Fatti
Legalità non fa rima con omertà
di Giusy Mameli.
Nelle recenti dichiarazioni della Procuratrice della Repubblica presso il Tribunale di Lanusei – in occasione dell’arresto dell’indagato per l’efferato omicidio di Marco Mameli nel marzo scorso –, intravvediamo una speranza nel cambiamento di mentalità, nella collaborazione, nella mobilitazione popolare quando si è capaci di prendere la distanza dalle violenze a dai metodi mafiosi, perché non tutti siamo conniventi e omertosi.
Vi sono situazioni dove possono esservi timori a riferire fatti all’Autorità Giudiziaria: ecco perché deve crescere la fiducia del cittadino verso le Istituzioni, per far prevalere il senso civico e la certezza dell’anonimato – se necessario – in determinate condizioni.
Spesso le Forze dell’ordine incoraggiano le segnalazioni e attualmente, in forma anche anonima o tramite altri canali riservati, esistono molte opzioni, anche on line nei siti dedicati delle Forze di Polizia. È il caso del numero 1522 per denunciare violenze contro le donne e violenze familiari.
La legalità passa anche dal coraggio e da una rete autentica di protezione, che esiste e che, nei territori di mafia, ha consentito ai collaboratori di giustizia di poter usufruire di protezione, nuova vita, nuove identità e alle indagini stesse di ottenere risultati.
Vi sono persone coraggiose, anche se spesso questa realtà virtuosa non emerge, persone con profondo senso di giustizia. Dobbiamo continuare a parlare di ciò che non va, delle mentalità distorte che agevolano malaffare e disonesti, del fatto che il sistema giudiziario è perfettibile, ma ancora in grado di assicurare i delinquenti alla giustizia e soprattutto necessita di risorse umane e strumentali – che la politica deve incrementare – per migliorare la difesa del cittadino senza per forza dover ritornare a uno Stato di polizia.
Molti dei nostri giovani ancora scelgono le facoltà giuridiche; molti dei nostri ragazzi si arruolano nelle forze armate, non solo perché in cerca di un lavoro, ma perché depositari di valori e convinti sostenitori della tutela del bene e dell’ordine pubblico, dell’importanza della civile convivenza e dei valori della giustizia, fondamento della democrazia.
L’incontro della Pastorale del Turismo dedicato al tema israelo-palestinese ha toccato la riflessione e la coscienza di tutti noi. Una dimensione umana e solidale, un’empatia rara di persone che abitano territori dove il male e la sofferenza sono vissuti quotidianamente. Ma l’israeliano Maoz Inon e il palestinese Aziz Abu Sarah, come altri, invece di imbruttirsi e di scegliere il conflitto, hanno migliorato le loro relazioni; dove la pace è testimoniata da condotte quotidiane, si può moltiplicare nella collettività.
In pratica: abbiamo a cuore gli uni le vite degli altri, dal primo banco di scuola al quotidiano delle nostre giornate familiari e lavorative. Come al solito, il cambiamento deve partire da noi. A partire dalle parole di Papa Leone al Giubileo degli operatori di Giustizia, il 20 settembre scorso: «Quando si esercita la giustizia ci si pone al servizio delle persone, del popolo, dello Stato, in una dedizione piena e costante. Non è possibile pensare a una società giusta, finché non venga raggiunta l’uguaglianza nella dignità e nelle opportunità fra gli esseri umani. Il male non va soltanto sanzionato, ma riparato, e a tale scopo è necessario uno sguardo profondo verso il bene delle persone e il bene comune».
Parole di parità. La video inchiesta di Voltalacarta
di Francesco Manca.
Nove anni dopo Voci di un verbo plurale, l’associazione Voltalacarta ritorna a interrogare studenti e studentesse sui temi della parità, delle discriminazioni e della violenza di genere. Lo fa con una nuova video inchiesta, intitolata Parole di parità, realizzata con il contributo di Fondazione di Sardegna, che ha coinvolto 62 alunne e alunni di cinque scuole medie facenti capo a tre diversi istituti comprensivi: l’I.C. Grazia Deledda di Ilbono, con anche il plesso di Arzana, l’I.C. di Lanusei, che comprende anche Villagrande Strisaili, e l’istituto comprensivo di Jerzu.
Un lavoro che ha impegnato l’associazione per oltre sei mesi, dalla fase preparatoria a quella realizzativa con le interviste ad alunne e alunni, per arrivare al lungo lavoro di montaggio, postproduzione e promozione, anche attraverso il nuovissimo sito internet: www.voltalacarta.eu.
«Con questo lavoro abbiamo voluto dare un seguito a quello realizzato nel 2016 negli istituti superiori ogliastrini e al progetto realizzato due anni fa con la consigliera di parità della Provincia di Nuoro, entrambi rivolti agli istituti superiori di secondo grado – spiega la presidente Loredana Rosa –. Ci interessava capire come viene percepito l’argomento “pari opportunità” da una fascia di età più giovane, ma anche vedere come è cambiata, dopo nove anni, l’attenzione verso le tematiche di genere, soprattutto alla luce della grande eco mediatica suscitata da tragici episodi di cronaca che coinvolgono anche gli adolescenti».
Ciò che è emerso è stato molto interessante: «Se da un lato c’è più attenzione e consapevolezza rispetto a nove anni fa, anche in considerazione dell’età più giovane considerata in questa nuova inchiesta, dall’altro manca ancora una sufficiente conoscenza degli strumenti di contrasto alla violenza», continua Rosa.
Parole di parità sarà presentato a novembre, in occasione della Giornata mondiale contro la violenza maschile sulle donne. Sarà la prima tappa di un viaggio che ci si augura lungo e fruttuoso.
«In seguito, contiamo di presentarlo sia nelle scuole, sia attraverso progetti mirati che coinvolgano a vario titolo la cittadinanza», conclude Loredana Rosa.
Mons. Piseddu: tra ricordi, aneddoti e profonda amicizia
Mons. Piero Crobeddu, parroco di Sant’Andrea in Tortolì, già Vicario generale di Mons. Antioco Piseddu.
Pensando al nostro Vescovo Emerito Mons. Antioco Piseddu emergono tanti ricordi di momenti gioiosi e felici e di situazioni travagliate e molto sofferte. Spesse volte, scambiandoci dei punti di vista su questioni che riguardavano il cammino della Diocesi e dei sacerdoti, aveva delle pause di silenzio che terminavano sempre con un’esclamazione ricca di fede e di umanità: «Po amore de Deus siada», e «Quante cose il vescovo conserverà nel sacrario del suo cuore e se le porterà all’altro mondo senza poterne parlare con nessuno!».
È stato un Vescovo dallo spessore spirituale non indifferente: quante volte i sacerdoti che salivano a salutarlo, lo trovavano nella cappella dell’episcopio inginocchiato in preghiera o con il rosario, o con il breviario, o con un libro di spiritualità? Appena si accorgeva della presenza di qualcuno, lasciava la cappella e con un volto illuminato da serenità e gioia invitava il sacerdote a seguirlo nel suo studio e a sentirsi a proprio agio con le parole: «Siediti e raccontami cose belle della tua comunità». Se poi c’era qualcosa di non troppo lineare nella vita personale, o che poteva riguardare il cammino della parrocchia, lo faceva con tanta delicatezza, con una pedagogia che solo lui sapeva usare. Alla fine il sacerdote se ne tornava in parrocchia felice di quell’incontro all’insegna della benevolenza, ma anche con la certezza che le parole del Vescovo gli avevano toccato il cuore.
Non possiamo certo dimenticare le tombolate organizzate nel periodo natalizio. In quelle occasioni, molto divertenti, il Vescovo diventava anche lui un bambino che rideva e scherzava. I premi della tombolata li portava sempre lui; per lo più erano sempre calendari, qualche agenda e poi tutto ciò che poteva creare disturbo in casa.
Per Mons. Antioco l’accoglienza delle persone, di diversi ceti sociali, era quasi una liturgia. Era dotato del dono dell’ascolto. A volte questi incontri si protraevano fino alle tredici, ora del pranzo. Allora si alzava e con il sorriso da sornione, esortava gli ospiti con delle parole che poi si trasformavano in benevolenza e gratitudine. Diceva: «…Non vi voglio mandare via, ma se ve ne andate, mi fate un grande piacere».
A queste spigolature se ne potrebbero aggiungere tante altre, ma… c’è sempre il timore riverenziale di leggere la vita dei nostri Maestri secondo il nostro calibro e non secondo il comandamento che Cristo ci ha lasciato.
Don Michele Congiu, Vicario generale.
Il Vescovo Antioco Piseddu: con i suoi tratti peculiari (il timbro della voce, il modo di parlare, le espressioni, la gestualità) e una certa aura di perennità – l’ho conosciuto da bambino, quando ero chierichetto: mi ha accolto in seminario, mi ha amministrato la Cresima, mi ha ordinato diacono e presbitero e mi ha accompagnato nei primi dodici anni di ministero –, Mons. Piseddu è stato per me una presenza fondamentale.
Per dire, con riconoscenza, qualcosa di lui, scelgo tre ricordi.
Quando eravamo piccoli seminaristi, il Vescovo, nel periodo natalizio, ci invitava a cena in episcopio. Oggi ripenso con meraviglia alla tavola allestita non con ricercatezza, ma di certo in modo raffinato. Eravamo poco più che bambini, ma il Vescovo, da vero signore, ci ospitava con onore, non temendo per l’integrità della cristalleria e delle porcellane. Forse sorrideva, in cuor suo, vedendoci impegnati a non sbagliare la posata da cui iniziare, o incerti sui vari calici posti di fronte al piatto, o al nostro panico nel doverci servire delle posate per la frutta. Un bel gesto di rispetto e di considerazione, nei nostri confronti, e profondamente educativo.
Sempre nel periodo natalizio, si svolgeva la leggendaria tombolata con il Vescovo, che ci offriva in premio agende vecchie di anni, piccoli oggetti e carabattole.
Ancora oggi alcuni confratelli (uno in particolare) ridono di me, ricordando la volta che eccezionalmente fui fortunato, e in premio il Vescovo mi diede un flaconcino di profumo. Quando gli feci osservare che la bottiglietta era vuota, mi disse: «Chiudila, chiudila, che esce l’aria della Riviera Ligure», suscitando una ilarità che ancora continua. Ci insegnava a stare allegri con nulla, senza essere sguaiati o disordinati.
Il terzo ricordo è più intenso, e lo offro con vera gratitudine per aver avuto come padre, nella formazione e nel sacerdozio, questo indimenticabile Sacerdos magnus.
Nell’estate del 1987, appena terminata la quinta elementare, partecipai al campo-scuola per i seminaristi e aspiranti a Bau Mela. La domenica si svolse la giornata per i genitori, e il Vescovo, nell’incontro prima della Messa, spiegava il percorso seminaristico fino all’ordinazione sacerdotale. Come conclusione, mise una mano sulla testa a me, che ero seduto davanti, e sorridendo mi disse: «Perciò, piccolo, ne riparleremo tra quattordici anni».
Dio ha voluto che quattordici anni dopo ne riparlassimo davvero, il Vescovo e io, nei giorni precedenti l’ordinazione presbiterale di don Battista Mura e mia. Non ricordava il fatto, ovviamente, ma il racconto del mio ricordo gli aveva dato molta gioia.
La mia gratitudine, adesso, raggiunge il cielo: Grazie, Eccellenza, per la sua paternità.
Comunicare
di Jetta Vedele.
Nella sala d’aspetto di un medico. Ieri.
Era animata la sala d’aspetto del medico quando entravo. Salutavo, mi sedevo e iniziavo a guardarmi intorno.
C’era una mamma col suo bambino in braccio, un bambino vispo, irrequieto che non stava un minuto fermo. Si divincolava, pestava i piedi, disturbava.
Allora la mamma, con tanta pazienza lo cullava, gli parlava e alla fine lo portava fuori a giocare.
Più avanti c’era un vecchietto un po’ malandato che, però, teneva banco.
Era un ottimo narratore, ciò che raccontava ti sembrava di vederlo. Raccontava di quando era in guerra, degli inverni nelle trincee piene di neve, del freddo, della paura prima di andare all’assalto.
Raccontava di quando andava in campagna col carro a buoi, dalla montagna fino alla pianura per portare i fichi d’India per i maiali che gli avrebbero dato provviste per tutto l’anno. Sembrava davvero di assistere a quelle scene tanto era colorito il suo racconto. E tutti ascoltavamo, grandi e bambini. I grandi ogni tanto intervenivano per aggiungere qualcosa, i piccoli per fare domande.
Il tempo passava e l’attesa diventava meno pesante.
Nella sala d’aspetto di un medico. Oggi.
Entro nella sala d’aspetto, saluto. Spesso nessuno risponde al mio saluto perché lo sguardo di piccoli e grandi non è rivolto a chi ha salutato, ma è fisso su quella invenzione che si chiama cellulare e che calamita tutta l’attenzione. Tutti a fissare quell’aggeggio, a toccarne convulsamente lo schermo, a ricevere messaggi e a mandarne, a fare indigestione di notizie vere e false.
Nessun vecchio racconta, nessuno parla.
C’è vicino a me una mamma con un bimbetto in braccio. Avrà uno o due anni.
Il bimbo scalcia, non vuole star fermo, piange e allora la mamma che fa? Apre la borsa, tira fuori un tablet enorme e lo mette in mano al bambino che quasi non ce la fa a reggerlo. E il bimbo, magicamente, si calma, si blocca, gli occhi fissi su quelle luci, su quelle immagini che scorrevano veloci sotto i suoi occhi.
Ricordo che nella sala d’aspetto di un nostro vecchio medico non c’erano giornali e riviste.
E io avevo chiesto perché non ci fossero. E lui mi aveva risposto che lo faceva di proposito, perché gli piaceva che la gente parlasse, comunicasse mentre aspettava, che gli piaceva quel brusio che denotava comunicazione.
Io non demonizzo le nuove tecnologie, ci mancherebbe, ma quando l’uso che se ne fa è sbagliato ed eccessivo, le tecnologie anziché favorire la comunicazione la penalizzano e la fanno morire.
Il cielo stellato sopra di me, da Monte Armidda
di Augusta Cabras.
L’osservatorio astronomico Ferdinando Caliumi, a 1150 metri di altitudine sul Monte Armidda, nel Comune di Gairo, è un’eccellenza ogliastrina che richiama visitatori da tutto il mondo
Il filosofo tedesco Kant, concluse la Critica della Ragion Pratica con queste parole: «Due cose riempiono l’animo di ammirazione e di reverenza sempre nuove e crescenti, quanto più spesso e più a lungo il pensiero vi si ferma su: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me».
Chissà cosa avrebbe pensato e scritto se avesse ammirato il cielo stellato dall’osservatorio astronomico di Monte Armidda in una sera d’estate o d’autunno inoltrato. Quanta ammirazione, quanto stupore! Lo stesso che provano le oltre duemila persone che ogni anno, curiose o appassionate, raggiungono, tornante dopo tornante, una postazione astronomica che permette di sentirsi a un passo dalle stelle. Polvere di stelle, sogni, meraviglia, fantasia, desideri.
Ed è da un desiderio che nasce questo ambizioso progetto: vedere più da vicino la cometa Halley che dopo 76 anni, nel 1986, sarebbe transitata sopra le nostre teste. Carlo Dessì e Gianluigi Deiana in una chiacchierata nel lontano 1985, esprimono questo desiderio e Carlo si chiede come si possa fare. Gianluigi gli spiega che con una certa abilità manuale e senza spendere troppo si possono costruire telescopi in grado di far vedere gli anelli di Saturno, le lune di Giove e tanto altro. Carlo si stupisce, coglie l’informazione e la trasforma in opportunità, in sogno da realizzare. Si mettono al lavoro, acquistano alcuni pezzi per la costruzione e dopo qualche mese il primo telescopio è pronto. Indicono un’assemblea pubblica per condividere questa iniziativa e coinvolgere nuovi appassionati di astronomia. All’inizio partecipano una decina di persone di Lanusei, concordano iniziative per fare osservazioni, individuano dei terreni da dove puntare il telescopio e poter avere una visuale priva di illuminazione a 360 gradi. L’entusiasmo è, non a caso, alle stelle, nonostante il piccolo telescopio non permetta condizioni di visione eccellenti. Tra loro si dicono: sarebbe bello costruirne uno più grande!
Con sincronicità, molti eventi e diverse persone si incontrano e questo sogno inizia a prendere forma. Come la scoperta, durante la lettura di una rivista specializzata, dell’esistenza vicino a Reggio Emilia dell’Associazione Reggiana di Astronomia e dell’osservatorio con relativo telescopio da loro auto costruito. «Ci ha colpito soprattutto il loro modo di porsi nei confronti della popolazione del territorio – racconta Carlo Dessì – e alla prima occasione siamo andati da loro. Abbiamo parlato dei nostri progetti e quando ci hanno fatto entrare in cupola la prima impressione, vedendo il telescopio, è stata di stupore e incredulità di fronte a un’opera così imponente: troppo grande per noi! Mai vista una cosa simile! Provammo scoraggiamento e ammirazione. Magari potevamo puntare a realizzare qualcosa di paragonabile, ma su scala ridotta. Chiedemmo se avevano qualche disegno del telescopio e hanno tirato fuori una grossa cartella con dettagliatissimi disegni meccanici riguardanti tutti i particolari della costruzione. Loro lodavano la qualità del nostro cielo, l’enorme valore del buio senza il quale anche il più potente telescopio sarebbe inutile. Ci siamo lasciati portandoci via i disegni dell’asse polare completo, del supporto e dei relativi cuscinetti conici».
Il percorso è lungo, ma tante forze lavorano per la costruzione dell’osservatorio astronomico che vedrà la luce a Monte Armidda. Un osservatorio che negli anni è diventato punto di riferimento di appassionati, scolaresche, curiosi, che di fronte alla maestosità del cielo, alla bellezza delle stelle e dei pianeti, sentono di appartenervi, provando stupore e meraviglia.
Studenti dell’Artistico sulla cresta delle Onde creative
di Anna Piras.
Il Festival dell’Arte, “Onde Creative”, svoltosi a Lanusei dal 29 al 31 maggio, ha dimostrato, ancora una volta, come l’arte sia un potente catalizzatore di crescita e un punto d’incontro fondamentale per l’intera comunità
Il tema – studiato e sviluppato tramite le espressioni artistiche affrontate nell’anno scolastico – è stato l’acqua, elemento primordiale e fonte di vita. Una tre giorni declinata su tre momenti fondamentali: onde che si generano, tenutasi presso i locali del liceo Artistico Mario Delitala di Lanusei; arte nel bosco, nello scenario del Bosco Seleni e onde che sgorgano, che ha interessato centro urbano e fontane di Lanusei. Un viaggio tra interventi di Land Art al Bosco Seleni e azioni di Public Art nel centro storico cittadino.
L’osservatore ha assunto il ruolo di spettatore, ma è stato al tempo stesso anche parte dell’opera. Il tutto tenendo come punto di riferimento il contesto naturalistico e urbano del comune di Lanusei. L’idea creativa legata al tema dell’acqua prende avvio dalla rilettura di un’antica leggenda locale, tramandata oralmente, che vede come protagonista una sacerdotessa dell’acqua – richiamo del noto bronzetto ritrovato presso il Bosco Seleni negli anni ’60 – e dalla reinterpretazione della tradizione orafa che, accostata all’acqua, suggerisce il concetto di bene prezioso.
«Abbiamo lavorato accanto a importanti artisti della Sardegna – raccontano gli alunni –: siamo riusciti non solo a creare, ma anche a presentare, comunicare e organizzare il lavoro con loro, e abbiamo arricchito il nostro bagaglio di competenze trasversali fondamentali per il nostro futuro, sia esso artistico che professionale».
Soddisfazione anche nelle parole di Rosario Agostaro, docente e referente del plesso: «Il ritorno del Festival dell’arte, organizzato da allievi e docenti del Liceo artistico, è stato l’epilogo di un lungo e laborioso lavoro durato un intero anno scolastico, con una straordinaria sinergia tra diversi indirizzi del polo Leonardo da Vinci, la Scuola Primaria, gli artisti, gli studenti dell’Accademia delle Belle Arti, l’Associazione Janas, l’attore professionista Silvano Vargiu, l’Associazione commercianti di Lanusei e l’amministrazione comunale. L’evento ha favorito un flusso continuo di emozioni, di scambi culturali e di crescita per l’intera comunità».
I più piccoli, sapientemente guidati in workshop appositamente pensati per loro, hanno avuto l’opportunità di avvicinarsi al mondo dell’arte in modo giocoso e stimolante, creando opere che hanno arricchito le esposizioni con la loro potente, creatività. Una partecipazione che ha sottolineato l’importanza vitale di coltivare la passione per l’arte fin dalla tenera età, nutrendo curiosità e immaginazione.
«Onde Creative ha dimostrato inequivocabilmente come l’arte possa fungere da potente catalizzatore per la crescita e il benessere dell’intera comunità. L’evento è stato un vero e proprio mix di emozioni, di scambi culturali e di crescita per tutti i partecipanti e i visitatori – ha dichiarato Gianleonardo Viglino che ha diretto il team dei docenti impegnati nelle attività –. L’atmosfera che si respirava per le strade e negli spazi espositivi di Lanusei era palpabile: un’energia vibrante fatta di curiosità, ammirazione e un profondo senso di orgoglio collettivo. I visitatori si muovevano tra le installazioni con sguardi attenti, e spesso, le opere diventavano spunto per conversazioni inaspettate, creando un vivace e autentico dialogo tra le persone. Il fruscio delle foglie nel bosco Seleni, lo scroscio delle fontane che accompagnavano le creazioni artistiche e l’eco delle voci nelle aule hanno creato un’esperienza immersiva e multisensoriale, sottolineando la presenza vitale dell’acqua in ogni contesto».









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