In breve:

Breve elogio dell’avere

cristallo

di Tonino Loddo

Chissà quante volte ce lo siamo sentiti ripetere con tono che non ammetteva repliche: “L’importante è essere, non avere”.E tutti giù a meditare, a sentirci terribilmente in colpa, quasi sedotti da quella contrapposizione drastica stabilita tra cielo e terra, tra divino e umano, tra definitivo e provvisorio, tra esigenze del Regno ed esigenze dell’esistenza quotidiana. Come se l’uomo potesse essere senza avere. Come se non gli fosse necessario – per essere interamente uomo – avere amore, cibo, casa, vestiti, strumenti per fuggire la malattia, un lavoro… Come se egli dovesse cercare la propria umanità solo nella sua anima, radicalmente separato da tutto ciò che lo circonda. Nel passato, infatti, si è spesso troppo insistito sulla denuncia del carattere illusorio dei beni terreni, avvilendo sistematicamente tutto quanto l’esperienza immediata indicava come beni ed esaltando, al contrario, tutto quanto da essi prescindeva.
Così facendo, abbiamo dimenticato la definizione che Pio X nel suo Catechismo assume dalla dottrina tomistica, che vuole l’uomo una sintesi sublime di anima e di corpo, cioè anima che si esprime nel corpo e corpo informato da uno spirito immortale. Essere senza avere, quindi, significherebbe essere angeli, mentre avere senza essere significherebbe essere bestie. Avere, perciò, ci è necessario per essere uomini e la giusta misura vuole che tale avere sia proporzionato al nostro essere, perché la nostra umanità è tutta perfettamente contenuta in tale sintesi. Ed è nella continua e faticosa ricerca di questo equilibrio che l’uomo costruisce la propria umanità; a differenza del maiale, infatti, che non si pone la domanda di cosa sia un maiale o se continuare ad essere un maiale, egli può chiedersi cosa sia l’umano e decidere, comunque, di vivere come un maiale.
Se il nostro essere, dunque, è profondamente e irrimediabilmente segnato dall’avere, questo avere deve a sua volta trovarsi propizio al nostro essere. Ne consegue che nella persona umana il corpo non è una parte o un settore di essa, ma è espressione (segno) di tutto l’uomo che solo attraverso di esso ha la possibilità di essere e di esistere. L’avere diventa, così, una sorta di ostensorio dell’essere. L’io-spirituale dell’uomo è, allora, un io-spirituale in un corpo e il suo essere corpo coincide con il suo essere spirituale. Appare, perciò, cinico e non cristiano l’atteggiamento di colui che dinanzi alla malattia, alla fame, all’ingiustizia o agli altri tanti mali che affliggono la vita presente, si accontenta di consolare o di consolarsi, nulla facendo per sconfiggerli, con il ragionamento che, tanto, non è nelle cose umane che consiste la vera felicità dell’uomo. Al contrario, è proprio sperimentando ed amando i beni umani che l’uomo impara a considerare la vita come una cosa buona ed una benedizione di Dio. Bene è l’amore tra un uomo e una donna, tra i genitori e i figli; bene è la creatività del lavoro e dell’espressione artistica; bene sono il gioco e la fatica della scoperta della verità, bene sono la solidarietà sociale e l’impegno nella politica per dare al mondo un volto più umano …
Solo quando la modalità esistenziale dell’avere predomina, l’uomo perde la sua umanità; quando, cioè scambia quei beni per gli unici possibili. Perché essi sono beni non ultimi, in quanto incapaci di dare risposte definitive alle sue inquietudini. Sono beni penultimi, come penultimo è necessariamente tutto ciò che ha una storia. Ma il loro essere penultimi non ne diminuisce minimamente l’essere immagine del Dio che li ha voluti e creati. Ecco perché – come dice il Catechismo dei giovani – “chi non fosse capace di amare la vita, non sarebbe neppure capace di sperare in Dio, perché Dio si fa conoscere a noi attraverso la vita, che è suo dono. Se non si è capaci di scorgere nei beni penultimi il segno e il pegno di quelli ultimi, non si è neppure capaci di amare

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