In breve:

L’arte, ovvero il meglio di tutto

Enrico e Gio Pisu

di Valentina Pani.
«L’arte è complicata. È un momento. Riuscire a esprimere il proprio stato d’animo traducendolo in un segno, in gesto, riuscire a creare quello che immagini, trasmettere un messaggio. Con l’arte ognuno ha un proprio messaggio che il destinatario può leggere e percepire a modo suo».
Giò ed Enrico Pisu, padre e figlio, rispettivamente 80 e 44 anni, Nelle loro vene scorre lo stesso sangue, la medesima passione. Entrando nel loro studio, sono i tanti colori che ondeggiano nelle loro tele ad attirare l’attenzione, a rispecchiare un’evoluzione di generazioni, un susseguirsi di momenti, di volti e persone. Lì, in quella scrivania, l’uno che cerca lo sguardo dell’altro, si raccontano, come fossero un’unica cosa: «Sicuramente abbiamo una matrice in comune, quella dei miei zii Albino ed Egidio Manca. È da lì che è nata la corrente in cui ci siamo infilati, prima io e poi Enrico – racconta Giò –. Ricordo ancora come fosse ieri: i miei zii lì che pitturavano, io un piccolo ragazzino ammaliato dalla loro bravura, li ammiravo, forse un po’ li invidiavo, perché nessuno di loro mi ha mai detto: “vieni e prova a vedere come si fa”. Avevo 21 anni quando decisi di inseguire il mio sogno. Presi le valigie e quel poco che avevo e partii per il Piemonte alla ricerca della mia strada».
Gli occhi si riempiono di lacrime, i ricordi si fanno sentire forti e l’emozione non tarda ad arrivare: «Era la pittura. Ero convinto che lei fosse capace di realizzare tutti i miei desideri. Però si sa, la vita non era affatto semplice sessant’anni fa: non avevo soldi, non avevo nulla e per poter pagare i miei studi fui costretto ad andare a lavorare. L’unico momento che mi restava per dedicarmi all’arte era qualche ora alla sera. Così mi iscrissi ad un corso serale di disegnatore tecnico. Ma… non era pittura, non era il mio sogno. Non mi arresi! Cercai dei pittori che insegnavano al Beato Angelico – prosegue Giò sul filo dei ricordi –, chiesi aiuto a loro e aprii il mio primo studio di pittura e scultura». E aggiunge: «Il mio interesse cresceva, ho toccato con le mie stesse mani cosa fosse l’arte! Lasciai il mio precedente lavoro e inseguii unicamente il mio sogno».
Il viso di Enrico si illumina. Un flashback interrompe l’armonia del racconto paterno: «Forse è proprio lì che mi sono appassionato a questo mondo: ero piccolo, andavo a passare il tempo con lui nel suo studio, respiravo arte, giocavo con l’argilla, gli rubavo il pastello e facevo i miei primi disegni, rendendomi conto sempre più che quella era la stessa strada che volevo percorrere».
Ma si sa, l’amore che il sardo nutre per la propria terra è qualcosa di viscerale. Vivere lontano da casa non è per tutti, soprattutto per chi nella propria terra ci crede e ci vuole scommettere. «La mia passione cresceva sempre di più – prosegue Gio Pisu – i miei lavori a olio, le mie prime sculture, tutto mi rendeva felice, ma sentivo che ancora mancava qualcosa, sentivo il bisogno di condividere con la mia terra la mia arte. Così sconvolsi nuovamente la mia vita, ripresi le mie valigie, ciò he avevo creato e la mia famiglia e tornai a Tertenia. Era ormai maturo il tempo di portare anche qui il mio stile. Ci credevo, proprio come la prima volta. Iniziai con qualche mostra. E sembrava che il paese rispondesse bene, che la gente apprezzasse, ma lentamente la frenesia del momento si spense e fui costretto a modificare ancora una volta il mio percorso e a dedicarmi al sociale».
Ma essere artisti è un modo di vivere, sia pure difficile, l’arte non si comanda, arde come un fuoco che brucia dentro, non si spegne e niente è capace di soffocarlo. «Diventai presidente della Pro loco – racconta l’energico ottantenne – ma dentro di me sentivo che avrei dovuto fare qualunque cose perché a Tertenia la vena culturale non si esaurisse, lo dovevo ai miei zii. Così, puntai l’attenzione su due cose che, più di qualunque altra, li rappresentavano: il museo e la biblioteca, deciso a ridare loro nuovo vigore e nuova linfa».
Correva l’anno 1996 quando Giò, con il sostegno dei figli, decise di far rinascere le due colonne portanti dell’arte terteniese: «Ancora oggi mi commuovo – ricorda –; lo so ho, fatto un’azione un po’ anomala, da artista, ma ne vado orgoglioso. Ti confido che pagammo i terteniesi affinché venissero in biblioteca a prendere un libro, 10 mila lire a chiunque lo avesse fatto!».
Fu un boom: le biblioteche di tutto il mondo prendevano contatti con Tertenia per lo scambio di libri, dal Canada all’Australia: «Non dimenticherò mai – sorride Giò – quando il corrispondente Rai a New York mi chiamò per sapere cosa stesse succedendo! Tutti parlavano di noi».
La biblioteca nacque nei locali soprastanti al museo: per potervi accedere occorreva passare tra le opere di Albino Manca: arte e lettura unite dalla passione di chi ci aveva creduto».
Un gruppo di giovani si prese carico di fare da guida tra queste impetuose opere, tra cui lo stesso Enrico: «In quegli anni avevo appena finito i miei studi presso il liceo artistico di Lanusei e mi accingevo a iscrivermi all’Accademia delle Belle Arti di Sassari: momenti indimenticabili per la mia carriera artistica, forse proprio quelli che mi hanno convinto a restare».
E infatti… 2003. Enrico Pisu inaugura il suo studio grafico a Tertenia. Ancora una volta la famiglia Pisu ci crede. Un artista. Un cambiamento generazionale. Dalla pittura fantasy, alla mitologia, sino all’oggettistica per bambini. Perché occorre «riuscire a vedere il meglio in tutto quello che si vive, vedere il meglio anche quando non c’è e cercare di raggiungerlo».
Questo è l’arte.

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