In breve:

Culturaterapia

Teatro Lirico Cagliari

di Claudia Carta.
Sensazioni. Quelle belle. Quelle che, appena rientri a casa, ti siedi sul divano e stringi tra le mani i nuovi arrivati in biblioteca. Ogni gesto un rito. Accarezzare la copertina, sentire il pesodel volume, tuffarsi a occhi chiusi nell’odore della carta. E respirare.
I titoli. Strade diverse per altrettanti viaggi. “Dante”. “Omero. L’Iliade”. “L’amico ritrovato”. “Il sistema”. Avventure che sanno di universi opposti e mondi paralleli, di imprese epiche e giganti – nella mente, nel cuore, nella genialità umana e artistica – di classici, di storie drammatiche ma autentiche, di contemporaneità più o meno edificante.
Tanto può un libro. Sono passati circa 569 anni da quando un orafo e tipografo tedesco di Magonza, che risponde al nome di Johannes Gutenberg, ha spalancato al mondo la porta della modernità, in un 23 febbraio freddo e lontano. Quando la genialità corre su una lega di piombo e metallo. Singoli caratteri riutilizzabili ogni volta: a cambiarne la disposizione sotto la pressa, un diverso risultato sul foglio. Signore e signori, la stampa a caratteri mobili, o libro, questo sconosciuto; meglio, questo bene raro, elitario, costoso, per pochi. Così almeno lo era all’epoca.
Oggi, per pochi che hanno il desiderio di leggerlo. Eppure, quella Bibbia priva di frontespizio, con i capilettera realizzati a mano da artisti e il testo disposto su due colonne di 42 righe ciascuna (da cui il nome Bibbia delle 42 linee) fu di fatto il primo libro stampato del mondo occidentale, principale strumento di diffusione del sapere, capace di rivoluzionare i concetti stessi di cultura e istruzione.
La stessa che oggi paga il prezzo più alto dell’emergenza sanitaria in corso, fra saliscendi continui – di date, Rt, restrizioni e contagi – incertezze e false partenze, chiusure e divieti di cui non si intravede la fine. Biblioteche, musei, teatri, cinema. Si viaggia a vista, tra cancelli sbarrati e tentativi di normalità, tra chi prova a programmare e chi non sa di che morte morire.
Un settore in ginocchio. Addetti ai lavori, maestranze, artisti e attori, orchestrali e sceneggiatori, autori e musicisti. E poi ci siamo noi, che di cultura viviamo, respiriamo, ci nutriamo e ci innamoriamo. Di cultura riflettiamo, ci entusiasmiamo e comunichiamo. Ma oggi paradossalmente convinti che sia più lecito e, soprattutto, sicuro passeggiare tra pasta e fagioli al supermercato che tra La Giocando o Banksy in un museo, sempre più figli dei centri commerciali che di Bakunin o di un dio minore, scegliete voi.

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