioni a conclusione dei lavori eseguiti. «L’esperienza più gratificante – racconta Luigi – è stata quella di insegnare negli stessi corsi e per gli stessi indirizzi che mi hanno dato l’opportunità di essere un professionista qualificato».

Spesso si affacciano ai corsi professionali studenti che intendono completare l’obbligo scolastico, scelgono gli indirizzi più congeniali alla loro propensione perché sanno che si tratta di una particolare offerta di formazione, parallela alla scuola statale e di uguale valore. L’obiettivo è formare ragazzi che intendono trovare subito un lavoro e quindi, pur richiedendo impegno e costanza, i programmi e le lezioni si svolgono in modo molto diverso dalla scuola tradizionale. Gli studenti sentono in genere la responsabilità della scelta, naturalmente non sempre è così per cui, come sottolinea Luigi Deplano in veste di docente «talvolta è complicato insegnare perché non tutti gli studenti perseguono seriamente l’impegno che si sono assunti. Ritengono superflue le discipline teoriche e non amano approfondire i temi affrontati nelle lezioni. È faticoso catturare il loro interesse, ma quando capiscono si appassionano e si ottengono ottimi risultati. Del resto – aggiunge sorridendo – sono cose che sicuramente accadono anche negli altri classici ordinamenti scolastici».

Il suo aiutante socio, Federico Magnolia, 34 anni di Seui, è un suo ex allievo: ha frequentato il Liceo Scientifico nel suo paese fino alla quarta; successivamente ha completato il percorso scolastico sempre grazie ai corsi organizzati dal CNOS-FAP a Lanusei. Anche Federico si è formato con mille ore in un anno, compreso lo stage, frequentava le lezioni e contemporaneamente la sera imparava il mestiere con l’attività pratica. Anche lui ha conseguito la qualifica di idraulico valida a tutti gli effetti con la possibilità di certificare i lavori eseguiti. Un ottimo traguardo con un titolo spendibile che gli ha consentito di trovare subito lavoro, mettere su casa e pensare, con un certo ottimismo, al futuro.

Naturalmente è auspicabile che la formazione professionale goda di una adeguata e accattivante pubblicità, in modo che i giovani scelgano consapevolmente il proprio percorso e il mondo del lavoro in ogni ambito possa avvalersi di professionisti qualificati.

 

 

Agricoltura

Gal Ogliastra: finanziamento alle imprese locali

Filiera corta e produzione agricola. Il Gal Ogliastra ripubblica il bando di finanziamento per le aziende locali

Due settori produttivi fondamentali, in grado – per le loro caratteristiche e la loro pregnanza – di stimolare processi di sviluppo reale nel territorio: la produzione agricola e la filiera corta sostenibile e solidale. Per questo il Gal Ogliastra (Gruppo di Azione Locale) ha deciso di rilanciare il bando di finanziamento per le aziende locali. L’avviso è rivolto principalmente alle microimprese. L’obiettivo è l’individuazione di nuovi canali di commercializzazione e il supporto delle aziende locali per la strutturazione di una filiera corta dei mercati e la ristorazione locale, le mense scolastiche ed, eventualmente, i Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) diffusi su tutto il territorio regionale.

Pubblicato lo scorso 29 febbraio 2024, il bando ha come scadenza il 29 marzo 2024 e prevede un massimale di 150mila euro. I beneficiari dell’intervento sono le aggregazioni di almeno tre soggetti, tra imprese agricole e altri della filiera agricola e alimentare (operatori della trasformazione e commercializzazione).

Vengono sostenute con un contributo al 100% le azioni di cooperazione e promozione della filiera (costi di animazione al fine di ampliare la partecipazione al progetto; costi per la predisposizione del progetto esecutivo della filiera corta/mercato locale; costi amministrativi e legali per la costituzione dell’aggregazione; costi di esercizio; costi connessi alle attività di commercializzazione, costi relativi alla partecipazione e all’organizzazione di eventi promozionali). È inoltre previsto il sostegno agli investimenti, con intensità d’aiuto del 60%.

«Abbiamo pensato di rilanciare questo bando proprio per rispondere a una richiesta del territorio – spiega il presidente del Gal, Vitale Pili –. La dotazione finanziaria arriva a un massimale importante che può fare la differenza in termini di progettazione futura per le imprese. Si tratta di un bando rilevante, che rilancia le possibilità delle imprese agricole esaltando le loro qualità anche in tema di rispetto dell’ambiente o innovazione. Possiamo in questo modo continuare a contribuire fattivamente alla crescita del tessuto imprenditoriale nei paesi afferenti l’area Gal». Medesima soddisfazione nelle parole della direttrice del Gal, Franca Seoni: «La decisione di riproporre il Bando – evidenzia – è scaturita dall’interesse che la prima edizione ha riscontrato nelle imprese, un importante segnale del territorio di conversione verso la cooperazione nel segno delle produzioni agricole solidali e di qualità».

Gli uffici del Gal restano a disposizione per incontri personalizzati al fine di fornire tutte le informazioni necessarie ai soggetti interessati. Il testo del bando è scaricabile dal sito www.galogliastra.it. Per ulteriori informazioni è possibile contattare gli uffici del GAL al telefono 0782.37683, o via e-mail info@galogliastra.it. (c.c.)

 

Zuncheddu

Un errore lungo 30 anni. Zuncheddu finalmente libero

di Roberto Comparetti.

È tornato a Burcei, nel cagliaritano. Beniamino Zuncheddu, assolto dalle accuse che lo hanno tenuto in carcere per oltre 30 anni, sta riassaporando il gusto della libertà. È ancora frastornato per le ultime settimane segnate da viaggi a Roma, interviste e incontri pubblici che, forse, mal si conciliano con il suo carattere schivo poco avvezzo alle ribalte.
La sua vicenda però non poteva non essere raccontata e resa pubblica, perché per una persona finire ingiustamente in carcere è una delle peggiori iatture.
La Corte d’Assise d’Appello di Roma lo ha assolto, dopo il processo di revisione per la strage di Cuili is Coccus, a Sinnai, in cui nel 1991 furono uccisi tre pastori: Zuncheddu, a febbraio dello stesso anno fu arrestato perché il supertestimone Luigi Pinna, quarta vittima sopravvissuta all’aggressione nonostante le ferite, lo accusò di aver ucciso tre pastori. Basandosi in gran parte su questa testimonianza, Zuncheddu fu condannato all’ergastolo nel giugno 1992, nonostante le sue ripetute affermazioni di non avere nulla a che fare con tutto ciò.
Nel 2017 l’avvocato Mauro Trogu ha preso in carico la revisione del processo che è stato avviato a novembre. I difensori con i consulenti hanno consultato tutte le carte che parlavano di prove a carico contraddittorie, mentre le indagini difensive hanno dimostrato la falsità di quelle prove a carico. Da qui l’iter fino alla sentenza di venerdì 26 gennaio, che ha decretato la scarcerazione dell’uomo. Uno degli errori giudiziari forse più clamorosi della giustizia italiana.

Al suo rientro a casa Beniamino per prima cosa si è recato in chiesa, nella parrocchia di Nostra Signora di Monserrat, dove il parroco, don Giuseppe Pisano, era intento a celebrare l’adorazione eucaristica. «Ero inginocchiato in preghiera – racconta – e all’improvviso ho sentito Luigia, la nipote di Beniamino, starmi accanto, segnalandomi la presenza dello zio. Lui era inginocchiato, su mia indicazione l’ho fatto avvicinare all’altare e lo ho abbracciato. Non potevo non commuovermi, perché credo che dietro a questa liberazione ci sia anche il dito di Dio».
L’arcivescovo di Cagliari, Giuseppe Baturi, Segretario generale della CEI, ha consegnato al Papa la lettera con la quale il parroco, il sindaco di Burcei, Simone Monni, e lo stesso Zuncheddu chiedono al Santo Padre che sia ricevuto in udienza privata insieme alla famiglia. «Il Pontefice – dice ancora il parroco – ha chiesto del nostro compaesano e si è mostrato felice per l’esito della vicenda».

Anche in paese le persone si dicono felici per la fine di un incubo che ha preoccupato tanti burceresi. Il sentimento dominante è di sollievo e di vicinanza a un uomo che ora dovrà ripensare la propria vita, dopo gli oltre tre decenni dietro le sbarre da innocente.
In molti si dicono meravigliati per la sua flemma nelle brevissime risposte ai cronisti che lo incalzano. Anche il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, a Cagliari per un convegno, si è detto meravigliato per come Zuncheddu non sia «incattivito» dall’ingiusta detenzione.

Gigi Riva

Perché Gigi Riva mi ha cambiato la vita

di Francesco Ognibene. (Avvenire)

È il momento dei ricordi collettivi, commossi, nostalgici, ed è giusto: Gigi Riva appartiene a tutti. Non c’è tifoso di qualunque squadra che non lo senta suo, nessun totale profano dello sport che non abbia il suo nome tra quelli che citerebbe per dire un eroe del calcio, forse il primo. Un esempio, un mito, una divinità dell’olimpo che ha condiviso con noi la breve stagione della gloria sportiva ma, a differenza degli dei, è rimasto in mezzo alla gente che l’ha adottato, sino all’ultimo.

Ma c’è anche chi da Gigi Riva si è visto cambiare la vita. Pur non sardo, io sono tra questi, e so di non essere affatto il solo. Non l’ho mai conosciuto di persona, nemmeno un autografo, un selfie, una parola scambiata per strada. Ma quando da bambino cerchi chi possa ispirarti a crescere e trovi una figura straripante di cose evocate e non dette come la sua – un cavaliere solitario, un impassibile creatore di istanti memorabili, una incrollabile certezza nei gesti precisi e nelle parole misurate, un volto inconfondibile con infinite storie dentro – innamorartene non è in discussione. Accade e basta, non ci puoi fare niente. Non è forse lo stesso per ogni incontro che ha impresso una qualunque direzione alla nostra esistenza?

Quando per tutta la vita si porta dentro il suo profilo scolpito nella pietra, eppure così terribilmente umano, con tutte le fragilità e le ritrosie che appartengono ai veri uomini, il tifo per la sua squadra – totale, indiscusso, ovviamente monogamo – in fondo è quasi un dettaglio, un atto d’amore dovuto che finisce col mescolare un uomo e la terra che l’ha adottato, il campionissimo e la gente che l’ha custodito, la sua biografia e quella di un’isola che potrebbe prendere il nome del suo eroe tanto si somigliano, come due metà che si sono cercate per non lasciarsi mai.

Trovarsi Riva per compagno di banco dalle elementari all’età delle figlie che si fanno grandi significa scoprirsi moralmente sardi pur non avendo una goccia di sangue isolano. Perché Riva è stato un modo di stare al mondo, uno sguardo sulla vita, uno stile di rispetto non negoziabile verso tutti e di fierezza mai esibita, di umiltà consapevole dei doni ricevuti, di allergia assoluta a ogni presunzione e chiacchiera vana, di fiducia data e ricevuta anche sapendo di rischiare la fregatura, di amicizia discreta e fedele. Si può vivere così, lui ne è stata la dimostrazione certificata, il modello e lo standard immortale, ben oltre lo scudetto del Cagliari 1970 del quale la Sardegna è ancora custode gelosissima, con i murales nei paesi, la formazione che sa di album di famiglia, lo stadio Amsicora che porta il nome di un guerriero indomito come il popolo sardo. C’è una casa nella quale si sa di sentirsi come in famiglia, misteriosamente, e sulla porta sotto i quattro mori c’è scritto Riva.

Gianni Brera l’aveva ribattezzato “Rombodituono”, per dire della potenza assordante del suo sinistro. Ma confesso che mi è sempre sembrato un eccesso di retorica che sul “mio” Riva stava come un vestito troppo largo. C’è però in quel soprannome, divenuto sinonimo dell’uomo, anche una verità profonda che fa compagnia adesso che tutti lo celebrano: ed è la forza morale che promana dalla sua figura, nelle foto giovanili che lo ritraggono statuario e titanico fino agli scatti dell’ultimo compleanno, il 7 novembre (lo stesso giorno in cui mi è nata una figlia, guarda tu il destino).

Ora che noi tifosi del Cagliari, non sardi ma di stretta osservanza riviana, stiamo cercando di capacitarci della notizia impensabile della sua morte scopriamo di dover fare i conti con una domanda mai affiorata, forse imbarazzante (in fondo, ci diranno, era solo un calciatore), ma molto più vera di quel che saremmo disposti a confessare: quanto gli dobbiamo?

 

 

Studenti Classico Tortolì

Classico di Tortolì: viaggi, attività e tanto divertimento

di Sara Loddo ed Emiliano Carta.

Quando si pensa al Liceo Classico viene in mente un luogo serio, in cui l’unica attività svolta è lo studio e in cui lo svago non è neanche contemplato. Ma la realtà è ben diversa

Vogliamo raccontarvi di come noi studenti, durante l’anno, siamo al centro di numerose attività che ci assorbono per diversi mesi, durante i quali possiamo stringere legami di amicizia e divertirci tutti insieme. Tra queste, due sono quelle che ogni anno attendiamo con più ansia: le gite scolastiche e la Notte Nazionale del Liceo Classico.
Le gite organizzate dalla nostra scuola sono varie e si svolgono in diversi momenti dell’anno, ma quella che facciamo solitamente a marzo è la più importante. L’anno scorso ci siamo recati per cinque giorni in Grecia, durante i quali abbiamo visitato i maggiori centri d’interesse, a partire da Atene, per poi spostarci nelle altre località nelle quali una guida apposita ci illustrava la storia di siti e monumenti. Non sono mai mancati, però, i momenti di libertà in altre aree della città. Quest’anno invece trascorreremo cinque giorni a Barcellona, alla scoperta di meraviglie che – ne siamo certi – rimarranno scolpite nella nostra memoria.

Veniamo alla Notte del Classico. Si tratta di un evento su scala nazionale, con una tematica uguale per tutti, ma che permette una certa indipendenza nello sviluppo concettuale dello spettacolo (perlopiù teatrale). Siamo ormai giunti alla quarta edizione per la nostra scuola e ognuna si è rivelata per noi un’occasione di straordinaria crescita individuale e collettiva.
L’impulso per questa ricorrenza parte proprio da noi alunni: nel primo quadrimestre ci si coordina con i professori e si stabiliscono il tema e le modalità di svolgimento dello spettacolo; poi si procede con momenti di incontro in cui, oltre al lavoro di stesura o adattamento dei testi – impegnativo, sì, ma molto costruttivo – si individuano le parti, lasciando spazio anche al divertimento e alle risate, come noi della III A abbiamo felicemente sperimentato a partire dal primo anno. Non si può negare che l’impegno in questo progetto tolga spazio al tempo libero e allo studio, ma in quest’ultimo ambito abbiamo sempre trovato il supporto dei nostri professori, che hanno dimostrato molta elasticità e correttezza.
Le settimane prima dell’evento sono di intensa preparazione: l’ansia cresce, mentre l’orologio avanza; si riprovano le parti, si correggono le imperfezioni; studenti e professori danno il massimo per il comune obiettivo.
E quando il fatidico giorno arriva e si mette piede sul palco, ogni paura svanisce, lasciando posto a una gioia indescrivibile. È un’esperienza che accresce chi la vive dal punto di vista umano, che ha contribuito tantissimo negli anni a cementare il rapporto fra classi e che ci ha reso il liceo unito che siamo ora. Quest’anno l’appuntamento è fissato per il 19 aprile, dalle ore 18 alle 24: vi aspettiamo numerosi!

linguaggio-genere-

I femminili di professione

di Fabiana Carta.

Lo dico subito, a scanso di equivoci. Non si parlerà di questioni femministe, di battaglie a favore delle donne, di neologismi, di abbrutimenti linguistici. Tantomeno si parlerà di linguaggio inclusivo, dell’utilizzo dell’asterisco o del simbolo schwa che servirebbero a opacizzare il genere grammaticale e a rispettare tutti coloro che non si rispecchiano nel maschile e nel femminile (questione che abbiamo già trattato in precedenza). L’asterisco e lo schwa non fanno ancora parte del nostro sistema linguistico ed è molto difficile che possano diventare, un giorno, qualcosa di concreto.
Qui parliamo di semplice grammatica: i femminili di professione, come sindaca, ministra, ingegnera, architetta, avvocata, medica, arbitra, notaia. Qualcuno di voi ha storto il naso, ne sono sicura. Dovremmo usarli con naturalezza, perché fanno parte della nostra lingua; non sono una gentilezza, una concessione, e – ripeto – non c’entra niente l’inclusività. Allora perché siamo così in imbarazzo quando li sentiamo? Perché queste parole ci sembrano sbagliate o cacofoniche?

Se ci può essere di conforto, la desinenza femminile per la definizione delle professioni manda in crisi l’umanità da secoli, la resistenza al loro uso affonda le radici nel passato. Queste parole ci suonano male perché non ci sono state insegnate, il nostro orecchio non è abituato a sentirle usare e le percepisce come anomale, inoltre è vero che per secoli tante attività professionali sono state precluse alle donne.
I femminili di cui parliamo hanno una lunga storia, non sono stati creati a tavolino dalla femminista di turno. Ad esempio, avvocata era molto diffuso in passato, troviamo questa forma a partire dal 1221 nella preghiera “Salve, Regina” («Orsù dunque, avvocata nostra»). Il ruolo è una cosa, la persona che lo veste è un’altra: una delle giustificazioni che si usano per opporre resistenza e non utilizzare i femminili di professione è questa. Un pensiero che abbiamo fatto in molti, ne sono certa, però allora riflettiamo sul perché non applichiamo lo stesso ragionamento per infermiera o professoressa, per fare due esempi. È solo una questione culturale e sociale.

Proviamo a schematizzare come si formano tecnicamente i femminili nelle professioni: con i nomi che terminano in -ente e in -ista è necessario cambiare solo l’articolo (il presidente > la presidente, il giornalista > la giornalista); per i nomi che terminano in -tore, nella maggior parte dei casi, il femminili ha il suffisso in -trice (attore > attrice), la regola varia quando -tore viene preceduto da una consonante diversa da t (impostore > impostora, non impostrice); i nomi maschili che terminano in -sore forma il femminile in -itrice, da inserire accanto alla radice dell’infinito del verbo da cui derivano (possed-ere > posseditrice).
Sapete che i lessicografi, oggi, sconsigliano di usare le forme con il suffisso in -essa? Come dottoressa (al suo posto si consiglia dottora, il corrispondente naturale di dottore), oppure avvocatessa, filosofessa, presidentessa (al loro posto avvocata, filosofa, la presidente). Il suffisso -essa ha una connotazione ironica che deriva dalla commedia greca – il linguista Sabatini lo ha definito “sessista” – si usava per sottolineare che quella donna svolgeva una mansione da uomo o che svolgeva lo stesso lavoro del marito declinato al femminile.

A questo punto, non usare i femminili di professione diventa davvero innaturale. Mettiamo da parte l’imbarazzo e le incertezze, fidiamoci della semplice grammatica.