In breve:

Attendere non impoverisce la fede

Avvento

di Mons. Antonello Mura.
Ma quali attese abbiamo in avvento? Meglio dire subito – per non essere ancor di più depressi – che non è l’attesa diuna catastrofe, nonostante i toni apocalittici delle letture di queste domeniche. In realtà, se ci liberiamo dal contesto del loro genere letterario, Gesù quelle parole le ha dette e continua a ripeterle per rassicuraci che, anche nei giorni più difficili, non siamo abbandonati. Noi continuiamo a essere pensati e amati da un Dio che, da quando ha abbracciato questa umanità, non si è più pentito.

Un bel passaggio di un canto di avvento, possiede le immagini adatte: «Nella notte, o Dio, noi veglieremo, con le lampade accese, vestiti a festa, presto arriverai e sarà giorno». Vestiti a festa, con i colori della festa. Più che impaurito, il cuore si prepara ad attendere una persona cara.

“Attendere” fa rima con “desiderio”, quello di incontrare chi amo: verbi quindi da innamorati, tutto l’opposto dell’attesa sterile e infruttuosa. Sono atteggiamenti ancora più preziosi in queste stagioni scolorite e pallide, apparentemente senza futuro e quindi senza attese. Tutti sembriamo trattenere il fiato, e con esso lo sguardo. Ci “tratteniamo”, immobili, per paura di esporci, impermeabili a ogni sussulto e a ogni desiderio che ci spinga “più in là”. Anche la fede ne risente, impoverita di attesa, come se non ci fosse più nulla da credere o da sperare. Poveri noi!

Quando attendi qualcuno ne spii l’arrivo, desiderandolo, ne indovini i passi, curi tutti i dettagli dell’arrivo, magari apri la porta in anticipo, perché ti trovi vigilante nell’attesa. Sì, il contrario di “attendere” è proprio “trattenersi” e “trattenere”. Sconsigliabile “trattenersi”, uomo o donna che tu sia, perché anche Dio deve essere atteso per accoglierlo. Ma, peggio ancora, grandemente sconsigliabile che la Chiesa inviti qualcuno a “trattenersi”, non cogliendo così i desideri e le domande di vita e di fede, rallentando la ricerca di Dio presente in uomini e donne che desiderano incontrarlo.

A volte ci “trattiene” il nostro cuore, quando non osa sperare più nulla; a volte ci “trattengono” gli altri – anche nelle parrocchie – quando non amano coloro che sognano a occhi aperti perché questo li costringerebbe ad allontanarsi da quanto si è sempre fatto, anche nel cammino di fede. Tremenda e stupenda la parola di Gesù: «Badate che nessuno vi inganni. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: Io sono il Cristo» (cf Mt 24, 1-31).
Lo scrittore Ignazio Silone, a chi gli chiedeva perché avesse abbandonato la Chiesa, rispondeva che «si era stancato di stare con cristiani che dicevano di attendere Gesù Cristo e la risurrezione, ma poi l’aspettavano con la stessa indifferenza con cui si aspetta un tram».

Celebrare l’avvento di Gesù è arricchire il tempo di una speranza che non delude e di un dono che si rinnova. Per vivere così il tempo non basta mai, anzi ogni tempo diventa un tempo di avvento, proteso a squarciare l’orizzonte e a ritrovare nuove ragioni di vita e di speranza. Se mancasse l’avvento non ci mancherebbe solo il futuro, ma anche il presente, perché quest’ultimo ci inghiottirebbe nei suoi meccanismi ripetitivi. L’avvento ci aiuta a credere che nulla, proprio nulla, è più importante di Chi verrà, di Chi sta venendo e di Chi non smetterà di venire.

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