In breve:

Sanità sul territorio: una sfida da non perdere

Rubiu

di Augusta Cabras.

L’Ogliastra grida. La sanità risponde? A Ussassai, Seui e Talana parrebbe di no.
Criticità, disagio, sofferenza. Quale futuro? Risponde il medico e Direttore del distretto sociosanitario della ASL di Lanusei, Sandro Rubiu

Quello della sanità è un tema caldissimo. Qual è la situazione attuale? 

Ci sono difficoltà nella gestione della sanità e nell’erogazione dei servizi al cittadino, che sono strutturali. Abbiamo oggi un’accentuata penuria di medici. In ambiti come Seui, Ussassai, Talana il medico di medicina generale attualmente, o è carente o è assente del tutto. Ussassai e Seui sono senza medico dal primo gennaio, nonostante i ripetuti bandi fatti sia da noi che diamo gli incarichi di supplenza trimestrali, semestrali o annuali, sia – e questo è ancora più preoccupante – a livello di bandi fatti da ATS, per quanto riguarda le titolarità.

Il problema reale qual è?

Il problema è che i medici sono pochi e i posti a bando sono molti. Se esistono in Sardegna 300 ambiti territoriali vacanti e i medici che fanno domanda sono 200, è ovvio che 100 rimangono scoperti. La difficoltà nasce da una non adeguata programmazione del numero di accessi alla Facoltà di Medicina. Sono almeno dieci anni che la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici sta mandando dei segnali di allerta. Si prevedeva già da allora che nel 2020 sarebbero mancati i medici. Se si conosce l’età dei medici e l’anno in cui andranno in pensione è chiaro il numero di quelli che serviranno. Ma se l’accesso alla Facoltà di Medicina è permesso con numeri che sono nettamente inferiori qualcosa non funziona e non funzionerà. Il numero chiuso a oggi non è stato tolto e non ho conoscenza del fatto che siano aumentati i numeri dei posti. In ogni caso, anche nell’ipotesi che si dovesse togliere completamente il blocco in entrata e lasciare iscrivere a medicina tutti quelli che vogliono iscriversi, vedremo i risultati non prima dei prossimi sei anni per la medicina di base e dopo ulteriori quattro o cinque anni a seconda della specializzazione.

Intanto la vita delle persone e di quelli che si ammalano va avanti. Nel frattempo cosa si fa? Quali sono le soluzioni?

Una delle soluzioni potrebbe essere – ma è comunque una scelta che deve fare la politica dei piani alti – è quella di fare in modo che i circa 8/10.000 medici italiani specializzati che lavorano all’estero rientrino in Sardegna. Sappiamo che il motivo per il quale ci sono andati non è perché hanno in odio la loro terra, ma è perché all’estero hanno una sistema di reclutamento diverso da quello che abbiamo noi e un sistema con una remunerazione molto più interessante.
A essere chiari, un medico che come primo stipendio in Italia prende 2.500 euro, in Germania ne prende il doppio, in Svizzera siamo sui 10/12 mila. Ovvio che se si hanno questi livelli stipendiali, un giovane medico che ha fatto 6 anni di Medicina più 4 di specializzazione si senta demotivato a lavorare per un emolumento così basso. Tanto più se deve lavorare in reparti come la chirurgia o nella medicina d’urgenza che, oltre l’impegno puro, richiedono responsabilità legali di un certo tipo. Questo costringe i giovani colleghi a dotarsi di una copertura assicurativa a proprie spese che va a incidere su uno stipendio che non è particolarmente allettante. Questo per l’aspetto prettamente economico. Ci sono poi gli aspetti contrattuali. La farraginosità del meccanismo di reclutamento dei medici in Italia, con il concorso pubblico, richiede tempi lunghi con meccanismi abbastanza contorti, rispetto a quelli che adottano i paesi europei. Qui è tutto più complicato. Le dico che l’’ultimo bando che è stato espedito qualche mese fa non ha avuto nessuna risposta, né per Seui né per Ussassai.

E i pazienti di quei paesi come fanno se hanno bisogno del medico?

Siamo riusciti a sensibilizzare un medico di medicina generale di Lanusei che con grande disponibilità e con grande senso di altruismo ha dato la disponibilità e si reca alcune volte alla settimana per fare ambulatorio. È chiaro che si tratta di un’assistenza minimale, insieme a quella della guardia medica notturna.

La mancanza di medici è un problema anche per l’ospedale di Lanusei…

Io non sono il responsabile dell’Ospedale, ma posso dire che si hanno delle difficoltà nel reperire i medici perché essendo pochi per specialità, quei pochi che ci sono, quando si fa il bando regionale, scelgono la sede a loro più comoda. I medici ogliastrini sono oggettivamente pochi.

Dire Asl per molti, significa lentezza nell’erogazione dei servizi. Pensiamo ai tempi per avere una visita domiciliare per un paziente allettato o la trafila per ottenere un ausilio o una protesi. 

Dobbiamo distinguere tra le prestazioni infermieristiche, le prestazioni di riabilitazione, quelle specialistiche e quelle di medicina generale, compresi anche ausili e protesi. Per quanto riguarda l’assistenza infermieristica, che è un servizio esternalizzato, questa è erogata pressoché nell’immediato. Le difficoltà le abbiamo invece con gli specialisti ambulatoriali, ma anche qui ricadiamo nel problema della mancanza di medici. Con la fisiatria il problema è soprattutto legato alla tempistica abbastanza lunga, se pensiamo che per le visite domiciliare lo specialista deve spostarsi da un paese all’altro in un territorio ampio e mal collegato. Sulla protesica invece, ATS ha accentrato la gestione. Prima avevamo un nostro magazzino di ausili, adesso il nostro magazzino di riferimento è a Nuoro e i tempi si sono leggermente allungati.

Il compianto Gino Strada sosteneva che il problema della sanità italiana sia la politicizzazione e la trasformazione della sanità pubblica in azienda. Questo pare chiaro anche dal linguaggio: sempre più raramente si parla di servizio, ma più spesso di prestazione e l’unità sanitaria locale è diventata azienda sanitaria. Lei cosa ne pensa?

È una trasformazione che abbiamo vissuto negli anni. 15 anni fa circa si è introdotto un linguaggio che era mutuato da “un ambiente bocconiano” dove si pensava, a parer mio erroneamente, di parametrare la sanità a un’altra attività di produzione, che fosse di bulloni o quant’altro. Ma la sanità non produce, eroga servizi per andare incontro ai bisogni del cittadino, che io continuo a chiamare paziente e non utente, che si affida al medico con grande fiducia. Il paziente non ha bisogno solo della prestazione tecnica, ma necessita anche di quella componente umana, di emotività, di partecipazione e di compassione. Nelle intenzioni del legislatore forse questo aspetto è andato scemando in favore degli aspetti più ragionieristici. Con questo non voglio dire che non sia importante l’attenzione doverosa all’appropriatezza, se si intende con questo però dare al cittadino quello che in quel momento gli serve ai giusti costi.

Come vede il futuro della sanità in Ogliastra?

Lo vedo positivamente se riusciamo a portare le risposte della struttura sanitaria ai bisogni di salute del cittadino, nel suo ambiente di vita e di lavoro. Questa è la soluzione che ci consente di rafforzare la medicina del territorio con i tre poliambulatori e le prestazioni domiciliari (che sono presenti paradossalmente anche in quei paesi dove non è presente il medico di base) e a ridimensionare il bisogno delle cure ospedaliere. L’ospedale è importantissimo, fondamentale e intoccabile e i pazienti devono poter ricorrere alla struttura ospedaliera per le patologie acute e per quelle che necessitano di tecnologia di un certo tipo.

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