In breve:

L’elogio del talento

matteo-porru

a cura di Augusta Cabras.

Giovanissimo, ha quasi 23 anni, Matteo Porru è autore di romanzi, saggi e racconti. Esordisce in libreria a 16 anni, dopo numerosi racconti pubblicati sul web, con il libro The mission. Scrive per il cinema e per il teatro. È stato inserito da D di Repubblica fra i 25 under 25 più promettenti al mondo. Nel 2019, mentre frequenta l’ultimo anno del Liceo Classico Dettori di Cagliari, vince la sezione Giovani del Premio Campiello con Talismani. La giuria lo premia per un “racconto compatto che ha il merito di spingere lo sguardo oltre i confini della propria anima e delle proprie vicende personali, tratteggiando i rapporti di una madre afgana con il suo giovane figlio”.

Quando e dove nasce la tua passione (o vocazione) per la scrittura?

Io ho iniziato a scrivere perché volevo essere onnipotente. Perché, dopo una vita in cui ero stato controllato, volevo essere io a controllare, a decidere i destini del mondo, a capacitarmi delle cose che accadono. Soprattutto a me. È stata la mia salvezza riuscire a rifugiarmi e a nascondermi tra le parole. La data di inizio, come tutte le avventure, non è indicata, forse non è mai esistita davvero. Ma so che il bisogno di urlare, ed essere ascoltato, è nato quando ho raggiunto un esubero di dolore e di passività.

A 18 anni ricevi uno dei premi più prestigiosi per i giovani scrittori. Cosa ha rappresentato quel momento per te?

La più grande attestazione di un talento. Mi sorprese la vittoria, ma ancora di più la reazione e la conseguenza del conseguimento di quel titolo: tanti lettori, tante occasioni e opportunità che altrimenti non so se avrei avuto. Non credo molto alla frase “Si chiude una porta, si apre un portone”, perché le porte si aprono e si chiudono e i portoni pure, ma quello è stato il mio grande varco d’accesso alla professione. Grazie al Campiello Giovani sono passato dalla piccola editoria alla grande editoria, a quel premio devo molta più felicità di quella che ho mostrato al mondo.

Cosa è l’ispirazione?

Una cosa che ha inventato chi non è mai riuscito a scrivere, o chi pensa che ci sia una sorta di benedizione celeste dietro un’opera di finzione. L’ispirazione non esiste: esiste l’osservazione, l’empatia, la capacità di notare cose piccole o trascurabili. La storia non nasce in grassetto. Ogni storia nasce in minuscolo.

Puoi raccontarci il tuo impegno con i ragazzi e le ragazze che vivono una vita difficile?

I ragazzi non sono difficili. Quelli difficili sono gli adulti. I ragazzi sono infinitamente migliori, più forti, più audaci, più veri della stragrande maggioranza di quelli che si reputano tali, non facile rispondere agli affondi dopo essere stati pestati dalla vita; non è facile se la società continua, per qualche meccanismo malato che continuo a non capire, a demonizzarli. Ogni ragazzo che salviamo è un atto di fede verso il futuro: questa è l’unica cosa che conta davvero.

Cosa ti ha portato lì? Cosa ti stupisce quando sei con loro? Cosa hai imparato e impari da loro che non avevi previsto?

Io lavoro con loro da parecchio tempo. Mi stupisce la loro capacità di affrontare le cose. Per essere un eroe bisogna affrontare il mostro. Conosco, vedo ragazzi e ragazze che combattono con dei mostri che la gran parte di noi teme anche solo di poter pensare. Sono mostri che produciamo noi come società, perché la stragrande maggioranza delle cose che accade a questi ragazzi sono la diretta conseguenza dei cambiamenti sociali degli ultimi vent’anni e delle degenerazioni. È un processo lunghissimo per loro. Ma lo affrontano con un coraggio e una dignità che fa invidia a tanti e dovrebbe far riflettere tutti. Io ho fatto esperienza nelle carceri minorili, nelle carceri per adulti, nelle comunità e io in tutta serenità inviterei le persone a visitare un carcere, una comunità. Serve in Italia un’educazione sociale. Dai ragazzi e dalle ragazze delle comunità ho imparato più di quanto loro abbiano imparato da me. Cosa non avevo previsto? Che mi sarei follemente innamorato di loro.

La scrittura può essere cura?

Non credo. La scrittura è una delle migliori terapie mai scoperte. La possibilità di rielaborare, di stravolgere, di annientare, di catalizzare, di stare in silenzio davanti a un foglio riesce, in qualche modo, a mantenerti vivo e sincero. Penso sarei imploso senza questa valvola di sfogo. E invece, per dirla come Vasco, io sono ancora qua. Eh già.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>