In breve:

Nascere due volte

Adozioni

di Fabiana Carta.
Ci tiene a dirlo: la Sardegna, statisticamente una delle regioni con il reddito più basso, è quella che adotta il maggior numero di nuclei di bambini, ovvero gruppetti di fratelli. Perciò saremo anche poveri in termini di soldi, ma in termini umani e di solidarietà sociale possiamo dare l’esempio. Lei è Carla, tortoliese da generazioni, una donna appassionata che mi racconta, con grande intensità di sentimenti, l’esperienza travolgente dell’adozione. È un incontro di vite, è un percorso interiore da entrambe le parti, che porta a scavare nell’animo, ad andare oltre, a prendere consapevolezza del fatto che tutto questo comporterà un costo emotivo enorme.
Carla Sardano e suo marito Livio Angoletta vivono da circa due anni e mezzo con quattro bambini colombiani: Nick (15 anni), Esteban (13), Jesus (11) e Mara (9), li vedo sorridenti nelle numerose foto esposte in casa. Umilmente mi dice subito che l’adozione di un nucleo così grande non deve essere motivo di elogio, perché esistono anche famiglie che decidono di prendere con sé bambini con handicap o patologie gravi. «Spesso mi sento dire: sei coraggiosa. Ma nella vita bisogna lottare, rischiare. Se una coppia desidera dei figli e non riesce ad averli, questo non deve considerarsi un limite. Adottare significa aprire la mente a 360 gradi, accettare che non lo hai partorito tu. Ma il fatto che non l’hai partorito non significa che tu non possa sentirlo tuo, che tu non lo possa amare nello stesso identico modo».
È una scelta che parte da sé stessi, consapevole e responsabile, ponderata, che ti coinvolgerà per tutta la vita, come dice Carla «bisogna uscire dalla nostra zona di confort, non dobbiamo subire la vita, ma dobbiamo esserne attori, con tutti i rischi a cui si va incontro. Ma oggi posso dire che questa scelta ha dato qualcosa a tutti in termine di ricerca e arricchimento personale». È un dare e un ricevere continuo. Proviamo a tornare indietro nel tempo, al momento della scelta dei bambini e al primo incontro con loro, per capire cosa ha significato e come lo hanno vissuto.
Lo sguardo di Carla si fa serio e commosso. Ricorda quando ormai, dopo tutto l’iter, erano pronti a fare una scelta e l’ente a cui si erano rivolti (l’Ai.Bi.) aveva fatto loro la proposta dei 4 bambini, che osservarono in un video: «Di fronte a quelle immagini non potevi non farti coinvolgere, siamo rimasti folgorati. Mio marito appena li ha visti ha detto: “Dove devo firmare?”». La loro idea iniziale era quella di adottare un nucleo abbastanza numeroso, come tre fratelli, ma quattro proprio non se li aspettavano.
È stato amore a prima vista. L’incontro faccia a faccia, sguardi su sguardi, è avvenuto a Bogotà, la capitale della Colombia, nell’orfanotrofio che ospitava i bambini da quattro anni e mezzo. Bambini che prima di venire affidati all’istituto avevano trascorso una vita difficile, fatta di stenti, di maltrattamenti, di mancanze serie, a iniziare semplicemente dal cibo. «Io e mio marito tremavamo dall’emozione nell’attesa di vederli, in vita mia non avevamo mai provato qualcosa di simile, è difficile da tradurre in parole. Ci tenevamo la mano, ci sorreggevamo l’una con l’altro». E continua: «Non è stato facile, ma la cosa importante è che abbiamo dato loro un’opportunità e anche noi ci siamo arricchiti molto. Ci hanno insegnato una prospettiva nuova con cui guardare il mondo, diversa da quella a cui eravamo abituati. A volte, purtroppo, abbiamo l’abitudine di dare per scontate le cose, invece questi bambini ci hanno fatto capire che non bisogna mai farlo. Quello che per noi può sembrare banale, stupido, in realtà per loro ha un valore immenso».
Dopo un mese a Bogotà finalmente arriva il momento di tornare nella casa di Arbatax tutti insieme, proprio nel periodo in cui era scoppiata la primavera, metaforicamente un tripudio di luce, gioia e colori. Carla ricorda quei momenti emozionanti in cui i bambini hanno visto per la prima volta il mare e in inverno la neve. Lo stupore! «Erano inebetiti», come storditi da tanta bellezza. E poi via con le passeggiate sulla spiaggia, le gite verso i posti più belli del territorio, l’assaggio del cibo locale, le specialità. Due culture che si incontrano. Poi lo sport, utile per l’integrazione; i ragazzi fanno calcio, mentre la bambina ha scelto di fare danza, e un grande sforzo per fare in modo che ognuno di loro possa riuscire a esprimere la propria individualità.
Domando se abbiano mai avuto problemi a integrarsi a scuola e Carla coglie l’occasione per spiegarmi l’idea, ammirevole, che ha a riguardo: «Non hanno mai avuto nessun problema, ma gli abbiamo insegnato che essere diversi non significa essere inferiori, è giusto valorizzare le peculiarità di ognuno. Essere accettati non significa uniformarsi. Quindi si sono integrati, ma senza dimenticare le origini, il vissuto, il passato, perché io penso che uno non possa costruire sopra certe macerie, si costruisce a fianco».
Nick, Esteban, Jesus e Mara sono quella scintilla, quella ondata impetuosa di emozioni, di amore indescrivibile, di gioia che a volte diventa dolore quando riemergono vecchi ricordi. E allora come si fa? «A volte non è facile ascoltare i ricordi tristi dei loro anni in Colombia, ma tu genitore adottivo devi prendere sulle tue spalle il suo peso, i maltrattamenti, le bruttezze, gliele devi togliere e fartene carico tu. Devi esserci e basta, con tutta l’anima». Nonostante sia evidente, dalle parole di Carla, che non è facile mantenere tutti gli equilibri, emerge comunque il suo sguardo pieno di bellezza, di forza e di moralità. Perché quello che regalano i figli in termini umani non può dartelo nient’altro nella vita, tutto ciò che resta fuori, al di là della famiglia, sono solo cose, effimere e materiali.
Prima di salutarci si lascia andare a un pensiero che le fa tremare un po’la voce, «questi bambini prima o poi spiccheranno il volo, saranno autonomi, a noi sta il compito, il dovere, la responsabilità di dare loro gli strumenti per affrontare questa vita serenamente. Ci impegneremo a fondo perché un giorno possano dire “sì, siamo adottati, ma viviamo bene” e perché possano trovare il loro posto nel mondo. Andando via ripenso alla citazione preferita di Carla: i sogni sono per i coraggiosi, per tutti gli altri ci sono i cassetti.

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