Volti e persone
Bynos: l’ospitalità è di casa
di Fabiana Carta.
Secondo uno studio, dietro ogni progetto di successo emergono due figure: il visionario e l’integrator. Il primo ha una visione strategica, creativa, trascina, ha milioni di idee; il secondo trasforma le idee in concretezza, coordina, è ordinato, mantiene le redini dell’immaginazione. Queste due figure si completano a vicenda, l’una ha bisogno dell’altra. E quando si incontrano è una vera fortuna.
Ma questa storia comincia in un tempo diverso e in un luogo diverso, da una scintilla da cui è partito tutto. «Mio padre è di Baunei, mia madre è nata e cresciuta in Croazia fino ai 20 anni. Entrambi sono emigrati in Germania, dove si sono incontrati e innamorati. Mia madre è poi andata a vivere a Baunei, facendo un po’ avanti e indietro, mentre lui rimaneva lì tutto l’anno. Ha sempre ospitato tante persone che venivano dalla Sardegna e durante la guerra in ex Jugoslavia ha ospitato tantissimi parenti di mia madre. Abbiamo sempre aperto le porte della nostra casa, sia quella tedesca che quella di Baunei, che ha tanto tanto spazio», racconta Milena Pusole, fondatrice, direttore tecnico e property manager dell’agenzia di viaggi Bynos.
Forse l’ospitalità è proprio il filo conduttore di ogni cosa: tutto sembra partire da lì, dalla porta di casa sempre aperta, dalle stanze piene di voci e lingue, dai racconti di chi arrivava da lontano. La Germania, in questo intreccio, non è soltanto un Paese: è una presenza costante, una bussola che ha orientato studi, scelte e sogni. Milena studia Lingue e Letterature Straniere a Torino, approfondendo il tedesco, lingua che già parlava. Il suo desiderio è lavorare nel settore turistico. Fra corsi, tirocini, e un’esperienza che le cambierà lo sguardo – un progetto per l’Osservatorio turistico della Provincia – dove capisce i flussi, legge le dinamiche del viaggio, immagina strategie per valorizzare il territorio, la strada è chiara.
Dopo l’Erasmus a Berlino e un praticantato di sei mesi al Parlamento tedesco, Milena torna in Ogliastra con un obiettivo chiaro: portare i turisti nel suo territorio. L’occasione arriva quasi per caso, durante una vacanza in Sardegna e un soggiorno in un B&B. «Entrai e mi sembrò di essere a casa nostra. All’epoca non sapevo nemmeno cosa fosse un B&B. Ma capii subito che potevamo farlo anche noi».
Così, nel 2011, nasce il primo B&B regolare di Baunei, con un nome che richiama l’antico toponimo del paese ma che suona anche “esperantico”, universale, come un “da noi” che abbraccia chiunque arrivi: Bynos. Negli anni, Milena lavora anche al Tourpass, quando ancora il turismo non aveva l’organizzazione capillare di oggi: senza Internet, senza cabinotti privati, senza uffici per le escursioni.
L’ufficio era sempre pieno: barche, trenino verde, richieste di ogni tipo. Tra le sue esperienze c’è anche quella diretta con i clienti, in Hotel, dove sente il bisogno di creare qualcosa di suo. «L’unico modo per far sentire la mia voce, esprimere le mie scelte e le mie opinioni era aprire un’agenzia di viaggi incoming. Ma per aprirla occorreva il titolo di direttore tecnico, così convinsi mia sorella Marija a partecipare al concorso, lei lavorava da anni in un’agenzia del Sud Sardegna. Mi piaceva l’idea di cominciare questa avventura insieme. Nel 2017 abbiamo aperto l’agenzia a Santa Maria Navarrese», racconta.
Marija si occupa dell’outgoing, Milena si concentra sull’incoming. Ma il turismo è cambiato, Internet ha rivoluzionato le abitudini, e spesso i viaggiatori si affidano all’agenzia solo dopo aver tentato altre strade. La svolta arriva con gli appartamenti: l’esperienza nell’ambito delle escursioni si traduce in competenze nuove, e nel frattempo l’agenzia si espande verso il property management. Nel 2018, però, Marija deve lasciare per la nascita della figlia e Milena, dopo alcuni anni da titolare, ottiene finalmente il titolo di direttore tecnico. L’anno dopo avviene l’incontro, l’incastro perfetto: come tirocinante arriva Patrizia Pusole, architetto con specializzazione in restauro, con una grande esperienza in affitti di case. L’incontro tra le due competenze diventa immediatamente una forza: Patrizia porta l’home staging, il gusto, l’occhio tecnico e funzionale.
«Poca spesa, molta resa» diventa un manifesto. Le case che hanno potenzialità possono essere migliorate, valorizzate, rese più accoglienti per gli affitti brevi. Nasce così un servizio nuovo, calibrato sugli standard dell’agenzia e sulla volontà di lasciare sempre l’impronta autentica del proprietario. Milena è un laboratorio di idee sempre aperto, Patrizia le seleziona, le filtra, dà loro forma e concretezza: una è la visionaria, l’altra è l’integratore. «All’inizio non mi piaceva molto l’idea di concentrarci negli affitti di appartamenti – spiega Milena –, deviava molto dalla mia idea di portare gruppi di persone qui. Ma poi abbiamo iniziato a formarci come property manager, un professionista che gestisce immobili per conto dei proprietari, con l’obiettivo di ottimizzarne il rendimento e valorizzarli. Questa figura si occupa di tutti gli aspetti legati alla proprietà, inclusi quelli amministrativi, operativi e strategici. I nostri compiti includono la promozione dell’immobile, la gestione delle prenotazioni, l’assistenza agli ospiti, la manutenzione, la pulizia, la gestione dei contratti e degli adempimenti normativi. L’agenzia viaggi lo permette, ma non abbiamo abbandonato l’idea di portare gruppi di turisti».
Oggi il team Bynos è formato da cinque persone più un tirocinante, e l’impronta femminile è ben visibile. Stile, empatia, visione condivisa, sensibilità per l’ospite, «per noi è sacro». La scelta strategica più forte, negli ultimi anni, è quella di parlare direttamente ai tedeschi: sito in tedesco, social in tedesco, indicizzazione interamente orientata alla Germania. Il risultato comincia a vedersi: newsletter mensile ai Bynos friends, clienti che tornano, famiglie e gruppi che si affidano all’agenzia come punto di riferimento. Patrizia stessa ha iniziato a studiare la lingua, a furia di sentirla parlare riesce a comprenderla in buona parte e la usa nel lavoro quotidiano. «Il nostro prossimo obiettivo è creare una App, per essere ancora più presenti con i nostri fruitori», spiegano Patrizia e Milena.
Baunei continua a sorprendere, dicono, con una ricchezza che nessuno finisce mai di esplorare. E la loro storia, iniziata con una casa sempre aperta, continua a crescere seguendo lo stesso filo: accogliere, ascoltare, accompagnare. Sempre con un grande sorriso.
Simona Loi: il coraggio della terra e l’orgoglio di un paese che guarda al futuro
di Anna Maria Piga.
Incontrare Simona Loi non è cosa immediata. I suoi impegni scandiscono ogni ora della giornata e ritagliarsi del tempo per una conversazione è un piccolo lusso. Ma quando, superata la strada tortuosa, si arriva alla sua proprietà nella parte alta di Loceri – un luogo luminoso affacciato sugli uliveti di Lanusei – si capisce subito perché Simona abbia scelto di vivere e lavorare qui.
La sua casa si apre con una cucina grande e soleggiata che dà su un cortile alberato. Intorno, gli animali della fattoria si muovono in armonia: un piccolo mondo in cui natura e quotidianità convivono con semplicità.
37 anni, sposata con Alessio Ligas e madre del piccolo Samuel, è un’imprenditrice agricola che si è costruita da sola. Anno dopo anno ha studiato, conseguito titoli, imparato a progettare, coltivare, allevare. Con determinazione ha ottenuto un finanziamento regionale grazie al quale ha realizzato una stalla moderna e funzionale per pecore e capre. Il suo sogno, fin da bambina, era quello di fare il formaggio: oggi lo produce e spera di crescere ancora in questo settore.
«Amo la vita che faccio e le attività che riempiono le mie giornate – spiega –. Qui i ritmi sono diversi, più intensi: gli animali hanno le loro cadenze e la natura non aspetta. Ogni stagione richiede attenzioni precise. Impari a guardarla, a rispettarla, e a sentirti parte di un tutto». Ma nonostante viva leggermente fuori dal centro, non si sente affatto isolata: «In cinque minuti siamo a Loceri. La mia famiglia ci aiuta tantissimo con il bambino e io e Alessio partecipiamo ancora a tutte le iniziative del paese, incontrando gli amici di sempre».
La posizione di Loceri secondo Simona Loi: «Decisamente Loceri soddisfa le aspettative anche delle giovani coppie: è in una posizione molto comoda, direi baricentrica. Siamo vicini ai centri più grandi, Tortolì e Lanusei: in pochi minuti puoi raggiungere l’ospedale, i negozi più forniti, gli uffici pubblici. Non siamo isolati. Se devi fare qualcosa di importante, in un quarto d’ora sei dove ti serve. Questa vicinanza ai servizi principali è un grande vantaggio, perché poi torni a casa tua, nel tuo paese tranquillo. Hai il meglio dei due mondi: la comodità di essere vicini a tutto e la pace di vivere in un posto piccolo. E con il mio lavoro, a contatto con gli animali e la natura, è davvero l’ideale».
Loceri – lo confermano i fatti – è oggi un borgo moderno e accogliente. Molte giovani coppie, anche da Lanusei, scelgono di costruire qui la propria casa. Le amministrazioni che si sono succedute hanno investito in spazi pubblici funzionali, piazze vive, luoghi adatti a concerti e manifestazioni. I murales dell’artista Michela Casula raccontano la storia antica del paese e ne valorizzano l’identità.
Il vento della modernità ha coinvolto tutta la comunità. Le case troppo grandi o inutilizzate sono state trasformate in accoglienti case vacanza, permettendo ai turisti di vivere un’esperienza autentica tra mare e montagna. Le tradizioni sono state ripensate per coinvolgere i giovani: sfilate in costume, cavalieri e processioni che conservano il sapore della memoria. E Simona descrive Loceri con orgoglio: «Èun paese bello da vedere. Curato, ordinato, con angoli davvero gradevoli. L’estetica non è secondaria: ti fa piacere vivere qui, passeggiare, far vedere il paese a chi arriva da fuori. I murales raccontano la nostra storia, e questo crea un senso di appartenenza».
Ma non nasconde le difficoltà: «Il problema principale è il lavoro. Le opportunità sono poche e tanti giovani devono partire. Io ho avviato un’azienda agricola, ma non è un percorso adatto a tutti. Se non hai un’attività tua o un impiego pubblico, è dura. Però, se riesci a lavorare qui, è un posto bellissimo dove vivere: vicino ai servizi essenziali, tranquillo, accogliente. Per crescere una famiglia, secondo me, è l’ideale».
Alla fine, ciò che emerge dalle argomentazioni di Simona è una combinazione rara: radicamento e modernità, cura per la tradizione e apertura al nuovo. La sua storia racconta non solo la forza di una giovane imprenditrice, ma anche quella di un intero paese che, pur piccolo, sa guardare avanti senza perdere la sua anima.
In politica servono persone preparate e moralmente motivate
a cura di Filippo Corrias.
Da sempre la Chiesa ha svolto un ruolo prezioso nella formazione culturale, morale e sociale di chi si impegna attivamente in politica. È ancora così? Cosa è cambiato e cosa si può fare ancora oggi per favorire formazione e partecipazione attiva? Ne abbiamo parlato con don Roberto Caria, professore associato di Teologia Morale Sociale alla Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna
«Coloro che hanno responsabilità politiche non devono dimenticare o sottovalutare la dimensione morale della rappresentanza, che consiste nell’impegno di condividere le sorti del popolo e nel cercare la soluzione dei problemi sociali».
È un passaggio del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa. La disaffezione dei cittadini alla politica è dovuta al fatto che i politici hanno abdicato a queste responsabilità?
Quando un contesto politico manifesta i suoi limiti e le sue carenze non si deve puntare il dito solo sui rappresentanti eletti dal popolo, ma la responsabilità è di tutti. Il cedimento morale non è solo dei politici ma di tutta la società, e ne siamo responsabili a tutti i livelli, individuali e istituzionali, anche noi come Chiesa cattolica.
Detto questo, è fuorviante cadere nel disfattismo, tantomeno nell’antipolitica (quest’ultima fortemente propagandata in Italia negli ultimi trent’anni almeno dal 1992). La disaffezione a servire il bene comune – che ha priorità sul bene privato – è frutto di idee e pratiche distorte, che hanno portato al ripiegamento individualistico su se stessi e sul proprio utile. Si è creata la mentalità, nello Stato e nella Chiesa, che le istituzioni non vanno servite, ma sfruttate! Ecco il decadimento culturale. La ripartenza morale deve coinvolgere tutti gli uomini di buona volontà, sia nella vita privata che pubblica, per lavorare con passione per il bene comune, soprattutto a vantaggio dei più giovani e degli anziani.
«I partiti sono chiamati a interpretare le aspirazioni della società civile offrendo ai cittadini la possibilità effettiva di concorrere alla formazione delle scelte politiche». C’è, a suo parere, questa formazione a livello nazionale e locale?
La formazione alle scelte politiche alte oggi non c’è, semplicemente perché le decisioni sulle grandi questioni economiche sono già prese nei poteri – soprattutto dell’alta finanza – che condizionano e ricattano le scelte degli Stati. Il discorso è articolato e non è possibile svilupparlo ora. Per fare un riferimento che ci tocca da vicino, in Sardegna è evidente come la scelta di usare il territorio regionale per la speculazione energetica di alcune multinazionali è già stabilita. Ai sardi rimarrebbe la possibilità di opporsi su qualcosa, ma alla fine non riusciamo a essere uniti perché in tanti pensano solo al proprio interesse, piccolo o grande che sia.
In generale, siamo in una fase storica in cui è necessario ripensare anche la rappresentanza politica, per favorire un reale coinvolgimento di tutti nelle scelte politiche più importanti.
Come la Chiesa, in particolare la Chiesa locale, può incentivare i fedeli alla formazione e alla partecipazione politica?
Prima di tutto vivendo al suo interno un’autentica giustizia e favorendo la partecipazione delle persone alla vita istituzionale. Poi mostrandosi lealmente super partes nell’agone politico, senza cercare privilegi, ma collaborando con coloro che seriamente vogliono servire la loro patria, ai vari livelli istituzionali dello Stato, dal piccolo comune fino al Presidente della Repubblica. Non è più l’epoca della Democrazia Cristiana e di uno schieramento unico del cristiano nella dialettica politica, ma in qualunque partito o movimento si riconosca, il vero cristiano si deve adoperare a portare la virtù nella vita democratica. Oggi la realtà politica è molto articolata e complessa, richiede persone preparate e moralmente motivate, non si può giudicare ciò che accade solo emotivamente o per previa appartenenza faziosa. Purtroppo il mondo mediatico favorisce solo la divisione faziosa e polarizzata tra due estremi, come hanno dimostrato in modo eclatante gli anni 2020-2022.
San Paolo VI affermava che la politica è una delle forme più alte di carità. Quali sono le sfide più urgenti a cui la politica deve dare risposte?
L’avverbio “urgente” non lo userei, è troppo abusato dalla propaganda quando deve costringere i popoli a scelte rapide che avvantaggiano pochi. La ricostruzione di un tessuto morale buono richiede saggezza e pazienza. La vita politica è fatta da tutti a vari livelli: chi governa deve pensare al bene dei suoi cittadini, non agli interessi di pochi. Tutti, poi, siamo chiamati a collaborare al bene comune, che è di ordine materiale e spirituale, attraverso una vita virtuosa, sia nel privato che nel pubblico. Dobbiamo uscire dal sentimentalismo caritatevole per dedicarci con serietà alla virtù della giustizia in tutti gli ambiti. Essere giusti, difendere il diritto naturale e positivo, è la base per essere veramente caritatevoli e creare un contesto politico in cui la concordia sia la sua anima. La concordia, ci insegna San Tommaso d’Aquino, è la capacità di unire le volontà, pur nella diversità delle opinioni, per orientare tutto al bene comune. Sempre San Tommaso ci insegna che alla giustizia appartiene anche la dimensione religiosa di ogni persona: l’abbandono della fede in Dio e la deviazione verso pratiche superstiziose di ogni tipo è una delle cause del cedimento morale di questi tempi.
Al livello generale, il trionfo del neoliberismo come filosofia economica ha stravolto le priorità tra politica ed economia: la politica è divenuta ancella dell’economia finanziaria, mentre dovrebbe essere il contrario. Le istituzioni, lo Stato in primis, sono ridotte ad aziende che devono badare prima di tutto al pareggio di bilancio e al profitto di pochi privati. Ci sarebbero ancora tante cose da dire, ma per dirne una che riguarda l’Italia, ritengo che sia maturo il tempo per smettere il teatrino da guerra civile continua – fomentato da poteri forti e dal mondo mediatico – tra antifascismo e fascismo. Bisogna fare pace con tutta la storia del proprio Paese e pensare ad affrontare insieme, pur nelle diversità delle opinioni, i problemi reali delle persone e delle famiglie. Oggi ci sono tirannidi, più subdole ma riconoscibili, verso le quali le persone libere e virtuose possono tenersi distanti senza lasciarsi catturare nella rete.
Beatrice Foddis. Una storia d’amore per il territorio
di Gian Luisa Carracoi.
Oggi sono sempre più i giovani che sentono un forte desiderio di tornare a un rapporto più autentico con la terra. Attratti da una vita a contatto con la natura che valorizzi la storia e le tradizioni, sperimentano – grazie alla tecnologia e anche al sostegno di contributi mirati – la possibilità di creare un business innovativo e sostenibile. Il loro valore aggiunto è l’essere più istruiti e più connessi con il mondo.
Beatrice Foddis, classe 1998, dolce orgoglio terteniese, è una nuova promessa dell’imprenditoria giovanile ogliastrina. Spinta dalla volontà di investire la propria passione e le competenze d’esperienza maturate nella vita in campagna insieme ai suoi familiari, è una chiara dimostrazione di come ci siano ancora giovani decisi a sfidare le difficoltà legate all’insularità della nostra terra, di realizzare le proprie speranze attraverso un lavoro che li gratifichi nel pieno rispetto delle radici e della cultura locale.
Dopo il diploma all’ITC di Jerzu si è guardata dentro, ha ascoltato le proprie emozioni, i propri sogni, e si è persuasa di non voler trascorrere il proprio futuro unicamente dietro una scrivania, ma negli spazi aperti che profumano di lentisco, mirto e corbezzolo, dai quali si scorge la sconfinata distesa marina. Da allora ha portato avanti con passione e determinazione la piccola azienda agricola di famiglia in un mix di genuinità, freschezza ed energia giovanile.
I pochi mesi trascorsi dentro le aule dell’Università sono state rivelatrici: ha capito che aveva bisogno di vivere se stessa, felice così come si riconosceva nel suo territorio, offrendo la sua passione e la voglia di fare alla sua famiglia, per lei valore essenziale, e alle sue greggi, gioiose compagne fin dall’infanzia. É lei stessa a raccontare: «Fin da bambina le mungevo e trascorrevo tanto tempo con loro. La mia è stata una scelta insolita, ma consapevole. Una volta rientrata in paese, avevo già in mente mille idee per rivoluzionare l’azienda, ma i miei genitori mi hanno messo i freni e hanno fatto bene perché, non lo nego, per condurre un’attività ci vuole un giusto equilibrio di sprint e riflessione».
L’azienda è una micro impresa familiare nata negli anni ’80 del secolo scorso quando suo padre, appena ragazzino, e suo zio di qualche anno più grande, decisero di creare un piccolo allevamento caprino. Negli anni 2000 si divisero creando due allevamenti distinti. Oggi il lavoro a cui Beatrice dedica tutto il tempo della giornata ruota intorno a un allevamento semibrado e alla trasformazione artigianale del latte. Allevano caprini, ovini e suini che circolano liberamente su una vasta area di macchia mediterranea ai piedi di Monte Siddu. L’azienda è totalmente biologica e i loro animali pascolano su un’ampia area di macchia mediterranea, in territori ancora agresti e sani dell’Ogliastra, riconosciuta, come sappiamo, a livello mondiale come terra dei centenari.
Le pecore e le capre entrano in stalla solo per la mungitura e per partorire più comodamente. La priorità è il loro benessere.
Con lo sguardo luminoso di un sano orgoglio, Beatrice continua a raccontare: «Io e mio fratello Daniele abbiamo deciso di intraprendere di comune accordo un percorso imprenditoriale che permetta di dare il giusto valore al nostro faticoso lavoro. Mi occupo dell’azienda familiare cercando di rinnovarla sempre più, ma con uno sguardo rivolto alle tradizioni. Ho deciso di prendere in mano l’attività pur sapendo dei tanti sacrifici che avrei dovuto affrontare. La portiamo avanti insieme, consapevoli di essere la terza generazione di allevatori nella storia più recente della nostra famiglia. A seguire le greggi è soprattutto lui e capisco bene le sue fatiche e i suoi sacrifici; per il pastore, e per chi fa il formaggio, non esistono feste, non esistono brutte giornate, non esistono giorni liberi, si lavora 365 giorni all’anno. Nel nostro caso è una passione che arriva da una cultura familiare tramandata da mio nonno, da mio zio e mio padre. Io ho intenzione di prendermi cura di tutto questo, studiando e formandomi sempre più per produrre prodotti eccellenti, ma soprattutto il vecchio formaggio di una volta. Con Daniele stiamo cercando di mettere in piedi un mini caseificio dove poter valorizzare in particolare il formaggio a latte crudo che ha il vantaggio di mantenere intatti i sapori e gli aromi originali del latte. Ci stiamo inoltre impegnando per riuscire a introdurre l’azienda nel settore turistico, perché abbiamo constatato che l’agricoltura e il turismo sono settori tra loro sinergici. É importante far capire alle persone il giusto valore del nostro lavoro perché possano capire al meglio il nostro prodotto finito. A giugno sono stata eletta all’unanimità delegata provinciale dei giovani di Coldiretti Nuoro-Ogliastra, per guidare il movimento giovanile del territorio per i prossimi cinque anni. Li ringrazio tutti di cuore per la grande fiducia nei miei confronti. É questo un ruolo di grande responsabilità che mi permette di far parte di un gruppo, di stare a contatto con tante realtà simili alla mia, di fare rete per affrontare con maggior forza i problemi e scambiare idee fresche e fruttuose per il nostro settore. Sostenere i sogni imprenditoriali dei giovani che scelgono di costruire il proprio futuro in campagna è importantissimo. Spero che il nostro esempio possa essere di sprone anche per altri che, come noi, decidono di restare e di credere nelle potenzialità dell’Ogliastra e ovviamente nelle proprie, che guardino all’oggi e al domani con curiosità e voglia di imparare. Le possibilità sono tante, bisogna mettersi in gioco, perché se ci credi veramente i frutti arriveranno».
A tu per tu con Massimiliano Tuveri
di Giusy Mameli.
Strumenti di speranza accanto a chi soffre
Massimiliano Tuveri. Da quando eravamo compagni al liceo ne hai fatta di strada! Chirurgo agli onori della cronaca per una diatriba con l’Azienda Ospedaliera Brotzu di Cagliari che ti ha portato a lavorare fino a novembre prossimo a Lanusei: ti aspettavi tutto questo clamore?
Vivo di rendita, dell’affetto delle persone per mio padre, primario a Lanusei negli anni ’80 e ’90: ho osservato da spettatore la mobilitazione per la mia situazione professionale anche con la raccolta di firme on line; per me è ricominciare una nuova avventura, nel posto che ho amato di più, il luogo dei ricordi, degli affetti.
Un concorso come chirurgo oncologo al Brotzu, vinto da te che non sei stato messo in condizioni di operare. La tua vicenda è una questione di giustizia e verità: cosa ti senti di dire a proposito?
Non posso parlare della complessa vicenda giudiziaria in corso, ma posso dire che a Lanusei presterò il mio servizio a chi ha bisogno in un Ospedale che ha fatto grandi passi avanti, ha raggiunto risultati impensabili grazie ai colleghi che qui lavorano, al primario Gian Pietro Gusai, e in particolare ai colleghi di chirurgia: faremo un bel lavoro sin dove si potrà arrivare.
Per i pochi che non ti conoscono, quali sono le tue specializzazioni?
Chirurgia vascolare e chirurgia generale, in particolare chirurgia epatica per la ricerca dei trapianti a Huston e successivamente chirurgia oncologica; faccio ricerca da sempre con il CRS4 di Rubbia e ho collaborato con scienziati come Quarteroni e Veneziani. Laurea e specializzazione all’Università di Cagliari: ho fatto gavetta, ma non mi hanno consentito di proseguire all’Università; andai in Texas dove mi hanno accolto subito, interessati alle mie competenze di fluido dinamica e reclutato per studi riguardanti il fegato computazionale, che non è un fegato artificiale, ma una grande equazione matematica. Stiamo costituendo un consorzio europeo su questi aspetti poco conosciuti, grazie ai contatti che ho al CRS4.
Poco tempo fa hai perso uno dei tuoi più cari amici: tra morte e vita, quanto conta il sostegno spirituale e la visione cristiana?
Il percorso di fede è centrale per la vita di ogni uomo (credente o no): compiamo atti di fede tutti i giorni. La fede è una forma di conoscenza che non umilia ma completa la ragione. Sono cresciuto in Comunione e Liberazione con l’amico fraterno Salvatore Pisu, scomparso per una grave malattia degenerativa. La fede consente di comprendere molte cose, anche tecniche, che nella professione non riusciremo a comprendere appieno. Non tutto ciò che è fattibile è buono e nell’oncologia il problema è supportare la speranza, che non è un semplice ottimismo: “andrà tutto bene”. Io non dono speranza: cerco di trasmetterla, non salvo nessuno, sono indegno strumento di bene, per migliorare la vita dei pazienti (se possibile); nell’alleviare la sofferenza, molte cose possono apparire più semplici anche se non lo sono.
A chi dirà che per te rientrare a Lanusei è solo un ripiego, una retrocessione, una sconfitta, cosa rispondi?
Non hanno capito cos’è la nostra professione: Don Milani diceva che la grandezza di una vita non si misura dalle dimensioni dei luoghi in cui vivi, ma da ben altro!
Tu conosci il sistema sanitario statunitense, puoi dirci che in Italia siamo ancora fortunati? Perlomeno sulla qualità del servizio offerto e sull’accessibilità alle cure.
Il sistema salute è patrimonio dell’Italia, va preservato, difeso e promosso; credo nel principio di sussidiarietà dove il privato può lavorare con le strutture pubbliche. Certe prestazioni sanitarie molto complesse e costose le può garantire solo il pubblico, il privato spesso si tira indietro da situazioni complicate. La salute e l’educazione devono rimanere le priorità.
Io ho lavorato in un ospedale americano pubblico, facevamo i trapianti anche per i non abbienti. Il problema reale è l’accesso alle cure. Se ad esempio hai un infarto a Firenze, ma l’ospedale pubblico è a Napoli, il tempo di percorrenza per arrivare a salvarti la vita è praticamente ingestibile. Nel momento in cui in Sardegna ci mettono mesi per una risonanza è un grave problema di accesso alle cure, non tollerabile.
Pensi che l’essere uomo ti abbia agevolato nel gestire meglio la fatica di dividersi tra famiglia e lavoro?
Lo ammetto, può essere, perché la donna fa sempre un doppio lavoro se ha figli, ma in famiglia la fatica va divisa e condivisa.
Una realtà come la nostra, Ogliastra/Sardegna, potrebbe ripartire dalle eccellenze, come nel caso della chirurgia che in questi mesi vede te e Gusai impegnati nel medesimo piccolo ospedale?
Si possono avere eccellenze. Se tu dai un servizio ben fatto, tu sei un’eccellenza: non è solo la difficoltà dell’intervento chirurgico in sé. Il sistema funziona se rispondi alle esigenze del paziente; eccellenza non è fare cose fantasmagoriche, ma spesso purtroppo si difendono autoreferenzialità.
Io vado alla ricerca di un maestro non di un gran maestro!Mi piacerebbe tanto formare altri giovani e trasmettere loro le competenze che ho acquisito. Il problema della Sardegna è l’appartenenza non la competenza: è appartenere a certi contesti. Ci sono persone e apparati che hanno scisso il potere dal servizio, ecco perché spesso anche il sistema sanità non funziona.
In un noto film, “Un medico, un uomo”, un chirurgo senza un minimo di umanità pensa che per fare il proprio lavoro si debba alzare un muro con i pazienti per non affezionarsi. Possibile che restare umani sia l’eccezione e non la regola?
Il paziente si rivolge a te non come numero, ti chiede di fare un pezzo di strada con lui. Il problema del distacco, nella professione, è una questione di equilibrio che non deve essere interpretato solo come: io sono il medico e prendo le distanze da te paziente.
Il sistema clientelare dove contano i favori e non i meriti, del potere fine a sé stesso. Pensavamo di essercene liberati e invece… Chi ha timore del dottor Massimiliano Tuveri?
Chi ha paura di confrontarsi sia sul piano professionale che umano e chi non mi conosce, perché capirebbe che amo lavorare in équipe. Dio ci ha dato dei talenti e li dobbiamo mettere veramente al servizio del prossimo: chi ha paura di me ha paura di sé stesso e non ama la Sardegna.
I tuoi studi dai Salesiani a Lanusei hanno forgiato lo studente e anche il nostro Liceo Classico non è stato da meno: possiamo dire che molto spesso i limiti ce li mettiamo noi e il piangerci addosso è ciò che ci condiziona?
Ricordo i miei insegnati salesiani con affetto e nostalgia: anche molto severi per quei tempi: don Antonio Ibba, don Deiala, ad esempio. Sono molto grato agli educatori dei tempi di gioventù, sono nate le amicizie per tutta la vita. Non ci sono limiti se si coltiva determinazione e se confidiamo nella Provvidenza.
Arzana, la rinascita passa sempre dalla cultura
di Maria Franca Campus.
Ogni paese, si sa, ha mille volti, tanti quanti sono quelli di chi lo racconta. Alcune voci però narrano una storia collettiva che appartiene a tutti e a ciascuno, in cui ci si riconosce e ci si ritrova.
Arzana raccontata da Raffaele Sestu ha un aspetto luminoso. La sua voce non rinnega le ombre, ma si sofferma sulle luci; non ignora i problemi, ma si concentra sulle soluzioni; non tace sulle carenze, ma valorizza le potenzialità.
In una tarda mattinata di luglio, nel suo ambulatorio di via Sardegna, dottor Sestu, medico condotto per quarant’anni e presidente della Proloco locale e regionale ancora in carica, riassume la sua Arzana da fine anni ottanta a oggi, durante una piacevole chiacchierata. Tra aneddoti e scherzose battute il suo racconto fresco e dinamico traccia un quadro in movimento, colorato, vivo, ricco di eventi, ma soprattutto di valori, di persone più che di personaggi, di storie e insegnamenti che richiamano emozioni, vissuti collettivi e esperienze personali.
Era il 1982 quando Raffaele Sestu rinunciò alla promettente carriera di ricercatore universitario per diventare medico di base nella sua Arzana. «Erano tempi difficili per il paese, segnati da una profonda crisi sociale e politica», racconta, mentre ricorda quegli anni di omicidi efferati, paura e diffidenza. Per far fronte a uno scenario sconfortante e reagire «decidemmo di metterci in gioco e investire in cultura. Politicamente sostenemmo la lista capeggiata da Attilio Usala che nel 1991 supportò la nascita della Proloco. Eravamo un gruppo mosso dalla voglia e determinazione di fare qualcosa per il proprio paese».
Così, agli anni bui seguì un periodo di rinascita in cui Arzana salì alla ribalta delle cronache per eventi culturali di grande rilievo. Conquistò le pagine dei giornali non più per fatti di cronaca nera, ma per rassegne di interesse enogastronomico, artistico e scientifico. Il Porcino d’Oro ha portato nel paese ogliastrino eccellenze della cucina italiana, dell’arte, della musica, della letteratura e ha coinvolto la comunità in un’organizzazione imponente e sempre d’alto livello. Rileggendo gli articoli che raccontano le venti e più edizioni de Il Porcino d’Oro si incontrano Paolo Pillonca e Bachisio Bandinu, Tonino Oppes e Luca Goldoni, Maria Lai e Pinuccio Sciola, Andrea Parodi e Piero Marras, per citare solo alcuni grandi nomi che si sono incontrati ad Arzana per parlare di arte, di musica, di poesia, di storia, di lingua e identità.
Al centro o sullo sfondo, a seconda dei punti di vista, la cucina, la convivialità, i piatti della tradizione. E l’incontro con altre comunità. Ogni anno una regione diversa. A significare che è nell’incontro con l’altro che si cresce, nella conoscenza, nella accettazione delle differenze, nell’assaporare gusti nuovi senza rinnegare i propri, anzi.
Poi è stata la volta della manifestazione Le erbe e i colori in collaborazione con lo studioso Mauro Ballero, che ha acceso i riflettori sul Gennargentu come «vera e propria miniera botanica dove crescono erbe officinali. Nel 2007 – ricorda il Dottore – il principio attivo dell’elicriso con accertate proprietà antivirali e anti-infiammatorie era stato battezzato Arzanolo in onore del territorio dove la pianta cresce spontanea».
Arzana aveva voltato pagina e aveva preso consapevolezza dei suoi punti di forza. «Perché è una comunità laboriosa, intelligente, colta. Basti pensare che ha una percentuale di medici molto elevata e non da adesso», sottolinea Sestu mettendo in evidenza che lo studio è sempre stato una priorità da queste parti. «In passato ogni famiglia univa i propri sforzi per permettere ad almeno uno dei suoi membri di studiare», e cita diversi esempi di famiglie in cui i fratelli lavoratori avevano permesso a uno di loro di proseguire gli studi e conseguire la laurea.
Da anni il nome di Arzana è associato alla longevità e in particolare al riconoscimento del valore degli anziani, all’importanza della cura nei confronti dei grandi saggi, custodi degli antichi saperi, della lingua, della storia e dell’identità che è importante custodire e tramandare. I volti di alcuni di loro sono stati scelti per una mostra fotografica realizzata da Oliviero Toscani e oggi si possono ammirare nel centro del paese, inserito a pieno titolo nella blue zone ogliastrina.
Raffaele Sestu è molto legato agli anziani e nel 1991 con la Proloco aveva dato vita alla manifestazione A cent’annusu, presto diventata, come ama raccontare, A cent’annusu e prusu per non deludere le speranze di coloro che avevano già raggiunto il secolo di vita. Da 33 anni la comunità si stringe intorno ai suoi anziani e li festeggia con una ricorrenza che è ormai tradizione.
Nel panorama socio-culturale Raffaele Sestu non dimentica l’importanza dello sport con l’Idolo Calcio che ha offerto opportunità di crescita a tante generazioni in oltre mezzo secolo di attività.
E poi il gruppo folk Abbafrida che si porta bene i suoi 50 e più e continua ad avvicinare i giovani alla tradizione. Ci sarebbe tanto ancora da raccontare, ma ci saranno altre occasioni…









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