Volti e persone

In politica servono persone preparate e moralmente motivate
a cura di Filippo Corrias.
Da sempre la Chiesa ha svolto un ruolo prezioso nella formazione culturale, morale e sociale di chi si impegna attivamente in politica. È ancora così? Cosa è cambiato e cosa si può fare ancora oggi per favorire formazione e partecipazione attiva? Ne abbiamo parlato con don Roberto Caria, professore associato di Teologia Morale Sociale alla Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna
«Coloro che hanno responsabilità politiche non devono dimenticare o sottovalutare la dimensione morale della rappresentanza, che consiste nell’impegno di condividere le sorti del popolo e nel cercare la soluzione dei problemi sociali».
È un passaggio del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa. La disaffezione dei cittadini alla politica è dovuta al fatto che i politici hanno abdicato a queste responsabilità?
Quando un contesto politico manifesta i suoi limiti e le sue carenze non si deve puntare il dito solo sui rappresentanti eletti dal popolo, ma la responsabilità è di tutti. Il cedimento morale non è solo dei politici ma di tutta la società, e ne siamo responsabili a tutti i livelli, individuali e istituzionali, anche noi come Chiesa cattolica.
Detto questo, è fuorviante cadere nel disfattismo, tantomeno nell’antipolitica (quest’ultima fortemente propagandata in Italia negli ultimi trent’anni almeno dal 1992). La disaffezione a servire il bene comune – che ha priorità sul bene privato – è frutto di idee e pratiche distorte, che hanno portato al ripiegamento individualistico su se stessi e sul proprio utile. Si è creata la mentalità, nello Stato e nella Chiesa, che le istituzioni non vanno servite, ma sfruttate! Ecco il decadimento culturale. La ripartenza morale deve coinvolgere tutti gli uomini di buona volontà, sia nella vita privata che pubblica, per lavorare con passione per il bene comune, soprattutto a vantaggio dei più giovani e degli anziani.
«I partiti sono chiamati a interpretare le aspirazioni della società civile offrendo ai cittadini la possibilità effettiva di concorrere alla formazione delle scelte politiche». C’è, a suo parere, questa formazione a livello nazionale e locale?
La formazione alle scelte politiche alte oggi non c’è, semplicemente perché le decisioni sulle grandi questioni economiche sono già prese nei poteri – soprattutto dell’alta finanza – che condizionano e ricattano le scelte degli Stati. Il discorso è articolato e non è possibile svilupparlo ora. Per fare un riferimento che ci tocca da vicino, in Sardegna è evidente come la scelta di usare il territorio regionale per la speculazione energetica di alcune multinazionali è già stabilita. Ai sardi rimarrebbe la possibilità di opporsi su qualcosa, ma alla fine non riusciamo a essere uniti perché in tanti pensano solo al proprio interesse, piccolo o grande che sia.
In generale, siamo in una fase storica in cui è necessario ripensare anche la rappresentanza politica, per favorire un reale coinvolgimento di tutti nelle scelte politiche più importanti.
Come la Chiesa, in particolare la Chiesa locale, può incentivare i fedeli alla formazione e alla partecipazione politica?
Prima di tutto vivendo al suo interno un’autentica giustizia e favorendo la partecipazione delle persone alla vita istituzionale. Poi mostrandosi lealmente super partes nell’agone politico, senza cercare privilegi, ma collaborando con coloro che seriamente vogliono servire la loro patria, ai vari livelli istituzionali dello Stato, dal piccolo comune fino al Presidente della Repubblica. Non è più l’epoca della Democrazia Cristiana e di uno schieramento unico del cristiano nella dialettica politica, ma in qualunque partito o movimento si riconosca, il vero cristiano si deve adoperare a portare la virtù nella vita democratica. Oggi la realtà politica è molto articolata e complessa, richiede persone preparate e moralmente motivate, non si può giudicare ciò che accade solo emotivamente o per previa appartenenza faziosa. Purtroppo il mondo mediatico favorisce solo la divisione faziosa e polarizzata tra due estremi, come hanno dimostrato in modo eclatante gli anni 2020-2022.
San Paolo VI affermava che la politica è una delle forme più alte di carità. Quali sono le sfide più urgenti a cui la politica deve dare risposte?
L’avverbio “urgente” non lo userei, è troppo abusato dalla propaganda quando deve costringere i popoli a scelte rapide che avvantaggiano pochi. La ricostruzione di un tessuto morale buono richiede saggezza e pazienza. La vita politica è fatta da tutti a vari livelli: chi governa deve pensare al bene dei suoi cittadini, non agli interessi di pochi. Tutti, poi, siamo chiamati a collaborare al bene comune, che è di ordine materiale e spirituale, attraverso una vita virtuosa, sia nel privato che nel pubblico. Dobbiamo uscire dal sentimentalismo caritatevole per dedicarci con serietà alla virtù della giustizia in tutti gli ambiti. Essere giusti, difendere il diritto naturale e positivo, è la base per essere veramente caritatevoli e creare un contesto politico in cui la concordia sia la sua anima. La concordia, ci insegna San Tommaso d’Aquino, è la capacità di unire le volontà, pur nella diversità delle opinioni, per orientare tutto al bene comune. Sempre San Tommaso ci insegna che alla giustizia appartiene anche la dimensione religiosa di ogni persona: l’abbandono della fede in Dio e la deviazione verso pratiche superstiziose di ogni tipo è una delle cause del cedimento morale di questi tempi.
Al livello generale, il trionfo del neoliberismo come filosofia economica ha stravolto le priorità tra politica ed economia: la politica è divenuta ancella dell’economia finanziaria, mentre dovrebbe essere il contrario. Le istituzioni, lo Stato in primis, sono ridotte ad aziende che devono badare prima di tutto al pareggio di bilancio e al profitto di pochi privati. Ci sarebbero ancora tante cose da dire, ma per dirne una che riguarda l’Italia, ritengo che sia maturo il tempo per smettere il teatrino da guerra civile continua – fomentato da poteri forti e dal mondo mediatico – tra antifascismo e fascismo. Bisogna fare pace con tutta la storia del proprio Paese e pensare ad affrontare insieme, pur nelle diversità delle opinioni, i problemi reali delle persone e delle famiglie. Oggi ci sono tirannidi, più subdole ma riconoscibili, verso le quali le persone libere e virtuose possono tenersi distanti senza lasciarsi catturare nella rete.

Beatrice Foddis. Una storia d’amore per il territorio
di Gian Luisa Carracoi.
Oggi sono sempre più i giovani che sentono un forte desiderio di tornare a un rapporto più autentico con la terra. Attratti da una vita a contatto con la natura che valorizzi la storia e le tradizioni, sperimentano – grazie alla tecnologia e anche al sostegno di contributi mirati – la possibilità di creare un business innovativo e sostenibile. Il loro valore aggiunto è l’essere più istruiti e più connessi con il mondo.
Beatrice Foddis, classe 1998, dolce orgoglio terteniese, è una nuova promessa dell’imprenditoria giovanile ogliastrina. Spinta dalla volontà di investire la propria passione e le competenze d’esperienza maturate nella vita in campagna insieme ai suoi familiari, è una chiara dimostrazione di come ci siano ancora giovani decisi a sfidare le difficoltà legate all’insularità della nostra terra, di realizzare le proprie speranze attraverso un lavoro che li gratifichi nel pieno rispetto delle radici e della cultura locale.
Dopo il diploma all’ITC di Jerzu si è guardata dentro, ha ascoltato le proprie emozioni, i propri sogni, e si è persuasa di non voler trascorrere il proprio futuro unicamente dietro una scrivania, ma negli spazi aperti che profumano di lentisco, mirto e corbezzolo, dai quali si scorge la sconfinata distesa marina. Da allora ha portato avanti con passione e determinazione la piccola azienda agricola di famiglia in un mix di genuinità, freschezza ed energia giovanile.
I pochi mesi trascorsi dentro le aule dell’Università sono state rivelatrici: ha capito che aveva bisogno di vivere se stessa, felice così come si riconosceva nel suo territorio, offrendo la sua passione e la voglia di fare alla sua famiglia, per lei valore essenziale, e alle sue greggi, gioiose compagne fin dall’infanzia. É lei stessa a raccontare: «Fin da bambina le mungevo e trascorrevo tanto tempo con loro. La mia è stata una scelta insolita, ma consapevole. Una volta rientrata in paese, avevo già in mente mille idee per rivoluzionare l’azienda, ma i miei genitori mi hanno messo i freni e hanno fatto bene perché, non lo nego, per condurre un’attività ci vuole un giusto equilibrio di sprint e riflessione».
L’azienda è una micro impresa familiare nata negli anni ’80 del secolo scorso quando suo padre, appena ragazzino, e suo zio di qualche anno più grande, decisero di creare un piccolo allevamento caprino. Negli anni 2000 si divisero creando due allevamenti distinti. Oggi il lavoro a cui Beatrice dedica tutto il tempo della giornata ruota intorno a un allevamento semibrado e alla trasformazione artigianale del latte. Allevano caprini, ovini e suini che circolano liberamente su una vasta area di macchia mediterranea ai piedi di Monte Siddu. L’azienda è totalmente biologica e i loro animali pascolano su un’ampia area di macchia mediterranea, in territori ancora agresti e sani dell’Ogliastra, riconosciuta, come sappiamo, a livello mondiale come terra dei centenari.
Le pecore e le capre entrano in stalla solo per la mungitura e per partorire più comodamente. La priorità è il loro benessere.
Con lo sguardo luminoso di un sano orgoglio, Beatrice continua a raccontare: «Io e mio fratello Daniele abbiamo deciso di intraprendere di comune accordo un percorso imprenditoriale che permetta di dare il giusto valore al nostro faticoso lavoro. Mi occupo dell’azienda familiare cercando di rinnovarla sempre più, ma con uno sguardo rivolto alle tradizioni. Ho deciso di prendere in mano l’attività pur sapendo dei tanti sacrifici che avrei dovuto affrontare. La portiamo avanti insieme, consapevoli di essere la terza generazione di allevatori nella storia più recente della nostra famiglia. A seguire le greggi è soprattutto lui e capisco bene le sue fatiche e i suoi sacrifici; per il pastore, e per chi fa il formaggio, non esistono feste, non esistono brutte giornate, non esistono giorni liberi, si lavora 365 giorni all’anno. Nel nostro caso è una passione che arriva da una cultura familiare tramandata da mio nonno, da mio zio e mio padre. Io ho intenzione di prendermi cura di tutto questo, studiando e formandomi sempre più per produrre prodotti eccellenti, ma soprattutto il vecchio formaggio di una volta. Con Daniele stiamo cercando di mettere in piedi un mini caseificio dove poter valorizzare in particolare il formaggio a latte crudo che ha il vantaggio di mantenere intatti i sapori e gli aromi originali del latte. Ci stiamo inoltre impegnando per riuscire a introdurre l’azienda nel settore turistico, perché abbiamo constatato che l’agricoltura e il turismo sono settori tra loro sinergici. É importante far capire alle persone il giusto valore del nostro lavoro perché possano capire al meglio il nostro prodotto finito. A giugno sono stata eletta all’unanimità delegata provinciale dei giovani di Coldiretti Nuoro-Ogliastra, per guidare il movimento giovanile del territorio per i prossimi cinque anni. Li ringrazio tutti di cuore per la grande fiducia nei miei confronti. É questo un ruolo di grande responsabilità che mi permette di far parte di un gruppo, di stare a contatto con tante realtà simili alla mia, di fare rete per affrontare con maggior forza i problemi e scambiare idee fresche e fruttuose per il nostro settore. Sostenere i sogni imprenditoriali dei giovani che scelgono di costruire il proprio futuro in campagna è importantissimo. Spero che il nostro esempio possa essere di sprone anche per altri che, come noi, decidono di restare e di credere nelle potenzialità dell’Ogliastra e ovviamente nelle proprie, che guardino all’oggi e al domani con curiosità e voglia di imparare. Le possibilità sono tante, bisogna mettersi in gioco, perché se ci credi veramente i frutti arriveranno».

A tu per tu con Massimiliano Tuveri
di Giusy Mameli.
Strumenti di speranza accanto a chi soffre
Massimiliano Tuveri. Da quando eravamo compagni al liceo ne hai fatta di strada! Chirurgo agli onori della cronaca per una diatriba con l’Azienda Ospedaliera Brotzu di Cagliari che ti ha portato a lavorare fino a novembre prossimo a Lanusei: ti aspettavi tutto questo clamore?
Vivo di rendita, dell’affetto delle persone per mio padre, primario a Lanusei negli anni ’80 e ’90: ho osservato da spettatore la mobilitazione per la mia situazione professionale anche con la raccolta di firme on line; per me è ricominciare una nuova avventura, nel posto che ho amato di più, il luogo dei ricordi, degli affetti.
Un concorso come chirurgo oncologo al Brotzu, vinto da te che non sei stato messo in condizioni di operare. La tua vicenda è una questione di giustizia e verità: cosa ti senti di dire a proposito?
Non posso parlare della complessa vicenda giudiziaria in corso, ma posso dire che a Lanusei presterò il mio servizio a chi ha bisogno in un Ospedale che ha fatto grandi passi avanti, ha raggiunto risultati impensabili grazie ai colleghi che qui lavorano, al primario Gian Pietro Gusai, e in particolare ai colleghi di chirurgia: faremo un bel lavoro sin dove si potrà arrivare.
Per i pochi che non ti conoscono, quali sono le tue specializzazioni?
Chirurgia vascolare e chirurgia generale, in particolare chirurgia epatica per la ricerca dei trapianti a Huston e successivamente chirurgia oncologica; faccio ricerca da sempre con il CRS4 di Rubbia e ho collaborato con scienziati come Quarteroni e Veneziani. Laurea e specializzazione all’Università di Cagliari: ho fatto gavetta, ma non mi hanno consentito di proseguire all’Università; andai in Texas dove mi hanno accolto subito, interessati alle mie competenze di fluido dinamica e reclutato per studi riguardanti il fegato computazionale, che non è un fegato artificiale, ma una grande equazione matematica. Stiamo costituendo un consorzio europeo su questi aspetti poco conosciuti, grazie ai contatti che ho al CRS4.
Poco tempo fa hai perso uno dei tuoi più cari amici: tra morte e vita, quanto conta il sostegno spirituale e la visione cristiana?
Il percorso di fede è centrale per la vita di ogni uomo (credente o no): compiamo atti di fede tutti i giorni. La fede è una forma di conoscenza che non umilia ma completa la ragione. Sono cresciuto in Comunione e Liberazione con l’amico fraterno Salvatore Pisu, scomparso per una grave malattia degenerativa. La fede consente di comprendere molte cose, anche tecniche, che nella professione non riusciremo a comprendere appieno. Non tutto ciò che è fattibile è buono e nell’oncologia il problema è supportare la speranza, che non è un semplice ottimismo: “andrà tutto bene”. Io non dono speranza: cerco di trasmetterla, non salvo nessuno, sono indegno strumento di bene, per migliorare la vita dei pazienti (se possibile); nell’alleviare la sofferenza, molte cose possono apparire più semplici anche se non lo sono.
A chi dirà che per te rientrare a Lanusei è solo un ripiego, una retrocessione, una sconfitta, cosa rispondi?
Non hanno capito cos’è la nostra professione: Don Milani diceva che la grandezza di una vita non si misura dalle dimensioni dei luoghi in cui vivi, ma da ben altro!
Tu conosci il sistema sanitario statunitense, puoi dirci che in Italia siamo ancora fortunati? Perlomeno sulla qualità del servizio offerto e sull’accessibilità alle cure.
Il sistema salute è patrimonio dell’Italia, va preservato, difeso e promosso; credo nel principio di sussidiarietà dove il privato può lavorare con le strutture pubbliche. Certe prestazioni sanitarie molto complesse e costose le può garantire solo il pubblico, il privato spesso si tira indietro da situazioni complicate. La salute e l’educazione devono rimanere le priorità.
Io ho lavorato in un ospedale americano pubblico, facevamo i trapianti anche per i non abbienti. Il problema reale è l’accesso alle cure. Se ad esempio hai un infarto a Firenze, ma l’ospedale pubblico è a Napoli, il tempo di percorrenza per arrivare a salvarti la vita è praticamente ingestibile. Nel momento in cui in Sardegna ci mettono mesi per una risonanza è un grave problema di accesso alle cure, non tollerabile.
Pensi che l’essere uomo ti abbia agevolato nel gestire meglio la fatica di dividersi tra famiglia e lavoro?
Lo ammetto, può essere, perché la donna fa sempre un doppio lavoro se ha figli, ma in famiglia la fatica va divisa e condivisa.
Una realtà come la nostra, Ogliastra/Sardegna, potrebbe ripartire dalle eccellenze, come nel caso della chirurgia che in questi mesi vede te e Gusai impegnati nel medesimo piccolo ospedale?
Si possono avere eccellenze. Se tu dai un servizio ben fatto, tu sei un’eccellenza: non è solo la difficoltà dell’intervento chirurgico in sé. Il sistema funziona se rispondi alle esigenze del paziente; eccellenza non è fare cose fantasmagoriche, ma spesso purtroppo si difendono autoreferenzialità.
Io vado alla ricerca di un maestro non di un gran maestro!Mi piacerebbe tanto formare altri giovani e trasmettere loro le competenze che ho acquisito. Il problema della Sardegna è l’appartenenza non la competenza: è appartenere a certi contesti. Ci sono persone e apparati che hanno scisso il potere dal servizio, ecco perché spesso anche il sistema sanità non funziona.
In un noto film, “Un medico, un uomo”, un chirurgo senza un minimo di umanità pensa che per fare il proprio lavoro si debba alzare un muro con i pazienti per non affezionarsi. Possibile che restare umani sia l’eccezione e non la regola?
Il paziente si rivolge a te non come numero, ti chiede di fare un pezzo di strada con lui. Il problema del distacco, nella professione, è una questione di equilibrio che non deve essere interpretato solo come: io sono il medico e prendo le distanze da te paziente.
Il sistema clientelare dove contano i favori e non i meriti, del potere fine a sé stesso. Pensavamo di essercene liberati e invece… Chi ha timore del dottor Massimiliano Tuveri?
Chi ha paura di confrontarsi sia sul piano professionale che umano e chi non mi conosce, perché capirebbe che amo lavorare in équipe. Dio ci ha dato dei talenti e li dobbiamo mettere veramente al servizio del prossimo: chi ha paura di me ha paura di sé stesso e non ama la Sardegna.
I tuoi studi dai Salesiani a Lanusei hanno forgiato lo studente e anche il nostro Liceo Classico non è stato da meno: possiamo dire che molto spesso i limiti ce li mettiamo noi e il piangerci addosso è ciò che ci condiziona?
Ricordo i miei insegnati salesiani con affetto e nostalgia: anche molto severi per quei tempi: don Antonio Ibba, don Deiala, ad esempio. Sono molto grato agli educatori dei tempi di gioventù, sono nate le amicizie per tutta la vita. Non ci sono limiti se si coltiva determinazione e se confidiamo nella Provvidenza.

Arzana, la rinascita passa sempre dalla cultura
di Maria Franca Campus.
Ogni paese, si sa, ha mille volti, tanti quanti sono quelli di chi lo racconta. Alcune voci però narrano una storia collettiva che appartiene a tutti e a ciascuno, in cui ci si riconosce e ci si ritrova.
Arzana raccontata da Raffaele Sestu ha un aspetto luminoso. La sua voce non rinnega le ombre, ma si sofferma sulle luci; non ignora i problemi, ma si concentra sulle soluzioni; non tace sulle carenze, ma valorizza le potenzialità.
In una tarda mattinata di luglio, nel suo ambulatorio di via Sardegna, dottor Sestu, medico condotto per quarant’anni e presidente della Proloco locale e regionale ancora in carica, riassume la sua Arzana da fine anni ottanta a oggi, durante una piacevole chiacchierata. Tra aneddoti e scherzose battute il suo racconto fresco e dinamico traccia un quadro in movimento, colorato, vivo, ricco di eventi, ma soprattutto di valori, di persone più che di personaggi, di storie e insegnamenti che richiamano emozioni, vissuti collettivi e esperienze personali.
Era il 1982 quando Raffaele Sestu rinunciò alla promettente carriera di ricercatore universitario per diventare medico di base nella sua Arzana. «Erano tempi difficili per il paese, segnati da una profonda crisi sociale e politica», racconta, mentre ricorda quegli anni di omicidi efferati, paura e diffidenza. Per far fronte a uno scenario sconfortante e reagire «decidemmo di metterci in gioco e investire in cultura. Politicamente sostenemmo la lista capeggiata da Attilio Usala che nel 1991 supportò la nascita della Proloco. Eravamo un gruppo mosso dalla voglia e determinazione di fare qualcosa per il proprio paese».
Così, agli anni bui seguì un periodo di rinascita in cui Arzana salì alla ribalta delle cronache per eventi culturali di grande rilievo. Conquistò le pagine dei giornali non più per fatti di cronaca nera, ma per rassegne di interesse enogastronomico, artistico e scientifico. Il Porcino d’Oro ha portato nel paese ogliastrino eccellenze della cucina italiana, dell’arte, della musica, della letteratura e ha coinvolto la comunità in un’organizzazione imponente e sempre d’alto livello. Rileggendo gli articoli che raccontano le venti e più edizioni de Il Porcino d’Oro si incontrano Paolo Pillonca e Bachisio Bandinu, Tonino Oppes e Luca Goldoni, Maria Lai e Pinuccio Sciola, Andrea Parodi e Piero Marras, per citare solo alcuni grandi nomi che si sono incontrati ad Arzana per parlare di arte, di musica, di poesia, di storia, di lingua e identità.
Al centro o sullo sfondo, a seconda dei punti di vista, la cucina, la convivialità, i piatti della tradizione. E l’incontro con altre comunità. Ogni anno una regione diversa. A significare che è nell’incontro con l’altro che si cresce, nella conoscenza, nella accettazione delle differenze, nell’assaporare gusti nuovi senza rinnegare i propri, anzi.
Poi è stata la volta della manifestazione Le erbe e i colori in collaborazione con lo studioso Mauro Ballero, che ha acceso i riflettori sul Gennargentu come «vera e propria miniera botanica dove crescono erbe officinali. Nel 2007 – ricorda il Dottore – il principio attivo dell’elicriso con accertate proprietà antivirali e anti-infiammatorie era stato battezzato Arzanolo in onore del territorio dove la pianta cresce spontanea».
Arzana aveva voltato pagina e aveva preso consapevolezza dei suoi punti di forza. «Perché è una comunità laboriosa, intelligente, colta. Basti pensare che ha una percentuale di medici molto elevata e non da adesso», sottolinea Sestu mettendo in evidenza che lo studio è sempre stato una priorità da queste parti. «In passato ogni famiglia univa i propri sforzi per permettere ad almeno uno dei suoi membri di studiare», e cita diversi esempi di famiglie in cui i fratelli lavoratori avevano permesso a uno di loro di proseguire gli studi e conseguire la laurea.
Da anni il nome di Arzana è associato alla longevità e in particolare al riconoscimento del valore degli anziani, all’importanza della cura nei confronti dei grandi saggi, custodi degli antichi saperi, della lingua, della storia e dell’identità che è importante custodire e tramandare. I volti di alcuni di loro sono stati scelti per una mostra fotografica realizzata da Oliviero Toscani e oggi si possono ammirare nel centro del paese, inserito a pieno titolo nella blue zone ogliastrina.
Raffaele Sestu è molto legato agli anziani e nel 1991 con la Proloco aveva dato vita alla manifestazione A cent’annusu, presto diventata, come ama raccontare, A cent’annusu e prusu per non deludere le speranze di coloro che avevano già raggiunto il secolo di vita. Da 33 anni la comunità si stringe intorno ai suoi anziani e li festeggia con una ricorrenza che è ormai tradizione.
Nel panorama socio-culturale Raffaele Sestu non dimentica l’importanza dello sport con l’Idolo Calcio che ha offerto opportunità di crescita a tante generazioni in oltre mezzo secolo di attività.
E poi il gruppo folk Abbafrida che si porta bene i suoi 50 e più e continua ad avvicinare i giovani alla tradizione. Ci sarebbe tanto ancora da raccontare, ma ci saranno altre occasioni…

Carlotta, una MusA nel cuore di Lanusei
di Anna Maria Piga.
Il cognome Musa, considerando l’estro artistico, potrebbe apparire come uno pseudonimo di Carlotta, ma è proprio il suo cognome di famiglia. Nata a Cabras luogo del cuore di cui indossa, per le feste, splendidamente il costume, lanuseina di adozione, Carlotta Musa dieci anni fa ha felicemente sposato Gian Domenico Contu con cui ha costruito casa e insieme sono genitori di Gabriele, Amelia Magdalena e Nicolò Giovanni.
Coppia impegnata socialmente: fiduciosi nella possibilità di conservare e attualizzare le tradizioni, per continuità con le scelte familiari e per offrire un futuro di qualità ai propri figli e alla cittadina in cui hanno scelto di fermarsi.
Gian Domenico è presidente dell’Associazione Maria Ausiliatrice che l’ultima domenica di luglio annualmente organizza la tradizionale festa nella chiesa campestre e nella città di Lanusei.
Da sempre impegnato nella Proloco, è attualmente il Presidente dell’importante organismo che anche in questo anno ha dato ottima prova di sé nella organizzazione della Fiera delle Ciliegie.
Carlotta, Maestro d’Arte: studi all’Istituto Statale d’Arte di Oristano e all’Accademia Belle Arti Mario Sironi di Sassari, ha messo a frutto la sua passione per il bello lavorando per un’azienda, Punto oro, e dal 29 giugno 2024 un piccolo spazio di famiglia nel centro storico di Lanusei le suggerisce l’idea di mettersi in proprio e impegnarsi nell’attività che le è più congeniale.
MusA Spazio Arte è infatti il nome che Carlotta Musa, artista e ceramista, con una laurea in Decorazione conseguita in Accademia, ha dato al suo piccolo negozio, che è una vera novità, si potrebbe dire che è “una nicchia per prodotti di nicchia”.
È lei a raccontare quali siano stati i motivi e le suggestioni che hanno determinato la scelta di cimentarsi nell’originale impresa commerciale: «Conciliare tutto non è mai semplice – commenta –. Essere mamma, lavorare, seguire le proprie passioni sembra una corsa continua. Alla mia terza gravidanza, le complicazioni avute durante il parto mi hanno costretta a fermarmi, a guardare tutto con occhi diversi. Mi sono fermata a riflettere sul valore del tempo, delle priorità e del bisogno di rallentare per godermi la famiglia. Da qui la decisione, tutt’altro che semplice, di lasciare il posto fisso e reinventarmi. Così ho deciso di riscoprire le mie passioni, maturate nel corso degli studi e alimentate da una forte sensibilità artistica».
È così che prende forma MusA Spazio Arte, un piccolo negozio di 30 mq situato nel cuore di Lanusei, nato per unire creatività, cultura e tradizione. «Questo spazio mi consente di conciliare tutto – spiega l’artista –: la maternità, il ruolo di moglie e la mia identità di donna. Al mattino i bambini sono a scuola, e nel pomeriggio io e mio marito Giando ci alterniamo per stare con loro. È un equilibrio non sempre semplice, ma autentico e possibile grazie anche all’aiuto dei pochi parenti rimasti a Lanusei. Nel retrobottega, coperto dagli scaffali, silenzioso ma presente c’è un forno per la ceramica che aspetta ispirazione. Un giorno vorrei aprire lo spazio anche a laboratori creativi per grandi e bambini. Un luogo vivo, dove esprimersi liberamente.
Musa Spazio Arte – rivendica con orgoglio Carlotta – non è solo un negozio: è un luogo che racconta una storia di coraggio, passione e radici. Uno spazio che cresce, muta e si evolve insieme a me, e che punta a diventare una piccola fucina di cultura e bellezza per l’intera comunità ogliastrina.
Anche la lettura – il progetto è in itinere – è da sempre una mia grande passione e sogno, un giorno, di poter organizzare incontri con gli autori, magari accompagnati da un aperitivo, per creare momenti di dialogo e condivisione. Vorrei che questo spazio diventasse un punto di riferimento culturale per Lanusei e i paesi vicini».
L’idea maturata nel tempo nasce, quindi, con l’intento di portare una ventata di freschezza e innovazione nel cuore di Lanusei. Vuole essere una piccola boutique, dal carattere giovane e dinamico, che si distingua offrendo ai visitatori un’esperienza unica.
Il piccolo spazio può apparire un limite, ma la professionalità e il gusto artistico danno la possibilità in soli trenta metri quadri, di combinare artigianato di alta qualità con una selezione accurata di prodotti tipici, esposti in maniera creativa e versatile.
L’attenzione per i dettagli e la cura nella esposizione si riflette in ogni angolo della bottega: ceramiche artigianali, distillati pregiati, tessili tradizionali, libri d’arte, vini locali, composte, marmellate, miele, gioielli, profumi e molto altro ancora trovano qui la loro perfetta collocazione.
Nulla è lasciato al caso: ogni oggetto esposto rappresenta l’eccellenza della produzione artigianale sarda e racconta una storia di passione e dedizione.
Cultura e passione personale sono alla base delle scelte che variano a seconda delle stagioni e delle festività. Il tutto è supportato da confezioni e involucri di circostanza, che anche quando rappresentano il prodotto sardo, e quindi la Sardegna e suoi costumi, non sono mai banali o dozzinali.
I numerosi viaggi fatti nel tempo dalla professionista, in Italia e in Europa, hanno affinato e arricchito il suo originale e colto approccio agli oggetti. Che l’innovativo punto vendita sia un crocevia di incontri artistici e culturali lo dimostra la collaborazione con gli eventi che si sono succeduti anche nel recente passato, come in occasione del Festival dell’arte Onde creative, a giugno, a cura del Liceo artistico Mario Delitala di Lanusei che celebrava l’acqua come forza creatrice e che ha accolto opere d’arte a tema e significative, e negli spazi circostanti, ha creato momenti di dialoghi tra studenti e artisti disponibili al confronto, convinta – come lo è Carlotta – che il gusto dell’arte ha necessità di essere veicolato perché possa diventare patrimonio delle giovani generazioni.

Radio Dublino: un ponte tra Irlanda e Italia
di Anna Maria Piga.
Maurizio Pittau: da Tortolì a Dublino. Prima “per caso”, poi per la vita. Quando una piccola idea diventa un progetto internazionale
Sono tantissimi i giovani italiani che, pur diventando ottimi cittadini del mondo, mantengono lo sguardo rivolto al proprio paese d’origine. Tra loro c’è Maurizio Pittau, nato a Tortolì e cresciuto in Ogliastra. Dopo il Liceo Classico, ha studiato Economia a Cagliari e ha iniziato a lavorare nella cooperazione internazionale, prima come volontario e poi come consulente. Dal 2021 cura la sezione dedicata all’Irlanda del Rapporto Italiani nel Mondo di Fondazione Migrantes, edito dalla CEI. Vive e lavora a Dublino nel campo della comunicazione, occupandosi di marketing per una grande società di consulenza internazionale.
Cosa ti ha portato in Irlanda e come è nata l’idea di trasferirti all’estero?
Nel 2007, mentre lavoravo a Milano e frequentavo un master al Politecnico, ho attraversato una crisi di fiducia nel futuro in Italia. Sentivo che il merito non veniva premiato e che il contesto sociale ed economico stava diventando sempre più sterile per chi, come me, cercava spazi di crescita. Scrissi sei città su sei foglietti – Londra, Dublino, Amsterdam, Helsinki, Barcellona, Bruxelles – e ne pescai uno a caso: uscì Dublino. In poche settimane feci i bagagli e partii.
All’inizio evitavo gli italiani, in una sorta di ribellione silenziosa verso il Paese che mi aveva spinto ad andarmene. Con il tempo, però, ho riscoperto il valore delle mie radici e, nel 2013, ho fondato Radio Dublino per creare un ponte tra l’Italia e la mia nuova casa. Una radio fatta per dare voce a chi vive tra due mondi. Ho acceso il microfono senza certezze, ma con tantissima passione. E da allora non l’ho più spento.
Quello che era nato come uno spazio per parlarsi tra connazionali è diventato uno strumento di dialogo interculturale. Oggi parliamo di migrazione, arte, musica, letteratura, economia, diritti, intelligenza artificiale. Siamo molto attivi sui social, produciamo eventi dal vivo e contenuti audiovideo.
È un progetto in continua evoluzione, come la comunità che racconta: una crescita naturale, guidata dalla comunità stessa. Radio Dublino è diventata una sorta di laboratorio permanente.
Nel 2015 sei stato nominato Language Ambassador of the Year dalla Commissione Europea. Qual è il significato di questo riconoscimento?
Ricevere quel riconoscimento è stata una grande sorpresa, ma anche la conferma che si può costruire qualcosa di importante partendo da poco, senza grandi mezzi, se si hanno passione, impegno e visione. Radio Dublino è una realtà artigianale, fatta di gratuità e volontariato. È stata la prova che anche una piccola radio può avere un impatto a livello europeo.
Quel premio ha significato che il nostro lavoro veniva visto, ascoltato, riconosciuto, e ha dato forza e legittimità a ciò che stavamo facendo: promuovere la lingua e la cultura italiana all’estero, anche attraverso strumenti non convenzionali. È stata la dimostrazione che anche una piccola idea, se coltivata con dedizione, può avere un grande impatto.
Come è nato l’Italian Fusion Festival, che celebra la cultura italiana in Irlanda?
È nato da un’idea semplice ma potente: celebrare l’incontro tra la cultura italiana e quella irlandese. Inizialmente, il festival era pensato per promuovere i migliori musicisti italiani e irlandesi che erano stati ospiti nei nostri studi radiofonici, ma poi è cresciuto, includendo arte visiva, poesia, design, cinema, gastronomia. Tutti linguaggi universali che mettono in connessione le persone anche quando non parlano la stessa lingua. Il festival è cresciuto anno dopo anno, ha dato visibilità ad artisti che vivono e creano in Irlanda e ha fatto nascere collaborazioni e connessioni umane. La cultura è uno strumento potente: unisce, emoziona, apre varchi.
Scrivendo il libro Economie senza denaro, sei stato un pioniere in Italia nella divulgazione dei sistemi di scambio non monetario.
Stavo concludendo i miei studi in Economia e valutavo una carriera nella cooperazione internazionale. Ma non volevo diventare un burocrate della solidarietà: volevo capire se fosse possibile immaginare modelli economici alternativi basati su relazioni, fiducia, scambio. Studiai esperienze da tutto il mondo: sistemi di baratto, banche del tempo, monete locali. Idee che sembravano utopie, ma che in molte comunità funzionavano davvero. L’idea era (ed è) semplice: l’economia deve servire le persone, non viceversa.
Che messaggio vorresti condividere con i giovani lettori del nostro giornale?
Non abbiate paura di partire. Ma nemmeno di restare. Non c’è una sola strada giusta. La vera scelta è tra vivere in superficie o in profondità. Cercate esperienze che vi mettano in discussione, che vi spingano a mettervi in gioco. Non serve trasferirsi in una capitale europea: anche nei piccoli paesi dell’Ogliastra si possono costruire ponti tra culture. Costruire un ponte tra culture diverse non richiede superpoteri.