Iniziative Diocesane

Dal disagio all’integrazione. Pronto il nuovo progetto
di Sergio Mascia.
Un grande progetto della diocesi che mette al centro i ragazzi, in modo particolare quelli che vivono situazioni di difficoltà e disagio, offrendo loro occasione di incontro, crescita e condivisione con i propri coetanei, con educatori, con le famiglie, nei nuovi spazi dell’Oratorio interparrocchiale diocesano.
Ragazzi. Di più. Ragazzi che hanno bisogno di amore, sostegno, gioia e fantasia. Soprattutto se vivono situazione particolari. «I giovani desiderano essere ascoltati – si legge nel documento finale del sinodo dei Vescovi sui giovani – sono chiamati a compiere continuamente scelte che orientano la loro esistenza; esprimono il desiderio di essere ascoltati, riconosciuti, accompagnati. Molti sperimentano come la loro voce non sia ritenuta interessante e utile in ambito sociale ed ecclesiale». Invece lo è, eccome e la diocesi di Lanusei l’ha raccolta.
Risultato: Dal disagio all’integrazione. È molto più che un nome di un progetto. È una sfida. A breve partiranno, infatti, le iniziative con i ragazzi tra i 14 e i 18 anni che vorranno partecipare: musicoterapia, sport, supporto psicologico. Un progetto ambizioso che guarda lontano, a cui ogni parrocchia può prendere parte e che prevede due percorsi.
Il primo ha come destinatari ragazzi ai quali si vogliono garantire risposte ai bisogni emergenti e occasioni educative di crescita quali: attività sportive e musicali, al fine di sviluppare la dimensione psico-fisica-spirituale; laboratori emotivi e cognitivi, per far emergere quanto di positivo c’è in se stessi e negli altri; il sostegno economico, qualora sia necessario, ma anche la possibilità di partecipare a eventi culturali (concerti, cinema, teatro, visite ai musei, eventi sportivi); il sostegno psicologico. Un percorso che prevede anche il coinvolgimento delle famiglie dei ragazzi in attività diocesane e incontri specifici relativi al progetto. Anche a loro è dedicato uno spazio d’ascolto che possa accogliere le loro difficoltà e possa accompagnarle nella loro elaborazione.
Il secondo è dedicato alla formazione dei futuri educatori oratoriani e dei direttori dei cori parrocchiali, in collaborazione con professionisti del settore. Diversi gli obiettivi specifici che sottendono questa azione: la riapertura degli oratori parrocchiali, al fine di offrire stabilmente occasioni di incontro, confronto, azione e crescita delle comunità ecclesiali. Fa riflettere il fatto che, a oggi, nella diocesi, gli oratori attivi siano solamente 3 su 34 parrocchie!
Altro obiettivo è quello della formazione dei direttori di cori parrocchiali al fine di ancorare in modo più chiaro e maturo la dimensione musicale e del canto alla preghiera e alla liturgia.
Attività che vogliono essere durature nel tempo e sono finalizzate alla creazione di una rete costante di collaborazione tra gli oratori interparrocchiali e le singole parrocchie.
Un progetto di tale spessore non può avere gambe senza il necessario coinvolgimento ecclesiale. La comunità diocesana, su invito del vescovo Antonello, sta riflettendo sul tema degli oratori dal 2017. Si è messa in ascolto. Ha investito risorse economiche e umane per arrivare a essere presenza significativa tra i giovani. Il primo, grande risultato nel dicembre del 2019, con l’inaugurazione del Centro familiare Amoris laetitia e dell’Oratorio interparrocchiale. Scelta profetica! Puntare su famiglia e giovani, farli incontrare in uno stesso luogo!
Ora la diocesi tutta attende con fiducia questo nuovo passo. Una nuova sfida da raccogliere e da vincere. Per amore. Con amore.

Beppe Severgnini e il vescovo Antonello. Due giornalisti con lo stile dell’ironia
a cura di Augusta Cabras.
Giornalista, editorialista e vicedirettore del Corriere della Sera, dov’è arrivato nel 1995. Per il quotidiano di via Solferino ha creato il blog Italians (nel 1998), tiene l’omonima rubrica (dal 2001) e ha diretto il settimanale 7. Dal 2013 è opinion writer per The New York Times. È stato corrispondente in Italia per The Economist. Ha lavorato per il Giornale di Indro Montanelli e per La Voce. Nel 2004, a Bruxelles, è stato votato European Journalist of the Year. È autore di 18 libri e ama in maniera viscerale la Sardegna. Alla Pastorale del Turismo lo ha intervistato il vescovo Antonello
Lei ha iniziato il suo lavoro a 27 anni nella redazione de Il Giornale diretto da Indro Montanelli. Cosa direbbe Montanelli se potesse scrivere, sulla realtà di oggi?
Direbbe che noi italiani siamo più seri di quello che vogliamo ammettere, come se essere seri ci rovinasse la reputazione.
Da 25 anni è al Corriere della Sera di cui è editorialista e vicedirettore. Ha diretto il settimanale Sette e la cosa di cui va particolarmente fiero è la costituzione di una redazione di giovani.
Io ho detto che per fare un giornale nuovo occorrevano forze fresche ed energie diverse. Non puoi prendere sessantenni per proporre una cosa nuova. A una certa età porti una maggiore capacità di sintesi, sicuramente più calma, ma non c’è dubbio che un ragazzo o una ragazza ventenne, un trentenne porta un modo di vedere le cose in modo nuovo che non vuol dire usare bene i social. In una redazione, in un ufficio, in un reparto, un ventenne, un trentenne e un sessantenne sono degli alleati naturali, perché ognuno mette qualcosa di diverso. Se in un posto di lavoro sono tutti uguali si parte già con il piede sbagliato. Io ho detto: ho l’esperienza, vorrei avere con me i più bravi studenti e studentesse della scuola di giornalismo. Ora sono state assunte, lavorano in quattro redazioni diverse e sono bravissime. Credo di non meritare particolari lodi per questo. Credo sia stupefacente il contrario. Se arrivato alla seconda parte della vita uno non capisce che è arrivato il momento di iniziare a restituire non è un egoista, è tecnicamente un cretino.
La famiglia per un giornalista che cosa è? Considerato che lei e sua moglie festeggiate 34 anni di matrimonio…
La serenità in una famiglia è fondamentale per ogni persona, qualunque professione vanga svolta. Il nostro è un mestiere in cui le soddisfazioni, le delusioni, le competizioni, l’equilibrio tra la vanità buona, cioè quella che ti consente di andare avanti nonostante tutto, e la vanità cattiva, che pone te e il tuo successo prima di tutto il resto, sono presenti costantemente. La moglie e un figlio sono quelli che ti dicono la verità; non lo fanno per adularti, compiacerti o consolarti. Sono loro a darmi i buoni consigli.
La sensazione che io ho quando leggo Severgnini è una sensazione di profondità e di leggerezza, di ironia anche e di autoironia. E non è facile trovare commentatori così. Le chiedo se questa sia una scelta ben precisa e se manca oggi questa capacità di ironia e autoironia che ci aiuta ad affrontare la realtà.
Manca ai giornalista e ai commentatori, non alle persone. Quasi mai è stata equivocata la mia ironia o sono stato frainteso, anche quando scrivo di altri paesi, di altri popoli. C’è gente che appena tocca questi argomenti si mette nei pasticci. Chi legge e chi ascolta di solito ha gli strumenti e possiede una specie di misterioso radar e capisce il cuore che c’è dietro le cose che dici. Io ho scherzato, ho criticato gli inglesi, gli americani: non ho mai avuto problemi, ma sono popoli che conosco molto bene. Accetti le critichi se intuisci che dietro c’è amore, c’è affetto. Se tu non vuoi bene alla gente, i lettori se ne accorgono. A me questo viene spontaneo, a me piace la gente, mi piace confrontarmi, discutere ecc. È importante voler bene alle persone e ai temi che tratti. L’ironia poi… è la capacità di vedere le imperfezioni del mondo e sorridere. Significa evitare di trasformare in tragedia ciò che tragedia non è. È un modo per alleggerire, che non significa essere superficiali. L’ironia è un modo di spiegarsi meglio perché l’interlocutore abbassa le difese, che sono la cautela, lo scetticismo, la diffidenza.
Lei ha scritto che questa pandemia è una macchina della verità.
Certo. La pandemia, come ogni grande crisi, rivela la natura vera delle nazioni, delle regioni, delle amministrazioni, delle persone, delle relazioni. E noi italiani siamo stati bravi. Davanti al pericolo abbiamo avuto paura: non si è trattato di codardia, ma di intelligenza.
Ho letto il suo articolo sull’apertura delle discoteche. Le ha definite macchine gioiose di contagio…
Nelle discoteche per parlarsi bisogna urlarsi in faccia sennò non si sente. Urlarsi in faccia, in questi tempi, non è una buona idea. Ballare a distanza di due metri è impossibile, non pigliamoci in giro! Se i modi di contagio sono questi, non è stata una bella idea riaprirle…
Parto dal titolo del suo libro, La vita è un viaggio. Un giornalista che viaggia così tanto cosa scriverebbe dei suoi viaggi interiori?
Chi scrive, scrive sempre per qualcuno che deve leggere. Se scrive solo per se stesso ha fallito. Io scrivo per me, ma scrivo anche per gli altri. Però sono cauto nel raccontare, ad esempio, della mia fede. Io e la mia famiglia siamo cattolici, credenti e praticanti, ma perché non lo sbandiero? Perché credo di essere più utile come laico. Purtroppo troppi in Italia, nel mondo della comunicazione, sono partiti utilizzando la fede come una bandiera e sono finiti per usarla come una mazza. E questo non va bene.

Camineras. Pastori di sguardi
di Vincenzo Ligios.
Il progetto Camineras, prodotto dalle Diocesi di Nuoro e Lanusei per la Pastorale del Turismo 2020, è stato un treno che, nel periodo buio appena passato, in poco meno di due mesi di tempo è stato in grado di portare in stazione sei stupendi cortometraggi realizzati da sette coraggiosi autori (una delle opere, infatti, è un lavoro tutto al femminile firmato a quattro mani). Il filo conduttore della manifestazione – Tu vali molto più di quanto produci, proposto dall’ideatore Mons. Antonello Mura – è stato sviluppato da ciascun regista secondo la propria personale cifra stilistica, e, cosa forse più unica che rara, attraversando l’intero spettro dei linguaggi del documentarismo moderno, dal partecipativo all’observational, dal reportage classico al documentario riflessivo, dal poetico allo sperimentale d’avanguardia.
In tempi di Covid e di restrizioni agli spostamenti, il progetto Camineras – che significa sentiero tracciato, percorso – vuole accompagnare i suoi spettatori a incontrare la Sardegna contemporanea, non mediata dai linguaggi un po’ abusati che si vedono nei canali televisivi tradizionali. L’isola diventa lo scenario per raccontare il tempo che viviamo. Agli autori è stata data la possibilità di farlo con la propria voce, con il proprio linguaggio, con il proprio passo, con il proprio sguardo, e loro in cambio ci hanno restituito dei film che entusiasmano, fanno riflettere, emozionano e fanno meditare.
Concludo con un aneddoto che fa sorridere. Durante la realizzazione del progetto abbiamo creato una chat che è stata un luogo, oltre che di coordinamento, anche di incontro, di scontro, di supporto e di incoraggiamento, in tempi in cui gli spostamenti erano ancora limitati. Un po’ per scherzo, un po’ per gioco, l’abbiamo chiamata “Pastori di sguardi”: da una parte per giocare con la sardità dei registi (un’autrice in realtà viene da Venezia, ma è sarda perlomeno di adozione), dall’altra per richiamare il titolo della manifestazione, la Pastorale del turismo; ma soprattutto – e più seriamente – per sottolineare il ruolo che spesso ha il regista nell’indirizzare lo sguardo dello spettatore. Ecco, questi sette pastori hanno guidato con grande abilità gli sguardi dei numerosissimi spettatori che anche quest’anno hanno affollato la Pastorale del Turismo.
L’augurio che posso fare è che questi film rimangano nella mente, negli occhi, ma soprattutto nel cuore di chi li ha visti, travalicando le storie che raccontano come solo il vero cinema, a volte, è in grado di fare.
Chiara Porcheddu, con il suo corto “Filos e Tramas”, indaga la realtà del baco da seta di Maria Corda, ultima depositaria di una tradizione secolare di allevamento e produzione unica in Europa. Andrea Mura e il suo artista “Sospeso”, che l’autore segue per le vie di Nuoro, come Alice nella Città, ci fanno conoscere la filosofia e gli aneddoti di Graziano Salerno, artista bohémien. Chiara Andrich nella cartiera abbandonata di Arbatax trova le “Tracce” del passare del tempo, del suo dispiegarsi nel continuo rapporto tra natura e uomo. Vittoria Soddu e Sabrina Melis nel loro “Duas manniatas, unu mannùcru” indagano il recente ritorno alla coltivazione dei cereali in Barbagia, intrecciando la tradizione di su filindeu alla storia attuale della cooperativa Mulinu. Giampiero Bazzu, con “Mi prendo cura di te”, racconta il mondo delle badanti in Ogliastra, donne che arrivano da lontano e lasciano tutto alle spalle per occuparsi degli anziani, nella terra famosa per i suoi centenari. Infine Edoardo Matacena, in compagnia di suo figlio Elia, propone una personale riflessione ecologista legata alla raccolta della plastica con il suo “Io, la plastica e il 2050”.

A scuola di consapevolezza digitale
di Valentina Pani.
Appuntamento tradizionale per tanti maturandi ogliastrini che raccolgono l’invito della diocesi a mettersi in gioco e insieme al giornalista e scrittore Luigi Carletti tracciano un bel percorso multimediale
Giovani tra rischi, incognite e opportunità. È ormai la sesta edizione dell’iniziativa portata avanti dalla diocesi che ha come scopo quello di offrire ai giovani maturandi una maggiore consapevolezza digitale. Quattordici ragazzi vi hanno preso parte, provenienti da diverse scuole: I.T.C., Agrario, I.T.I., Liceo Scientifico di Tortolì, Liceo Classico e Scientifico di Lanusei.
Nella white room del seminario, tutti uniti per uno stesso fine, pronti a comprendere e decifrare l’attuale transizione digitale, sconfiggere quell’ansia di inadeguatezza che può tormentare i giovani, ma soprattutto scoprire e prendere atto dei rischi e delle opportunità del cambiamento digitale.
«È stata una bellissima esperienza – racconta Cristian –: quattro giornate veramente interessanti guidate dal giornalista e scrittore Luigi Carletti». «Oltre a essere estremamente competente – aggiunge Giacomo – ha saputo instradarci, nonostante i tempi ridotti, a lavorare come un’autentica redazione giornalistica».
Una redazione. Con i ragazzi nei panni di giornalisti. «Ognuno di noi ricopriva un ruolo essenziale – spiega Roberta –: io mi occupavo della parte social, mentre i miei colleghi avevano i ruoli del fotografo e dello scrittore». Tre redazioni pronte a lavorare per un unico scopo: la realizzazione di un libro con interviste a personaggi locali e nazionali. Tema: la rivoluzione digitale e i mutamenti che essa sta creando nella nostra società. «Una cosa che mi ha estremamente colpito – sottolinea Giacomo – è quanto le persone che abbiamo avuto modo di intervistare fossero professionisti affermati». Il senso del libro è quello di una conoscenza mirata da parte dei suoi autori – i giovani, appunto – ma anche di un approfondimento di alcuni significativi temi di attualità. E chi meglio di Renato Soru, Martina Gatti, Fabrizio Peronacci, Giulio Anticoli, Sebastiano Congiu, Giuseppe Tambone, Stefano Tamburini, Gianluigi Ciacci e Edoardo Fedele potevano accompagnare i ragazzi nella conoscenza di questa rivoluzione digitale per cambiare il mondo?
«Tutti avevamo l’opportunità di porre loro tante domande – spiega Graziella – mentre ogni redazione aveva una specifica intervista da trascrivere, che poi diventerà un capitolo del nostro libro».
Per dirla con Papa Francesco: «La Rete digitale può essere un luogo ricco di umanità, non una rete di fili, ma di persone… Internet può offrire maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti, e questa è una cosa buona, è un dono di Dio». È questo il messaggio che anche la nostra diocesi vuole lanciare ai giovani, formarli, accompagnarli nella scoperta delle grandi possibilità che il mondo digitale offre, ma al tempo stesso mettendoli in guardia dai suoi lati oscuri. «È stata soprattutto un’esperienza utile – afferma Chiara – grazie alla quale ho avuto modo di apprendere nuove competenze in campo giornalistico e credo che tutto questo possa essermi utile in futuro, specie in vista dell’esame di maturità». E Ilenia aggiunge: «Consiglierei a ogni maturando di partecipare a questo corso perché oltre a essere istruttivo e interessante, è un dono che la diocesi ci fa, un ottimo modo per conoscerla e per socializzare».

“Stupefatto”. I pericoli della droga
di Fabiana Carta.
Nell’aula magna dell’Istituto di Istruzione Superiore ITI di Tortolì cala il silenzio. Unico elemento di scena: un leggio su sfondo nero. L’attore Fabrizio De Giovanni, allievo del Premio Nobel Dario Fo e Franca Rame, si colloca al centro del palco e inizia il racconto. Solo voce, qualche immagine e musica. Emozione pura, che sfocia spesso in commozione.
Lo spettacolo Stupefatto, che segue il filone del teatro civile, ci presenta la storia di Enrico Comi e del suo gruppo di amici, di come si siano avvicinati al mondo della droga, in un crescendo di avvenimenti e dialoghi interiori che hanno tenuto i ragazzi con gli occhi sbarrati. Poche, angoscianti immagini in bianco e nero, luoghi isolati, una pineta, un motorino, una piazza, un letto d’ospedale. Se lo fanno tutti posso farlo anch’io. La curiosità di provare qualcosa che non si conosce ma che affascina, gli amici che sembrano aver superato per magia ogni problema grazie a quella sostanza e un pensiero che rimbomba nella testa: vuoi essere felice anche tu o vuoi tenere il muso? Cercare una nuova dimensione, un rifugio. Ecco che si entra in quel vortice che credi di poter fermare, come se fosse una fermata del tram, scusate voglio scendere.
La storia vera di Enrico dimostra in modo semplice e diretto, senza demonizzazioni, che la droga è semplicemente inutile, è un circolo vizioso di dolore e solitudine. La droga è furba, ti acchiappa dentro regalandoti brevi momenti di apparente piacere, poi ti cancella le emozioni. Ad un certo punto mi sono guardato allo specchio e mi sono visto davvero.
Diocesi di Lanusei, Caritas e Progetto Policoro hanno fortemente creduto nella compagnia Itineraria Teatro, che vanta più di 85 mila studenti raggiunti e oltre 160 repliche in quattro anni, la vincita del Premio Nazionale Enriquez (miglior attore, miglior drammaturgia, miglior spettacolo 2016) e la firma di un Protocollo d’intesa con il Miur e la Banda degli Onesti per il contrasto alle dipendenze attraverso il teatro civile.
Uno spunto di riflessione, una scossa, per i ragazzi delle Industriali, Ragioneria, Classico e Scientifico di Tortolì, perché come diceva Bertolt Brecht: «Il teatro è il mezzo più diretto per comunicare un’idea o un concetto». Raggiungere i ragazzi e coinvolgerli in argomenti come la droga non è cosa semplice, si rischia sempre di creare l’effetto contrario, l’effetto ribellione. La storia di Enrico arriva dritta e sincera, senza fronzoli, e ti porta dentro i suoi abissi.
Alla fine dello spettacolo, quando i ragazzi scoprono che il vero protagonista della storia era seduto fra loro, lo stupore è generale. Enrico sale sul palco, davanti ai nostri ragazzi, e saluta tutti lasciando una speranza: «Il senso di responsabilità mi ha salvato. Ho trovato la forza di rialzarmi grazie a mia moglie e i miei figli». Una speranza che lascia in bocca un senso di amaro, quando alla fine della storia scopriamo che nove dei suoi amici sono morti. No, non smetto quando voglio.

Nuova libreria Ogliastra: la cultura al primo posto
di Augusta Cabras.
Il rinnovamento della libreria diocesana segna un momento importante per la vita diocesana. Imprime un segno concreto e forte della missione della Chiesa tra gli uomini nutrendoli anche di cultura
Un altro tassello importante compone il nuovo Centro familiare e l’oratorio interparrocchiale Amoris Laetitia. Si tratta della libreria che a breve aprirà le sue porte costituendosi come un centro di promozione culturale a servizio della comunità; un soggetto attivo e significativo nel territorio diocesano e per le sue comunità, cuore nevralgico di attività pastorali e culturali.
Non un’esposizione libraria qualunque, quindi, non un semplice supermercato del libro, ma un luogo dove l’attenzione e l’ascolto per chi vi entra viene prima di tutto, dove è possibile rispondere alle richieste, orientare i gusti, assecondarli, aiutarli a maturare. Un luogo stabile per fare cultura e promuovere le novità editoriali che vengono dal mondo ecclesiale e non solo, che ha come obiettivo principale quello della crescita umana, culturale e spirituale. Luogo di incontro, confronto, scambio e socializzazione in un tempo in cui la tentazione di rimanere chiusi tra la pareti della propria casa per vivere piazze e spazi virtuali è altissima.
La libreria è a disposizione di tutti e in particolare a disposizione di chi, per esigenze di studio e pastorale, necessita di approfondire su testi vecchi e nuovi. Punto di riferimento per i parroci, gli insegnanti, i catechisti e gli educatori, ha il compito di instaurare relazioni dentro e fuori il mondo ecclesiale e di intessere una proficua collaborazione con gli uffici pastorali.
La nuova libreria nasce sulla scorta dell’esperienza maturata in oltre quarant’anni di attività. Fu aperta come Cartolibreria nei primi anni Settanta, su desiderio, impegno e incoraggiamento del vescovo Salvatore Delogu che aveva notato, all’arrivo a Lanusei, dell’assenza di una libreria. Venne coinvolto, per dare concretezza al progetto, Mons. Antonio Demurtas, parroco della Cattedrale, che dopo attente ricerche considerò idonei gli ambienti di proprietà di Maria Puddu (nipote del Canonico Puddu) che si aprivano sulla trafficata via Umberto al civico 22 e nei pressi della Cattedrale. La prima responsabile fu Assunta Tegas, a cui subentrò come coordinatrice Adriana Piroddi mentre la libreria stessa, dopo la morte di Maria, venne trasferita nei locali di proprietà della parrocchia Cattedrale, con ingresso nel piano della strada al civico 2 della via Umberto. L’esposizione dei libri poteva contare su un piccolo vano di ingresso e uno un po’ più ampio.
Il rinnovamento della libreria diocesana, la cui gestione è stata affidata a due giovani donne ogliastrine, segna un momento importante per la vita diocesana. Imprime un segno concreto e forte della missione della Chiesa tra gli uomini nutrendoli anche di cultura: «Sempre la cultura nasce dal mettersi insieme – sottolinea il vescovo Antonello nella sua lettera pastorale “Sul carro con Filippo” –, dal senso di comunità e comunione, specie quando oggi, grazie all’innovazione digitale, possono emergere molte opportunità. Non è sbagliato dire che la tanto auspicata “conversione pastorale” passa anche da una “conversione culturale”. Rendendo le nostre comunità consapevoli che i progetti di annuncio devono raggiungere e interessare tutti: una sensibilizzazione che è chiamata a confrontarsi con tutte le opzioni culturali presenti nel territorio e nella società più ampia, e che può portare a individuare progetti condivisi anche con altre realtà culturali e sociali».