In breve:

Profumati di mirto

Ignazio Locci

di Claudia Carta.

Prendi una pianta di mirto. Guardala. Ascoltala. Toccala. Ti regalerà le bacche. Le lascerà cadere nelle tue mani. Saranno il tuo tesoro più caro. Il nettare che ne verrà fuori, sarà delizia e balsamo, frutto sublime che ripagherà ogni fatica. È lo spirito dell’azienda biologica jerzese Mirteto 84

Le piante vanno accarezzate. Ne va accarezzato il frutto.
Filosofia dell’amore? Anche, perché no. Ma principalmente una missione. Quella di chi la campagna la vive, la rispetta, la cura. Perché sa che da questo dare scaturirà un ricevere.
Un amore che porta frutto e lo porta in abbondanza. Profumi e sapori intensi, ma soavi al tempo stesso. Decisi e avvolgenti. Freschi, ghiacciati, per l’estate più calda. Glassati e caramellati per una naturale voglia di dolcezza.
Lo direste voi che stiamo parlando di mirto? Mangio mirto e campo cent’anni. È da sempre il motto dell’azienda biologica jerzese di Ignazio Locci e Sabrina Orrù, Mirteto 84, una giovane coppia che con la terra ha fatto una scommessa: quella di realizzare una produzione che fosse interamente naturale, senza l’impiego di fitofarmaci, diserbanti o additivi chimici.
Attenzione. Mangio mirto. Non, bevo mirto. Via dall’immaginario collettivo, per un momento, l’idea del digestivo da sorseggiare dopo il caffè in un tranquillo pomeriggio ogliastrino. Qui parliamo di prodotti rigorosamente analcolici che tutti, anche i più piccoli, possono gustare con ricette diverse, da inventare e da cambiare, perché non c’è limite alla fantasia e alla creatività sulla tavola.
Lo scenario. Pelau, regno di vigneti da sempre. Località Sa Spadula. Qui un ettaro di terra raccoglie il respiro di 1700 piantine. L’idea nasce nel 2013. Ignazio e Sabrina non si fermano a quello che è solo un pensiero e piantano subito ben 1021 mirti, incoraggiati e supportati anche da Manfredi Cannas: è suo il terreno concesso in affitto ai giovani sposi. Quando zio Manfredi verrà a mancare, all’età di 84 anni, la coppia di imprenditori jerzesi lo omaggia inserendo nel nome della loro azienda un numero che significa dedizione e riconoscenza.
Due anni e, nel 2015, quello che era un progetto diventa realtà ufficiale. Sa Spadula profuma di mirto, non solo di vino. Da allora, ogni giorno reca con sé una storia nuova. E sono le piante a tesserne le trame, fra sole e pioggia, fra maestrale e scirocco. «Le piante sono come i figli – sorridono –: ti fanno disperare ma poi, quando mostrano il frutto del tuo lavoro, tutto passa!». Un lavoro certosino, costante, che richiede sacrificio e fatica. Ma Ignazio, che sa bene cosa significa lavorare la terra, è guidato da tenacia e determinazione. Sa di realizzare qualcosa di importante, di singolare, sa che può concretizzare davvero la sua idea in mille sfumature e che può imprimere sopra la certificazione di genuinità e autenticità.
Artigiano del mirto. Se fosse un marchio, sarebbe: realizzato a mano. E il marchio c’è, eccome. Vero, come le mani che raccolgono le bacche: «Ci si impiega un po’ di più – fa notare – ma il frutto viene preservato, la bacca non subisce danni e stress, non si altera e si conserva bene. La prima fase, quella della raccolta, fatta interamente a mano, è molto bella, salutare e rilassante. Successivamente, in laboratorio, hanno inizio lavorazione e trasformazione».
Anche la preparazione e il confezionamento avvengono sul posto. Cortissima la filiera. Grande l’orgoglio. Sublime il risultato.
La glassa di mirto. Su maistu. «È studiata per osare in cucina – dicono quasi strizzando l’occhio al buongustaio e a chi non resiste alla tentazione di un piatto diverso –.  Non solo si può utilizzare per insaporire la selvaggina ma, anche formaggi, salumi, verdure e condire insalate». Il consiglio? «Ottima con il capriolo».
La composta di mirto, priva di conservanti e coloranti: «Ottima da gustare al mattino sul pane, sulle fette biscottate e, in abbinamento con i formaggi, è ideale anche per guarnire sebadas e farcire crêpes. Il suo retrogusto leggermente tannico la rende molto apprezzata a chi non ama la confettura troppo dolce».
C’è anche lo sciroppo. Nemus. Un nome che a Jerzu, ma ormai ovunque in Italia, è divenuto assai familiare. «È ottimo accompagnato ai dolci secchi, ai dessert e ai dolci al cucchiaio, per via della sua essenza corposa dal sapore intenso e persistente».
E ancora, il miele di mirto, il semifreddo, gli oli essenziali e, perché no, anche il mirto analcolico Nero di Pelau, per chi non vuole comunque negarsi il piacere di un buon digestivo o aperitivo dall’inconfondibile sentore, ma che ben si adatta anche come condimento per piatti a base di carne e pesce.
Il lavoro paga sempre. E la qualità pure. Non tardano ad arrivare nemmeno prestigiosi riconoscimenti, come quello di Sardinia Food Awards, l’Oscar delle eccellenze agroalimentari della Sardegna, conquistato nel 2018 per la categoria “Distillati e liquori”, o la significativa partecipazione a Mirtò, l’esclusiva fiera nella cornice spettacolare di Porto Cervo.
E poi c’è Anna, la piccola di casa, 13 anni, assaggiatrice ufficiale di tutti i prodotti e i preparati. Il suo gusto, la sua opinione, il suo riscontro sono fondamentali per testare quello che sarà il grado di apprezzamento fra i clienti, fra i quali figurano tanti suoi coetanei.
Ma con i ragazzi, l’equipe di Mirteto 84, ha un rapporto davvero speciale: le scolaresche vanno in visita all’azienda, ne seguono le fasi di produzione o di lavorazione, ne percepiscono la filosofia. Scoprono che il suo segreto vitale è nella naturalezza delle fasi, dalla coltivazione al prodotto finito. Imparano quell’amore e quel rispetto per ogni pianta, per ogni bacca, per ogni angolo di terra che solo sentendosi amata, può restituire bontà e salute, in un continuo circolo virtuoso.
Ignazio, Sabrina e Anna hanno iniziato dai campi pieni di sole del Pelau, dal verde di Sa Spadula, dal fiore di una pianta. Ma si sa, per fare tutto ci vuole un fiore. Di mirto.

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