In breve:

Fatti

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A Oristano il XIII Convegno regionale Caritas

di Maria Chiara Cugusi.

Oltre 250 partecipanti provenienti dalle dieci diocesi sarde al Convegno regionale delle Caritas parrocchiali e del volontariato di promozione della carità nella Cattedrale di Santa Maria Assunta a Oristano, lo scorso 28 ottobre. Tra i temi emersi, la formazione, l’ascolto, il volontariato, i giovani

Il titolo “Non distogliere lo sguardo dal povero” – come ha ricordato l’arcivescovo di Oristano mons. Roberto Carboni nel suo saluto iniziale – è quello scelto dal Papa per la VII Giornata mondiale dei poveri: un tema sempre attuale che siamo chiamati a vivere nelle nostre realtà parrocchiali nel difficile contesto internazionale segnato dai conflitti in Ucraina, in Terra Santa, dai terremoti, dai migranti morti nel Mediterraneo.

L’arcivescovo ha richiamato anche il desiderio della formazione: «La Caritas non può fermarsi all’assistenzialismo, ma dobbiamo essere capaci di ascoltare, riflettere, fare discernimento, perché molte situazioni richiedono competenza». Tra i saluti anche quelli del sindaco di Oristano Massimiliano Sanna che ha ringraziato la Caritas per il suo impegno, e ha ribadito l’importanza della sinergia con il Comune per «costruire una città inclusiva, in cui nessuno venga lasciato indietro».

A introdurre il Convegno – coordinato dal delegato regionale Caritas don Marco Statzu – mons. Giovanni Paolo Zedda, vescovo incaricato della CES per il servizio della carità che ha ripreso le tre vie indicate dal Papa per il 50° di Caritas Italiana coniugandole con il messaggio per la Giornata mondiale dei poveri. «Non distogliere lo sguardo dal povero esige la nostra continua attenzione allo Spirito Santo – ha detto – e non solo al nostro agire personale e comunitario. Dobbiamo imparare ad ascoltare tutte le voci dello Spirito, che è creatore e creativo, per fare discernimento».

Ancora, gli interventi di padre Massimo Maria Terrazzoni e di Francesca Pitzalis, referente del Progetto Elen Joy e del Progetto CASLIS (Contrasto allo sfruttamento lavorativo in Sardegna) della Congregazione Figlie della Carità di San Vincenzo De’ Paoli, che ha ricordato l’importanza di tutti i progetti attivi in Sardegna per il contrasto allo sfruttamento in ogni settore. «Ci facciamo portavoce di storie drammatiche che richiedono uno sforzo da parte di tutti per l’inclusione delle persone che hanno scelto di abitare nel nostro Paese. Oggi sono stati trasmessi messaggi d’amore che rafforzano il lavoro comune verso coloro che hanno più bisogno di noi».

A seguire, la voce di alcuni giovani che hanno partecipato al progetto FiDiamoci della Caritas regionale. «Quest’esperienza mi ha arricchito molto – dice Michela Camedda, della Diocesi di Oristano –, prima di allora non avevo mai fatto volontariato: stare vicina alle persone più bisognose in modo concreto mi ha sensibilizzato». Inoltre, il momento musicale “Oltre le sbarre si vede la luna” curato dalla Caritas diocesana di Oristano, con la musica di Andrea Cutri e la lettura, da parte di Mirella Lutzu, di testi scritti da alcuni detenuti del carcere di Massama.

Infine, i lavori di gruppo e le conclusioni di don Marco Statzu, con le tre parole chiave emerse: empatia, coinvolgimento, ascolto; e i tre livelli su cui riflettere e operare: quello della formazione, dell’impegno verso le tante povertà incontrate (non solo materiali, ma anche di ascolto e culturali), della testimonianza dei e verso i giovani. «Questi tre livelli si intersecano tra di loro: non possiamo accorgerci dell’altro se non alleniamo il nostro sguardo, ma anche se non veniamo aiutati a renderci conto che esistono mondi spesso a noi sconosciuti. Non possiamo pensare di essere semplicemente operatori a senso unico, ma dobbiamo favorire il ricambio generazionale e la freschezza dei giovani presenti nelle nostre comunità». Senza dimenticare l’importanza della comunicazione «per dare testimonianza del bene ricevuto e fatto» e della promozione del volontariato.

Autobus

Il sistema pubblico dei trasporti

di Augusta Cabras.

L’Azienda Regionale Sarda Trasporti, Arst, gestisce in tutta l’Isola il servizio di trasporto di persone e di bagagli, prevalentemente con servizi extraurbani. Opera con servizi urbani nelle città di Alghero, Carbonia, Iglesias, Macomer e Oristano ed è presente con cinque linee ferroviarie, oltre la linea turistica del Trenino Verde. Nei Comuni di Cagliari e Sassari gestisce anche due linee di metro tranvia.

Il modello organizzativo dell’Arst è costituito da 8 sedi territoriali Automobilistiche, 3 sedi territoriali Ferroviarie, 2 sedi territoriali Metrotranviarie, 4 autostazioni.
La flotta è composta da 828 autobus, 47 treni, 14 treni metro.
I passeggeri trasportati sono 46.000 al giorno e 16.000.000 all’anno.
Il trasporto pubblico extraurbano su gomma nel territorio regionale, copre 369 comuni mediante autoservizi che garantiscono collegamenti capillari sia nei giorni feriali che festivi con 4.000 corse al giorno, 3.000 fermate, 35.500.000 chilometri percorsi.

Nella carta della mobilità dell’Arst 2022 si legge: «Le attività che Arst svolge per conto della Regione non si limitano a quelle legate alla mobilità delle persone, ma riguardano anche importanti servizi di ingegneria, di stazione appaltante e di gestione patrimoniale. Queste competenze diversificate e integrate sono il capitale immateriale con cui la Società si prepara ad affrontare le sfide del futuro con la volontà di continuare – ieri, oggi come domani – a riconnettere persone e territori della Sardegna accompagnandoli nella loro crescita verso il mondo che cambia. Arst guarda a questo futuro con il proprio impegno concreto nel campo della sostenibilità, della transizione ecologica per il Green Deal e della transizione digitale».

Accanto ai numeri, di cui probabilmente poco si sa, e accanto alle sfide per il futuro, nel presente rimangono aperte questioni vecchie: ritardi delle corse, orari di partenza e arrivo non adeguati alle esigenze dei cittadini, in particolare per chi risiede nei comuni più piccoli e isolati, pochi mezzi a disposizione per gli studenti.
Soprattutto di questo abbiamo parlato con la Direttrice dell’Esercizio Automobilistico,
Francesca Sulis, e con il Responsabile della sede territoriale automobilistica di Nuoro, Sergio Massimo Casula.

L’intervista e il servizio integrale è disponibile sul numero 11 de L’Ogliastra di Novembre 2023.

Guerra e bambini

L’impatto della guerra sui bambini

di Paolo Usai.
Da diverse settimane siamo bombardati da immagini di distruzione che giungono dalla Terra Santa, immagini che si aggiungono a quelle ormai ben note della guerra russo-ucraina. Se questi filmati sono devastanti per gli adulti, possono esserlo allo stesso modo per i bambini. Anche se viene naturale voler evitare di parlare di un tema così allarmante, e voler preservare l’innocenza infantile, in quanto genitori, insegnanti o educatori, è opportuno tenersi pronti a rispondere alle loro domande e alle loro inquietudini.

In effetti anche i bambini, soprattutto a partire dagli 8/9 anni, hanno bisogno di sapere. Conoscere e comprendere i fatti di cui sentono parlare gli rassicura. Spesso tendiamo a credere che evitare di esporre i minori a queste informazioni li proteggerà. In realtà, tutto ciò che un bambino sente o vede, rischia di stimolare la sua immaginazione e la sua ansia, prendendo a volte delle proporzioni importanti. È quindi utile parlare con i bambini e fornire loro delle spiegazioni, incoraggiando e stimolando l’espressione delle loro domande, in modo da seguire il filo del loro pensiero. È consigliabile, inoltre, associare queste spiegazioni all’espressione delle emozioni legate a tali eventi. È fondamentale dare un nome a queste emozioni e non sottovalutare quelle espresse dal bambino, parlare apertamente della tristezza e della pena provate di fronte alle tante vite umane interrotte dalla guerra.

Un’attenzione particolare andrà posta sulla scelta delle immagini e delle informazioni condivise con i bambini. Parlare di questi fatti in modo appropriato all’età del bambino è diverso dall’esporlo a filmati impressionanti. Le immagini che mostrano sangue e atroci violenze andrebbero preferibilmente evitate. In base all’età del bambino, si dovrebbe valutare se è opportuno guardare il telegiornale in famiglia. Dare la parola ai bambini permette di contrastare il loro sentimento di impotenza e di accompagnarli nella costruzione della loro mente critica.

Sempre per ridurre il sentimento di impotenza, si può proporre al bambino di mettersi in gioco, a modo suo, per sostenere le persone che soffrono a causa della guerra. Ad esempio facendo un disegno da esporre alla finestra o scrivendo dei messaggi di pace e di incoraggiamento rivolti ai Paesi coinvolti nel conflitto. In quanto adulti, abbiamo un ruolo importante da svolgere nei confronti dei più piccoli, per essere, assieme a loro, costruttori di pace.

Niala

Una favola vera chiamata Niala

di Fabiana Carta.

Sarà l’atmosfera fiabesca, sarà l’incanto del bosco, sarà il coraggio smisurato. In piena pandemia mondiale, quando di certezze non ce n’erano affatto e pensare al futuro assomigliava a brancolare nel buio, Silvio Giacobbe, 32 anni, tenta l’impossibile. «Nel periodo Covid ho partecipato al bando del Comune di Ussassai per l’affidamento del punto di ristoro Niala – racconta Silvio –, la maggior parte delle persone mi considerava un folle perché mi sono aggiudicato il ristorante senza sapere quando effettivamente avrebbe riaperto, ma soprattutto perché il locale aveva chiuso per la mancanza di servizi turistici e la situazione continuava a essere la medesima». Una scommessa vinta. Ussassai è un paese che una decina d’anni fa contava mille persone, oggi ne conta circa quattrocento. Potrebbe essere uno dei comuni sardi che rischiano di scomparire, neanche tanto lentamente, sempre che non arrivi un imprevisto cambio di rotta.

Silvio Giacobbe, imprenditore di Cagliari sposato con una ragazza di Ussassai, è speranzoso. Il suo progetto prevedeva di riportare in vita il ristorante Niala, ma alla base di tutto c’erano intenti ancora più nobili: dare nuova linfa al paese, smuovere le acque, convincere gli abitanti a restare. «Mi sono innamorato di questi posti – spiega Silvio –. Niala l’ho sempre frequentato, nel suo periodo più bello e in quello più brutto, quando la tratta del Trenino Verde è stata interrotta. Dopo la chiusura ho pensato di provarci!».

Un progetto che inizia concretamente il 2 luglio 2021, insieme al socio Federico Ena, 35 anni di Uta. Dopo un importante investimento per ristrutturare gli interni, allestire il nuovo arredamento e realizzare i camminamenti nell’area esterna – lavori eseguiti da un’impresa locale – le porte del Niala riaprono. In sottofondo, le chiacchiere e i pensieri della gente: il progetto, ai loro occhi, continuava a sembrare folle e visionario. «La ripartenza del punto di ristoro è stata molto rumorosa nella zona – fanno notare –: senza il trenino che trainava non solo il Niala, ma tutte le attività, sembrava impossibile proseguire. Siamo andati avanti, perché il potenziale resta altissimo». Per i due giovani non si tratta, infatti, solo di cibo. L’idea è offrire un’esperienza, un’immersione totale nelle antiche tradizioni ogliastrine. Il pranzo si accompagna al suono delle launeddas, dell’organetto o della chitarra; le escursioni guidate nel bosco permettono di scoprire e vivere il territorio; le degustazioni fanno conoscere le cantine e prodotti della zona; gli spettacoli e i laboratori, come quello del pastore che prepara il formaggio, aiutano a entrare nel vero clima locale. «Giorgio Loi, un pastore di Ussassai scomparso recentemente, è stato uno dei pochi che ha creduto in noi e nel nostro progetto. Tutte le settimane è stato al nostro fianco, a fare il formaggio, a portare i suoi prodotti, compreso il casu marsu, per soddisfare la curiosità dei turisti. Ci fa piacere ricordarlo», spiegano.

Tutto oggi è più difficile: prima il Trenino Verde accompagnava centinaia di turisti a due passi dal ristorante, fino alla fermata di San Girolamo, adesso devono spostarsi da soli. Non è un luogo facile da raggiungere, non è un luogo di passaggio e non è neanche un luogo che può accogliere centinaia di macchine. Ma Silvio e Federico stanno già raccogliendo i frutti del loro impegno. Durante l’estate il ristorante ha raggiunto numeri che prima si toccavano con l’aiuto del trenino; l’impresa più difficile resta richiamare gli abitanti locali nel periodo autunnale e invernale, nelle giornate fredde e piovose. Una bella soddisfazione. «Per il Trenino Verde non smettiamo di lottare – continua Silvio Giacobbe –: so che è stata istituita una fondazione, gestita da Arst e che sono stati stanziati dei fondi per la manutenzione di tutta la strada, perché quando il treno non passa la manutenzione costante non viene fatta. Speriamo che l’anno prossimo si possa rivederlo in tutta la tratta ferroviaria. È necessario capire che quel semplice trenino traina l’economia di tutti quei paesini, è una catena: la bottega, il bar, il ristorante, il B&B. Tutto ruota intorno alle persone che viaggiano costantemente. Nel mio piccolo sono riuscito a trattenere in media dieci persone in un paese di circa 400 abitanti (lo staff del ristorante), pensate cosa può fare un treno che passa lì ogni settimana e porta centinaia e centinaia di persone. Lo spopolamento di cui si parla si può fermare, basta creare occupazione, creare o rafforzare i servizi».

Per Silvio Giacobbe l’obiettivo più grande è far conoscere Ussassai, fare in modo che le persone che raggiungono Niala, dopo, possano restare, per continuare a godere delle bellezze del territorio, per continuare ancora a vivere il paese. La difficoltà più grande, riaperto il punto di ristoro, indovinate quale è stata? Trattenere le persone. A Ussassai, due anni fa, c’era solo un Bed and Breakfast, questo significa che poteva accogliere al massimo cinque o sei persone. «Dopo l’apertura, con l’aiuto dell’amministrazione comunale, ho coinvolto le persone disponibili a fare degli investimenti. Ho proposto loro di trasformare le case disabitate in altri B&B, così oggi contiamo sei strutture ricettive. Possiamo accogliere una quarantina di persone. Sì, mi sono proprio innamorato di questo posto», conclude Silvio Giacobbe. Sarà l’atmosfera fiabesca, sarà l’incanto del bosco, sarà il coraggio smisurato.

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A Lotzorai il “Global Athlete Summit” della The North Face

di Claudia Carta.
Il colosso americano dell’abbigliamento sportivo e degli accessori per la montagna sceglie Iscrixedda per il suo tour annuale mondiale

Metti 120 atleti top mondiali a Lotzorai. Cinque giorni tra arrampicata, corsa, mountain bike e trekking. Il risultato è da performance internazionale, unito a un pizzico di follia. Sì, perché per scalare a mani nude su 30 metri le falesie di Capo Monte Santo e tuffarsi nel mare più bello d’Italia con due capriole, un po’ pazzi bisogna esserlo. Ma tant’è.

I pezzi da novanta sono gli sportivi della TNF, acronimo che risponde alla The North Face, colosso statunitense di attrezzature e abbigliamento sportivo e per la montagna che ha scelto il paese dell’Isolotto d’Ogliastra come sede del suo “Global Athlete Summit”, unica tappa italiana del brand americano. Dopo Messico, Portorico e Tenerife, per citare gli ultimi raduni annuali, il gigante economico il cui fatturato supera i due miliardi di dollari, sceglie Lotzorai per il suo gigantesco workshop aziendale. E lo fa con teste di serie di specialità sportive quali alpinismo, arrampicata, sci, snowboard.

Così, tra le pinete e la buganvillea del camping Iscrixedda – sede e quartier generale del Summit – oltre ai vertici di TNF e al gruppo organizzativo – primo fra tutti il californiano Jim Zellers, pioniere dello snowboard ed esploratore, fondatore di High Camp – anche il regista, premio oscar Jimmy Chin, che ha guidato e partecipato a spedizioni alpinistiche in tutto il mondo; il campione del mondo di snowboard freestyle, Victor De La Rue; la due volte campionessa mondiale di sci Arianna Triccomi. E ancora atleti provenienti da tutta Europa, da Cina, Giappone, Nuova Zelanda, Canada, tra i 20 e i 35 anni.

Dal 23 al 28 ottobre agenda fittissima: al mattino gli incontri di marketing aziendale, al pomeriggio le attività sportive alla scoperta di un territorio che ha lasciato gli atleti sbalorditi per bellezza e poliedricità, ma anche per accoglienza, logistica e servizi offerti. E c’è già chi si tratterrà fino a Natale e chi, con lo stesso Jim Zellers, tornerà il prossimo anno in gruppi più ristretti a maggio e ottobre. Un ritorno di immagine senza precedenti, unito a un indotto economico davvero importante.

Anima e regista dell’operazione, Richard Felderer, lotzoraese di adozione, titolare di un B&B, fotografo, giornalista, profondo conoscitore di alpinismo, trail running, che ha al suo attivo scalate e spedizioni nei luoghi più spettacolari del mondo: «Un’operazione – ha commentato – che non promuove solo Lotzorai, ma l’Ogliastra intera, in una stagione, quella di spalla, che è senz’altro la più bella e che fa di questa comunità una base logistica viva, valida, perché capace di unire i Tacchi di Jerzu e Ulassai, ai percorsi escursionistici di Baunei, fino al mare. E quando la comunità risponde bene, anche nelle più piccole cose, allora davvero l’evento è un successo non solo dello staff organizzatore, ma di tutti».

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Abusi sui minori. Il dovere di parlarne

di Alessandro Zaccuri.

La prima parola spetta a una vittima, com’è giusto che sia. Inquadrata di spalle, la giovane donna è la protagonista del breve filmato con il quale si apre una serata inattesa e sorprendente. «Sono stata abusata da un sacerdote – racconta –. Grazie a un altro sacerdote ho ritrovato la fiducia nella Chiesa».

Accade il 24 agosto a Tortolì, nello spazio dell’Anfiteatro Caritas affollato da un pubblico silenzioso e attento. L’incontro sugli “Abusi sessuali, psicologici e di potere” si inserisce nel cartellone degli appuntamenti organizzati dalla Pastorale del Turismo delle Diocesi di Lanusei e di Nuoro. “Fascino del dubbio, desiderio di certezze”, recita il titolo complessivo del programma. Nel caso specifico, però, l’attenzione si sposta sulla “paura di parlarne”, che per troppo tempo ha portato alla sottovalutazione o addirittura alla negazione di un dramma sul quale solo di recente, anche all’interno della comunità ecclesiale, si è deciso di fare chiarezza. Quello degli abusi resta, in ogni caso, un tema doloroso e difficile, sempre esposto al rischio di fraintendimenti e giudizi sommari. Lo conferma Chiara Griffini, che con don Fortunato Di Noto si alterna nel dibattito: «Un drastico cambio d’umore e la tendenza all’isolamento possono essere indizi di un abuso – spiega la psicologa –. Sono campanelli d’allarme e come tali vanno considerati, senza saltare a conclusioni affrettate».

Coordinatrice generale del Progetto Safe, concepito per diffondere la cultura della sicurezza negli ambienti educativi, Griffini fa parte del Consiglio di Presidenza del Servizio nazionale per la Tutela dei minori e degli adulti vulnerabili della Chiesa Italiana. La sua è una lunga esperienza, di studio e di pratica clinica: «Il trauma dell’abuso può essere superato – dice –, ma quello che troppo spesso rimane insoddisfatto è il desiderio di giustizia che la vittima porta dentro di sé, non solo dal punto di vista processuale. L’esigenza più profonda è semmai di una richiesta di perdono e quindi di un’ammissione di colpevolezza che venga dall’autore dell’abuso. Ma questo, purtroppo, ancora non accade».

«Anche nella Chiesa si parla ormai di tolleranza zero – aggiunge don Di Noto, fondatore e presidente dell’associazione Meter, attiva fin dal 1989 nel contrasto della pedopornografia on-line. Il principio è

indiscutibile: chi commette un abuso non può godere in alcun modo di connivenze o complicità. Questo non esclude che, sotto il profilo umano e spirituale, si possa intraprendere un percorso di consapevolezza e di rinascita. Ma è un cammino accidentato, che richiede particolare prudenza».

In primo piano resta sempre la cura per le vittime. «Meter ne ha incontrate e ascoltate migliaia – ricorda don Di Noto –. In maggioranza, hanno subito l’abuso durante l’infanzia, prima ancora della pubertà. La speranza non viene mai meno, ma è innegabile l’orrore davanti a soprusi tanto feroci». Tra gli strumenti di prevenzione, viene frequentemente indicata la formazione, in particolare per quanto riguarda i sacerdoti. «In realtà – ribatte don Di Noto –, basterebbe domandarsi se certi comportamenti siano degni di un cristiano. E poi regolarsi di conseguenza».