In breve:

Il tempo e il sabato

TRAMONTO

di Tonino Loddo.
Trovare nella storia del pensiero umano una definizione unanime del tempo è impossibile. Un po’ ci aiuta a capirlo il saggio Qoèlet quando avverte che c’è un tempo per tutto: per nascere e
per morire, per piantare e per sradicare,per abbattere e per edificare, per piangere e per ridere, per gemere e per ballare, per tacere e per parlare, per amare e per odiare… (cfr. Qo 3,2-9): «Per tutto c’è un momento adatto e un tempo per ogni attività sotto il cielo»(Qo 3,1). In tal modo, Qoèlet oltre a insegnarci che ci è donato un tempo per tutto, ci insegna anche che all’interno del supremo orizzonte della vita umana nessun termine si presenta mai contemporaneamente al suo opposto, ma tutti implicano uno scarto connesso a un aut aut insuperabile.
Analogamente, c’è la settimana per lavorare e c’è il sabato per riposare, fermarsi, riflettere, lasciar decantare… Un sabato che Dio stesso «benedice e rende sacro» (Gen 2,3) quando si regala una pausa per gustare le cose che ha appena creato, e così benedicendolo e consacrandolo ci comanda (Deut 5,12) di fare altrettanto, di ritagliarci – cioè – spazi per ripensare tutte quelle cose che con l’andare dei giorni si sono accumulate negli angoli del cuore. Un comando che vale sia nel tempo breve (settimana) che nel tempo lungo (quello della vita). Il sabato diviene così quella parte del tempo che ci aiuta a riprenderci dalla fatica del vivere, riempiendola nuovamente di senso.
Ecco perché, «quando fiorisce il mandorlo» (Qo 12,7), bisogna consapevolmente abbandonare ogni tentazione di giovanilismo e fermarsi, lasciando spazio alle esultanze ancora capaci di trasformare in bellezza le fiacchezze della vita, consentendo alle forze più recondite del nostro essere, abitualmente soffocate dalla vita ordinaria, di manifestarsi; energie troppo significative per l’uggiosa ferialità o, forse, persino invise ad essa.
Il comando al rispetto di un sabato fatto per l’uomo (Mc 2,27) sta tutto qui: poiché non siamo noi i padroni del tempo, dobbiamo stare bene attenti a non diventarne schiavi. Ergiamo, perciò, degli steccati attorno ai nostri tempi di riposo, difendiamoli con forza, facciamone un’area protetta, rendiamoli esempi di tempo liberato. A me piace pensare che sia questo il messaggio segreto di Qoèlet.
Ed è per questo che, dopo averlo ringraziato per avermi concesso di vivere quest’esperienza magnifica, ho chiesto al vescovo Antonello di esonerarmi dalla direzione di questo bellissimo giornale e dalle attività ad essa connesse. Ed in lui ringrazio tutti coloro che, collaborando con entusiasmo, mi sono sempre stati vicini e l’hanno resa possibile, gli instancabili responsabili parrocchiali e i tantissimi lettori che continuamente mi hanno fatto sentire il loro affetto.

La gratitudine che apre al futuro.
«Non pensavo che fosse in realtà arrivato il tempo, certamente non lo speravo. Un patto non scritto con Tonino Loddo prevedeva che dopo qualche anno la sua direzione al giornale terminasse. Intanto l’avevo invitato a lavorare con entusiasmo e competenza al rinnovo di una testata che voleva continuare ad essere, con un’altra veste grafica e con nuovi contenuti, un giornale del territorio, della gente e della nostra Chiesa locale. L’ha fatto con passione e dedizione personale non sempre immaginabile all’esterno, in dialogo con il sottoscritto e la redazione, offrendo costantemente un prodotto curato e quindi di qualità, fino a farne un mensile apprezzato non solo nella nostra diocesi. Lo ringrazio a nome della nostra Chiesa e di tutti i lettori, e personalmente gli rinnovo gratitudine anche per la lealtà dimostrata nei miei confronti e per l’amore alla Chiesa che ha animato il suo impegno. Ora continuerà a darci una mano, soprattutto nella direzione di Studi Ogliastrini.
Dal prossimo numero assume la direzione del giornale Claudia Carta, già presente nella redazione e anche lei con spessore ecclesiale, competenza e passione che aiuteranno L’Ogliastra a mantenersi ai livelli raggiunti. Buon lavoro, con la mia stima personale e quella di tutta la nostra Chiesa».
Mons. Antonello Mura

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