In breve:

A Lanusei i detenuti diventano falegnami

laboratorio-falegnameria

di Claudia Carta.
Grande successo per il corso organizzato nell’istituto penitenziario San Daniele. I reclusi donano al vescovo un tavolo in ginepro con al centro una scacchiera.

Un tavolino speciale. Struttura in ginepro che regge una cornice realizzata con il medesimo materiale, al centro una vera scacchiera, con i riquadri bianchi e neri perfettamente incollati su un pannello in legno. Re, regina, cavallo, torri, alfieri e pedoni rigorosamente lavorati e intagliati a mano, così come creati ad arte sono gli incastri e i fissaggi. È il regalo che un gruppo di detenuti, ospitati nel carcere San Daniele di Lanusei, hanno donato al vescovo Antonello Mura in occasione del Natale, al termine della Santa Messa celebrata nell’istituto di pena ogliastrina. Un lavoro certosino, realizzato con meticolosità e cura, frutto di ore di impegno e applicazione. Ore che volano via in un istante. Eppure tra quelle sbarre anche il tempo sembra sbattere inesorabile e fermarsi per sempre. Ogni attività, ogni nuova iniziativa, dunque, è una ventata d’aria fresca, ponte tra il mondo là fuori e quella là dentro, in attesa di luce. Alessandro Pistis è un giovane falegname di Lanusei. La sua bottega artigiana è all’ingresso di Arzana. Ha messo a disposizione la sua disponibilità e la sua ventennale esperienza per portare un raggio di quella luce laddove spesso è buio. E quando la Diocesi – in concerto con la Caritas e con l’intera direzione della casa circondariale – ha avanzato la proposta di realizzare un corso di falegnameria, ha detto subito sì: «Non nego – ha commentato l’artigiano lanuseino – che inizialmente ero un po’ titubante, non sapevo come mi avrebbero accolto. Ma fin dal primo istante è stato tutto molto naturale e persino piacevole». Si parte. Il corso è un successo. Le richieste sono numerose, oltre le aspettative. Una ventina circa i ragazzi impegnati dai primi di luglio. L’appuntamento è fissato per due mattine alla settimana. Tre ore. Anche se, quando iniziano le scuole, il corso prevede solo un incontro, per lasciare spazio allo studio. E adesso, che di ore ne mancano 30, per giungere alla conclusione delle attività, emerge da ogni parte tutto il bello di offrire una nuova speranza: «Ho visto subito molta passione – ha raccontato Pistis – e diversi sono i ragazzi con abilità pratiche e tecniche particolari. Ottimi alcuni lavori di intaglio. Ma soprattutto li ho visti contenti di fare qualcosa, di impiegare il tempo in un’attività diversa». La soddisfazione più grande? «Sentirmi chiedere “Quando torni?”». Gioia espressa anche dal responsabile diocesano Caritas, don Giorgio Cabras, per un progetto iniziato con il centro di ascolto e dieci volontari e che ora guarda avanti con fiducia e pensa in grande: «L’apertura è la carta vincente. La chiusura è deleteria. La società, le persone con la loro quotidianità, il loro lavoro, le loro esperienze, sono capaci di portare in carcere una testimonianza preziosa che non fa sentire soli i detenuti, anzi, li fa sentire vivi, utili, importanti. E li fa cambiare».

Sabato 31 Dicembre 2016

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